Uno scrigno chiamato Dolomiti

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    Con la proclamazione a Patrimonio dell’Umanità , l’Unesco ha calato sul tavolo delle Dolomiti un mazzo di carte molto pesante per la responsabilità dei giocatori, che non sono solo coloro i quali ci vivono all’ombra. Infatti, ora le Dolomiti sono un bene comune appartenente al mondo intero, ma c’è chi è preposto in modo particolare alla sua tutela. Chi sono i destinatari di tale compito?

    Affinché lo status di patrimonio dell’umanità non possa venire revocato tra qualche anno, l’Unesco ha posto un obbligo ben preciso in primo luogo in capo ai valligiani, poi ai reggitori della cosa pubblica, ai titolari di interessi economici insistenti in quelle vallate, ai turisti, agli appassionati della montagna. Il vero e unico vincolo che è stato imposto è quello di una rispettosa fruibilità e ad esso ci si dovrà attenere scrupolosamente d’ora in avanti. L’avvio delle buone pratiche per attuare quanto sancito dall’Unesco, però, non è stato dei più facili e scorrevoli, forse perché gli uomini fanno fatica a volare alto e sopra le vette di divisioni secolari che, anche sulle Dolomiti, provocarono immani lutti.

    Proprio qui mi pare che stia il punto vero della questione: bandiamo l’eccessiva terragnità e approfittiamo di questa grande opportunità per elevare lo spirito così come la sacralità dei monti chiede a ciascuno di noi e come bene espresse il buon padre Dante: questa montagna è tale,/che sempre al cominciar di sotto è grave,/e quanto uom più va su, e men fa male (Purgatorio, IV, 88). Se sotto , a fondo valle, dove si prendono le decisioni, l’agire è grave , facciamo come i rocciatori e viviamo di ansietà d’altezze .

    Saliamo più in su, anche solo con la mente, per respirare aria più pura e per salvaguardare nelle Dolomiti uno scrigno di bellezze da ammirare, godere e, perché no?, utilizzare ai fini dello sviluppo armonico delle vallate che vi convergono. Se, fatto tutto ciò, vi sono ancora ostacoli, allora è la storia che ci viene in soccorso. Non quella dei libri di scuola, bensì quella silenziosa dei nostri avi che nell’unicum dolomitico vissero con fatica, cacciarono per sopravvivere, costruirono le loro case con tanto sudore, emigrarono, tornarono, combatterono e sacrificarono la loro vita per lasciarci intatta quella splendida eredità che si chiama, per l’appunto, Dolomiti.

    Vogliamo buttare al vento i loro sogni? Certamente no! Dentro lo scrigno chiamato Dolomiti, infatti, c’è un patrimonio di valori che nel tempo hanno sposato l’anima del montanaro con la cultura della difesa del territorio: gli Alpini nacquero proprio da questo felice matrimonio quando correva l’anno 1872. Ora i tempi sono profondamente cambiati e ciascuno di noi è chiamato a combattere una guerra, per nostra immensa fortuna, incruenta, disseminata, questa volta, solo di ostacoli culturali dove l’unico vero nemico da combattere siamo proprio noi stessi.

    Quando odo sorgere ancora incomprensioni di qua e di là delle Dolomiti, quando vedo la politica arrancare sulla strada delle buone pratiche richieste dall’Unesco, quando avverto segnali di insofferenza davanti a presunti vincoli di troppo, io mi rifaccio alla storia di queste vallate. Così, davanti alla fotografia sgualcita di un vècio del Battaglione Belluno del 7º Reggimento, fiero del suo logoro cappello alpino tra le balze della Val Fiorentina, non vedo ostacoli e lui l’amato nonno classe 1882 sembra ammonire: Il nostro sacrificio era per il vostro benessere . È vero: i nonni hanno sempre ragione!

    Dino Bridda

    Pubblicato sul numero di settembre 2010 de L’Alpino.