Soldati di pace

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    Nassiriya: un nome sconosciuto della geografia del Medio oriente improvvisamente diventa fin troppo familiare. Diciannove bare allineate nel salone del Vittoriano avvolte nel Tricolore. Tante lacrime e profonda commozione in tutto il Paese. L’Italia ritrova l’unità del suo sentimento nazionale davanti alle salme dei soldati caduti in quella terra tormentata, arrivati lì in nome del dovere di ottemperare  alla volontà del Parlamento.

    E’ il momento del silenzio, della compostezza, della pietà umana.
    La morte ha una sua dignità in tutte le circostanze: quando a provocarla sono atti di violenza, essa assume una rilevanza particolare. Quando poi è la guerra a scandire la fine di un’esistenza, diventa un fatto sconvolgente; riempie la mente di tanti interrogativi e ci pone in modo drammatico di fronte alla condanna che accompagna l’umanità di portarsi in grembo il seme della violenza.
    La storia non insegna niente, oppure ha la memoria corta. Ogni tanto sarebbe più corretto dire troppo spesso c’è un motivo irrinunciabile per usare la forza delle armi, in nome sempre di alti, nobili, vitali principi. Poi, sulle macerie e i lutti, si scopre la necessità per tutti della convivenza pacifica, perché nel mondo esistono altri cavalieri dell’Apocalisse che affliggono l’umanità.
    L’Italia repubblicana, non solo perchè nella sua Costituzione è sancito il rifiuto della guerra come strumento per risolvere i conflitti internazionali, ma coerentemente all’indole, alla tradizione culturale, alla visione dell’uomo come valore intangibile, si adopera per la pace. Manda i suoi soldati nelle missioni decise dall’ONU e ne è orgogliosa per il loro comportamento.
    Il 12 novembre, nel sud dell’Iraq, il terrorismo islamico ha voluto colpire l’Italia come alleata degli Stati Uniti, simbolo di quell’Occidente considerato nemico mortale, anzi peggio: la personificazione di Satana. La partita è seria e non consente errori. La forza militare è necessaria, l’intesa all’interno delle Nazioni Unite indispensabile. Ma ancora più importante è perseguire la ‘politica’ dei nostri contingenti militari all’estero, che da Beirut alla Bosnia hanno saputo dimostrare che erano lì per aiutare. E questo devono capirlo tutti.
    Asciugate le lacrime, dimenticate le cerimonie doverose, ricordiamo i Caduti, e le famiglie nel lutto con le parole di uno scrittore inglese del XVIº secolo, John Donne: ‘Ogni morte di un uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: suona anche per te’.


    Vittorio Brunello