Siamo la Julia, i custodi delle nostre Bandiere

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    Mentre andiamo in stampa gli alpini della brigata Julia stanno partendo per l’Afghanistan, per garantire la sicurezza alla popolazione di quattro province nel distretto di Herat. È un territorio molto vasto e non privo di insidie ma i nostri alpini hanno dimostrato in tante circostanze di essere ben preparati. Non per nulla si sono guadagnati la stima dei militari degli altri contingenti delle Nazioni unite con i quali collaborano nella forza multinazionale, e soprattutto si sono guadagnati la fiducia della popolazione dei territori loro affidati. La loro missione durerà sei mesi. La cerimonia di saluto alla brigata in partenza è avvenuta venerdì 12 settembre a Udine. Per l’occasione abbiamo intervistato il comandante della brigata, il generale Paolo Serra, che avrà il comando della forza multinazionale ISAF a Herat.


    Generale Serra, la Julia sta per partire per una nuova missione in territorio afgano, ci vuole dire qualcosa di quest’operazione?

    “Volentieri, ma prima mi si consenta di ringraziare gli alpini delle Sezioni ANA in cui insistono i numerosi Reparti della Julia, dal Veneto al Friuli, passando per il Trentino e l’Alto Adige, per la generosità e l’attenzione con la quale hanno sostenuto il progetto a carattere umanitario che gli Alpini della Julia effettueranno a favore della popolazione civile di Herat…” .

    Di Herat e della Regione West

    ‘ Un territorio molto vasto situato nell’ovest dell’Afghanistan, che confina ad ovest con l’Iran ed a nord con il Turkmenistan ed a sud con altre province dell’Afghanistan, quelle di Nimruz e Helmand. Un’area caratterizzata dalla presenza di quattro principali province: Herat che è la più nota e la più ricca, posta in posizione centrale, Qual e Now a nord ovest, Badghis a nord e Farah a sud. Complessivamente, è un territorio più esteso della pianura padana, di oltre 550 chilometri da ovest ad est, e circa 450 da nord a sud.

    Qual è la strategia italiana nell’area?

    Direi che la strategia nazionale s’innesta in quella più ampia decisa nel contesto dell’Alleanza Atlantica. La strategia NATO mira ad assistere il governo afgano nell’opera di consolidamento della propria autorità e prevede che la Forza di Assistenza e Sicurezza Internazionale (ISAF) espanda la propria responsabilità sull’intero Teatro afghano, agendo in particolare su tre pilastri: sicurezza, ricostruzione e governabilità. L’Italia ha assunto la responsabilità di nazione leader del Comando Regionale Ovest (Regional Command West, RC W in terminologia militare) e il Comando della Julia sarà chiamato a svolgere il ruolo di Comando di tutte le forze ISAF presenti provenella Regione, per una durata di circa sei mesi a partire dal prossimo mese d’ottobre .

    Comandante, come descriverebbe la situazione nel territorio che fra poco sarà sotto la responsabilità degli alpini e del suo comando?

    La provincia di Herat ha una rilevante importanza geo strategica in quanto area di congiunzione tra l’Afghanistan e l’Iran. In rapporto alla situazione generale del Paese, essa si presenta ancora come una delle aree più fiorenti e gode di condizioni accettabili di stabilità e sicurezza. Nonostante ciò, la provincia è ancora lontana dalla soluzione di tutte le problematiche e le azioni delle forze avversarie non permettono certamente di considerare la situazione totalmente stabile. L’attività ostile si estrinseca fondamentalmente in attentati terroristici condotti a mezzo ordigni esplosivi improvvisati, imboscate condotte sia contro le forze governative afghane e sia contro le forze ISAF, lancio di razzi ed atti d’intimidazione contro strutture e personaggi delle istituzioni locali e delle Organizzazioni non governative e nello sviluppo di propaganda anti governativa ed anti occidentale. A tale minaccia si aggiunge la presenza di campi minati non segnalati ed il rilevante impatto derivante dal fenomeno del narcotraffico, che rappresenta un’importante fonte di reddito e vede coinvolte molte figure locali. L’area è altresì interessata dall’attività della criminalità comune, che si manifesta lungo le vie di comunicazione primarie e secondarie, principalmente con l’imposizione del taglieggiamento nei confronti di piccoli convogli civili.

    Un territorio vastissimo e insidioso, dunque. Ci saranno distaccamenti periferici?

    Attiveremo anche Basi Remote , distanti sino a 200 km sia a nord sia a sud, per portare sicurezza e sviluppo anche nelle zone più lontane del Paese. Si tratta di missioni difficili ma che i nostri ragazzi dovranno svolgere con il cuore oltre che con i muscoli, agendo da veri Alpini. Ho avuto occasione di visitare alcuni di questi siti nel corso della ricognizione che ho svolto con gli ufficiali del comando della Julia a fine luglio scorso e ne ho tratto un’ottima impressione .

    Quali unità della Julia verranno schierate?

