Storia di alpini che fuggono (ma solo nel titolo)

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    Al termine della Grande Guerra, ai reduci venne addossata la colpa di essere andati in guerra! Ci fu un movimento, politico ma anche trasversalmente sociale, che considerava i reduci come i colpevoli di non si sa bene quale misfatto.
    Incidente storico, si dirà. Per il resto, la storia rimane magistra vitae , maestra di vita. O no?A sessant’anni dalla fine della guerra mondiale, la seconda!, c’è chi proclama che i nostri soldati combatterono dalla parte sbagliata . A dirlo sono ovviamente dei politici, della stessa categoria di coloro che, nel ’15, dichiararono la guerra e poi ne colpevolizzarono i combattenti.

    Come non collegare questa tendenza con un episodio avvenuto proprio di recente e che vogliamo raccontare. Sarà doppiamente esemplificativo: della scarsa simpatia di cui godono ancora oggi coloro che sono stati mandati a morire in guerra, e di come non perda colpi perfino la stampa più qualificata (dimenticandosi che gli alpini sono dei lettori e come tali potrebbero cambiare giornale ). Dunque: un reduce vuol rivedere i luoghi in cui combatté in terra di Russia. Si fa accompagnare da un amico giornalista ed il risultato sono due puntate sul Corriere della Sera . Fin qui tutto bene.

    Ma, nell’occhiello del titolo della prima puntata, uscita il 29 dicembre, si legge che i battaglioni degli alpini furono costretti alla fuga . Lo stesso giorno arrivano alla nostra redazione telefonate ed e mail di protesta. In fuga, noi?, dicono in tanti. Sono stati ben altri a darsi alla fuga. Noi abbiamo combattuto e decine di migliaia dei nostri sono morti . Nella speranza di una precisazione, il presidente Perona ha scritto una garbata lettera al direttore del Corriere.

    Eccone il testo: ‘Egregio direttore nell’occhiello di testata dell’articolo di Lorenzo Cremonesi sul viaggio in Russia di un reduce della divisione alpina Tridentina (Corriere del 29 dicembre scorso) si afferma che i battaglioni degli alpini furono costretti a una fuga . La verità storica è un’altra: fu una ritirata, ordinata dagli alti comandi dopo che gli alpini con le altre divisioni italiane erano rimasti da soli a fronteggiare l’offensiva sul fronte del Don. Gli alpini della Tridentina, della Cuneense e della Julia, combattendo con immani sacrifici in condizioni ambientali terribili ed altissime perdite, riuscirono nel tentativo, concluso a Nikolajewka, di uscire dalla sacca. Quella frase offende la memoria di migliaia di Caduti e dei pochi superstiti che sono ancora fra noi, e che in Russia furono mandati a combattere una guerra non voluta e non capita. Ciò nonostante compirono eroicamente e fino in fondo il loro dovere di soldati, senza mai rinunciare a quell’umanità che nelle penne nere in armi e in congedo si traduce in solidarietà in tempo di pace. Cordiali saluti’.

    Questa la risposta del direttore del Corriere al nostro presidente: Mi creda, nessuno ha voluto mettere in dubbio l’eroismo dei nostri alpini in Russia. Lorenzo Cremonesi (l’autore dell’articolo, n.d.r.) si è limitato a riportare la testimonianza dell’alpino intervistato. Voglia gradire i nostri migliori saluti. Paolo Mieli .

    Il direttore precisa, dunque, che non c’era alcuna intenzione di disconoscere l’eroismo degli alpini. La sua buonafede non è assolutamente in discussione, e neppure le sue grandi qualità di giornalista e uomo di cultura. C’è soltanto una inesattezza, che pensiamo non sia da attribuire a lui: l’intervistato non ha mai parlato di fuga , né l’inviato l’ha scritto. Quella parola infelice è riportata nel titolo ed è stata scritta dal redattore che ha passato il pezzo dell’inviato. Chissà cosa direbbe Peppino Prisco, già collaboratore del Corriere e reduce di Russia, se fosse ancora fra noi. Del suo battaglione L’Aquila fu uno dei due soli ufficiali superstiti. Gli alpini del battaglione come migliaia di altri si fecero massacrare per arginare l’attacco di forze cento volte superiori per numero e per armamento!