Trovare la giusta misura

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    Raccogliamo volentieri il suo invito ad una franca riflessione circa gli avvenimenti più controversi del primo conflitto mondiale. L’autore della lettera di luglio, alpino Mazzocco, mi pare che riporti, pur con toni pacati, accuse e polemiche che a lungo hanno scosso le discussioni tra gli appassionati e anche tra i molti appassionati, e che proviene forse da quell’onda lunga, figlia della politica e della corrente pacifista nota perché condannava Esercito e soldati in toto, già solo per il fatto di esistere, e ancora oggi così presente nel mondo cattolico. 

     

    In seguito alle lunghe ricerche per un testo, che poi ha vinto anche il vostro prestigioso premio Ifms 2015, mi sono reso conto, e anche con mia sorpresa, che la visione dominante per anni, quella di soldati spinti in trincea dalle carabine dei 7 2-2016 Regi Carabinieri, da migliaia di fucilati e di disertori in realtà non è mai esistita ed è stata da tempo molto ridimensionata dagli storici. Innanzitutto, e in breve, tralasciando le motivazioni che spinsero quegli uomini a rispondere alla chiamata di mobilitazione, le più varie e le meno note, si nota, come anche ricordato dal presidente Mattarella in una commemorazione a Rovereto poche settimane fa, che i fucilati dopo processo, furono circa 1.000. Un numero rilevante all’apparenza, ma se calcoliamo la percentuale sugli oltre 5.500.000 mobilitati, il numero che ne risulta è chiaramente ridottissimo. Che poi di questi, alcuni fossero stati accusati ingiustamente (decorati, emigranti, ecc.) questo fa parte della giustizia umana e del buon senso degli ufficiali, spesso quindi arbitraria o carente per mentalità, gravità della situazione e periodo storico. Dalle mie ricerche di appassionato, senza certo una patente, ho trovato anche un altro dato interessante, quello di circa 10.000 accusati di diserzione; anch’esso un numero esiguo anche in relazione agli altri Eserciti europei dove gli episodi di ammutinamento anche collettivi (Francia, Russia, ecc.) furono molto più gravi e, al contrario di quelli avvenuti da noi (uno solo con la “Catanzaro”) anche “in faccia al nemico”. C’è inoltre da notare che venivano considerati disertori anche coloro che non rientravano dall’estero, (pochi) o coloro che rientravano dalla licenza in ritardo (moltissimi)… Anche gli storici della mia gioventù, schierati e interessati, facevano molta fatica a spiegare la resistenza sul Piave o sul Grappa che non poteva avvenire se i soldati non avessero così dimostrato la loro voglia di resistenza e il loro spirito di difesa del Paese. Non a caso, gli avvenimenti più dibattuti furono quelli relativi a Caporetto, dove il cedimento delle retrovie venne illustrato a lungo come l’espressione di poca volontà del soldato italiano coinvolto, (senz’altro) controvoglia in un conflitto disumano e sanguinoso. La realtà è invece senz’altro più complessa e sfumata, non solo come noi già sapevamo per gli alpini, ma ben lontano dalla storiografia, e di cui alcuni sono ancora influenzati, di un soldato italiano “felice solo nella sconfitta e triste nella vittoria”. Saluti scarponi.

    Sergio Boem Gruppo di Padenghe sul Garda, Sezione di Brescia

    Grazie per questo contributo dai toni altrettanto pacati e rigorosi. Personalmente credo che siamo passati da un periodo di demonizzazione della storia passata, a vantaggio di un pacifismo tutt’altro che pacifico, ad una fase più recente in cui si tende alla idealizzazione delle imprese belliche. Trovare la giusta misura, indagando la storia con serenità, farà un gran bene alla conoscenza dei fatti nella loro oggettività.