    Innanzi tutto il Comando Brigata nella sua componente multinazionale. Giova ricordare che la Julia è l’unica Grande Unità elementare italiana ad avere la caratteristica di multinazionalità sin dal tempo di pace, con al proprio interno ufficiali e sottufficiali ungheresi e sloveni nello staff, e Reparti dei due Paesi che gli sono dedicati per l’impiego. Poi la spina dorsale del dispositivo militare, che sarà formata dagli Alpini dell’8º reggimento provenienti dalle due sedi di Cividale e Venzone, che entreranno in teatro operativo con la loro Bandiera di Guerra. A loro saranno affiancati i Genieri del 2º reggimento genio guastatori di Trento, i Trasmettitori del Reparto Comando della Julia e, successivamente, sarà probabilmente immesso anche personale proveniente dal 7º reggimento alpini di Belluno. A Herat, sempre inquadrati nel nostro Comando, troveremo poi militari di altre Forze Armate e di altre Nazioni, in particolare dell’Aeronautica Militare per la gestione dell’aeroporto e degli aspetti legati agli elicotteri, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza per l’addestramento delle Forze di Polizia, della Marina Militare per la sicurezza vicina e poi spagnoli, sloveni ed albanesi per quanto riguarda le forze di manovra e di sicurezza. Da non dimenticare l’importante funzione dell’assistenza spirituale, offerta nel periodo in esame dal Cappellano della Julia. Insomma un notevole gruppo di elementi che lavorano assieme per uno scopo comune .

    Generale, parlava precedentemente di tre pilastri, può essere più dettagliato?

    Assolutamente: sicurezza, ricostruzione, governabilità! Ogni Alpino vi risponderà con queste tre parole per definire i tre ambiti dove è necessario lavorare per migliorare la situazione di questo tormentato Paese. La sicurezza deve essere ricercata sia mediante la presenza sul territorio di Forze ISAF che pattuglino l’area garantendone la normalizzazione, sia mediante l’aumento della presenza delle forze governative. Per fare questo non solo l’Italia, ma tutte le Nazioni che partecipano alla Coalizione, hanno dato disponibili un certo numero di ufficiali e sottufficiali che addestrano il personale dell’Esercito Afgano nelle tecniche e tattiche militari più avanzate, ma, forse più importante, insegnando quei valori che sono considerati consolidati per noi occidentali. La ricostruzione è affidata, dal punto di vista militare, ai Provincial Reconstruction Team (PRT) di cui quello di Herat è a guida italiana, quello di Qal e Now è spagnolo, quello della provincia di Badghis dislocato a Chaghcharan è lituano, mentre quello a sud, nella provincia di Farah, è a guida statunitense. Si tratta di strutture miste composte da unità militari e civili con il compito di concorrere al processo d’espansione della NATO in Afghanistan, assicurando il supporto alle attività di ricostruzione condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nella regione. Il PRT è anche in grado di esprimere una presenza militare vigile, discreta e rassicurante per la popolazione locale e a tal fine fa uso di un limitato numero di mezzi militari (fatte salve le imprescindibili esigenze di sicurezza) e fa ricorso a mezzi civili affittati in loco. A latere dei progetti ufficiali di ricostruzione ed aiuto umanitario, concepiti o
    rganizzati e condotti dai PRT, ci sono anche quelli, diciamo informali ma non per questo meno importanti: in questo ambito si pone per esempio il meritorio sostegno voluto dall’ANA e dal presidente Corrado Perona a favore dell’ammodernamento del Reparto Grandi Ustionati dell’Ospedale di Herat che, svolto nell’arco di tempo affidato alla Julia, si concluderà con l’apposizione di una targa riportante il logo dell’Associazione all’ingresso dell’Ospedale .

    E il terzo pilastro, non meno delicato, quello della cosiddetta governabilità ?

    Si tratta di una brutta traduzione dall’inglese governance , che indica però non solo la capacità di governare, ma anche il livello d’accettazione di tale capacità. Mi spiego meglio: l’Afghanistan è come noto caratterizzato da strutture sociali di stampo tribale: non è possibile imporre con la forza la volontà del governo centrale: per ottenere il successo è necessario che la bontà di una scelta centralizzata venga accettata e fatta propria dalla tribù che detiene la leadership nella particolare provincia. Per facilitare questo processo le principali Nazioni hanno ricevuto il compito di interessarsi di una specifica particolarità statuale, all’Italia ad esempio è stato assegnato il progetto di ricostruzione del sistema giudiziario, mentre nuclei di Carabinieri e della Guardia di Finanza contribuiscono all’addestramento della Polizia locale e della Polizia di Frontiera .

    In Afghanistan si parla (lo dice il presidente Karzai) di ridiscussione delle regole d’ingaggio. Come, realmente, vengono o possono essere impiegati i nostri militari, e gli Alpini in particolare, in quel teatro che è sempre meno chiaro e sempre più delicato.

