Siamo saliti ancora una volta quassù, ai novecento metri del Colle di Nava, dove sessantasei anni fa i reduci della divisione Cuneense vollero innalzare un cippo che ricordasse i loro sfortunati compagni rimasti in terra di Russia. È l’alba di domenica 3 luglio. C’è il sole e un verde che abbaglia. Sulla statale 28, nel traffico, i forzati del mare affrontano la lunga discesa che li separa dall’agognata meta: la Riviera dei fiori è giù, a quaranta chilometri.
Non c’è odore di salmastro qui: la Liguria non è solo costa. Siamo nel cuore delle Alpi Liguri e c’è profumo di pini e di fieno tagliato. Profumo di alpini. Ieri sera il Forte Centrale ha ospitato il 18º Cantamontagna, organizzato dal coro sezionale Monte Saccarello, una rassegna di cori alpini, ospite il coro Ana Stella Alpina di Berzonno. Bella serata e discreto pubblico, nonostante la partita Germania-Italia.
Nello stesso momento vicino al Sacrario si riunivano intorno al falò gli amanti della tradizione. Intorno al fuoco, un tempo, vegliavano i reduci e raccontavano le storie. Narrazioni lievi e quasi criptate, fatte di molto pudore e poco piagnisteo, mai un lamento. La verità nuda e cruda, la guerra e il dolore erano cose private, da non condividere con i figli, anche se i figli avevano la penna. Tra i racconti spesso c’era un aneddoto divertente e, a volte, come un lampo nel buio, veniva ricordata con commozione la figura di un compagno.
Un sorriso, allora, era il tentativo mal riuscito di nascondere quel groppo che chiudeva la gola e strozzava le parole. Oggi non ci sono i reduci e non si racconta più. Allora qualche musicante si porta avanti col lavoro e dà fiato allo strumento. La notte della vigilia è sempre piena di questi suoni… passa così e lascia spazio alla domenica. I carabinieri del maresciallo Allerino sono già in servizio da un po’ nella zona del Sacrario dove iniziano a farsi vedere ospiti e autorità. Arrivano anche i primi pullman dal Piemonte e il Colle si anima.
L’allegria dei primi incontri con gli amici, le strette di mano. Tutto sembra preparato a dovere, con il solito ordine, dai volontari della Sezione di Imperia. I girasoli, fiore simbolo di un’immane tragedia, illuminano l’esedra. Si può cominciare. Molti i vessilli sezionali e i gagliardetti a testimoniare che Nava è patrimonio di tutti gli alpini, molti anche i gonfaloni da quello della Regione Liguria, a quelli delle Province di Cuneo e Imperia e dei tanti Comuni limitrofi come Pornassio, Ormea e Pieve di Teco che fu sede del mitico “Battaglione anciua”.
Spicca tra tutti il Labaro dell’Unirr accompagnato dal Presidente nazionale Francesco Maria Cusaro per la prima volta al raduno. Folta la rappresentanza del Consiglio nazionale della nostra Associazione guidata dal vice Presidente vicario Luigi Cailotto e dal vice Presidente Massimo Curasì. Mai visti due vice Presidenti in un colpo solo da queste parti! Sfila la Fanfara sezionale “Colle di Nava” e intona il Trentatré: ecco il picchetto armato del 2º Alpini. Ai colori accesi dei gonfaloni segue il lungo corteo verde degli alpini con in testa i tre vessilli di Imperia, Genova e Savona che furono le Sezioni ideatrici del Sacrario.
Dopo l’alzabandiera inizia la Messa. È don Gigi Lauro, parroco del Sacro Cuore di Albenga, a celebrare con don Marco Castagna, alpino e cappellano della zona di ponente della Sezione di Imperia. Don Marco è anche il fondatore della fanfara sezionale. Bravo ragazzo. Don Gigi si commuove. La suggestione di Nava colpisce anche lui, prete di strada. Le sue parole all’omelia lasciano il segno: parla della forza della solidarietà degli alpini delle missioni all’estero che devono essere strumenti di pace, dell’inutilità e della follia della guerra. Al termine si alza Giovanni Alutto dal palco dei reduci accanto all’altare e recita la Preghiera dell’Alpino. La sua voce è ancora forte e graffia il silenzio che è calato improvvisamente.
Giovanni è un reduce del 2º Alpini, divisione Cuneense, è piemontese e a novembre compirà cent’anni. L’assessore del Comune di Pornassio, Raffaele Guglierame porta i saluti dell’amministrazione ricordando la tragedia degli italiani uccisi a Dacca, consumata proprio poche ore prima, e racconta del dolore dei familiari degli alpini liguri mai tornati a baita. Il generale Marcello Bellacicco, vice comandante delle Truppe Alpine rammenta anche lui il momento che si sta vivendo e la difficoltà nel trovare delle soluzioni. Rivolto ai reduci afferma che in Russia prima di essere soldati hanno dimostrato di essere uomini.
Il vice Presidente vicario Luigi Cailotto porta il saluto della Sede Nazionale e del Presidente Sebastiano Favero, dando poi spazio a Cesare Lavizzari per l’orazione ufficiale che ha posto l’accento sul trattamento che fu riservato agli alpini al loro ritorno, un insulto alla dignità umana, e di come fosse loro diritto abdicare, rinunciare ad essere ancora italiani. Nonostante tutto, questi ragazzi che allora avevano vent’anni non chiesero mai niente, anzi si rimboccarono le maniche per ricostruire materialmente e soprattutto moralmente un Paese distrutto.
A Nava si viene in pellegrinaggio per commemorare i Caduti e rendere omaggio ai reduci, che in Russia svolsero il loro compito nel migliore dei modi, senza astio, senza odio, con rispetto, per il dovere, spesso confuso con l’eroismo. Le parole lasciano il posto alle note del Silenzio per l’onore ai Caduti. Poi i trenta rintocchi della campana. Era il 30 gennaio del 1943 a Valuiki quando ci fu l’ecatombe. Poi fu il davai.
Enzo Daprelà