    Le regole d’ingaggio sono l’ombrello legale sotto il quale le nostre Forze si muovono, certe di agire nei limiti autorizzati dal diritto internazionale. Sono quindi un moltiplicatore di forza e non un limite per le cose che devono essere fatte. Alla base delle RoE (Rules of Engagement, le regole d’ingaggio) sono posti i valori della cultura occidentale, e primo fra tutti la progressività della legittima difesa. Mi spiego meglio; se un piccolo gruppo di dimostranti lancia delle pietre contro i nostri Alpini, loro possono opporsi con metodi adeguati, ad esempio, lanciando fumogeni o lacrimogeni per disperderli, ma senza sparargli addosso con intento di uccidere. Ancora, se dal gruppo di facinorosi proviene qualche sparo, allora si è autorizzati all’uso delle armi per proteggere se stessi, i propri beni e le persone o cose che sono sotto la nostra tutela .

    Generale, in genere si parla di missioni di pace , si esalta, giustamente, l’aspetto umanitario quasi tralasciando quello militare, con i rischi annessi e connessi, come se il popolo italiano non fosse adulto abbastanza per accettare la realtà.

    Non direi che la popolazione nazionale non sia abbastanza matura per apprezzare la giusta dimensione delle operazioni militari: abbiamo, purtroppo, avuto l’esempio di Nassiriya, quando nel momento del dolore seguente all’attentato, le Forze Armate hanno sentito forte il sentimento di vicinanza di tutti gli Italiani. Per fortuna non tutte le missioni militari attualmente in svolgimento sono allo stesso livello di difficoltà, la Bosnia ad esempio induce a ben sperare, il Kosovo è indice di miglioramento, il Libano mantiene la sua cornice d’insicurezza ma attualmente è stabile. Per l’Afghanistan il discorso è complesso: il Paese sta faticosamente cercando di entrare in un’orbita di democrazia e cooperazione, ma tante forze sia interne sia esterne ne rendono difficile il miglioramento in maniera sensibile .

    Ci possono essere missioni di pace senza soldati armati?

    È una bella domanda: intanto farei mia la proposta di cambiare il modo di dire da Soldati di Pace a Soldati per la Pace . Si tratta di preposizioni che avrebbero un grande valore non solo lessicale, ma anche nel comprendere meglio lo scopo delle missioni che i nostri Alpini svolgono in territori lontani .

    Se dovesse dare una risposta secca

    La risposta secca alla domanda è molto semplice: no. In un mondo ideale, dopo aspri periodi di guerra sarebbe naturale che gli uomini bramassero la pace, che venissero a miti consigli, che ci fosse naturale e diretta cooperazione per facilitare lo sviluppo e cancellare le brutture e le sofferenze prodotte dalla guerra. Invece, purtroppo, nel vuoto delle istituzioni statuali che segue la caduta di un regime, questa buona volontà non c’è, e nell’assenza di leggi e di difensori istituzionalizzati delle stesse, si formano bande spontanee di violenti che taglieggiano la popolazione cercando magari di realizzare un loro governo privato . In questo vuoto di potere quindi, si muovono le Forze che, immesse in un territorio lontano dalla madrepatria, ma sotto egida d’organizzazioni sovrastatali come l’ONU o la NATO, cercano di sostenere il democratico sviluppo d’istituzioni statuali ed il miglioramento della situazione economica e quindi lo sviluppo generale del Paese .

    Sul fronte dell’informazione: le notizie giungono solo quando ci sono incidenti. Quelle inviate dai reparti sono abbastanza simili: distribuzioni di viveri, ricostruzione del ponte, consegna dei pozzi Sarebbe interessante avere informazioni sulla giornata tipo dei nostri reparti. Lei dirà che è compito dei giornalisti andare a vedere. Ha ragione, ma

    Ma non sempre è possibile. Per questo motivo all’interno dei reparti sono realizzati i nuclei Stampa e quelli Combat Camera, che seguono le unità in operazione. Per quanto riguarda l’informazione in generale, direi che è normale l’andirivieni ondivago della stessa: se non c’è notizia non c’è interesse; quando succede qualcosa di straordinario, nel bene o nel male, allora ci si scatena alla ricerca di dettagli. Per fortuna, invece, la giornata tipo dell’Alpino per tante mattinate è d’assoluta routine, lontana dai clamori di fatti eclatanti. Ci si sveglia prima dell’alba, se si è di pattuglia si ricevono gli ordini e si esce in missione, per strada s’incontrano i venditori locali che dall’interno dei loro poveri negozi ci salutano a mano aperta, si scambia tramite interprete qualche parola con gli anziani del villaggio dove siamo arrivati, si dona qualche bottiglietta d’acqua o qualche snack ai ragazzini che ci vengono incontro, si tiene l’attenzione più alta quando s’incrocia un veicolo che è parcheggiato in modo anomalo, quando si attraversa un ponte o quando si vede qualche strana protuberanza sul manto dell’asfalto. Si rientra in Base a fine turno, si fa il debriefing di cosa è stato fatto in sala operativa, si fa pulizia armi, la doccia, magari si fa una breve telefonata alla morosa, si guarda un film e si va a dormire presto. Domani si è di pattuglia notturna: farà più fresco .

    Lei ora andrà ad assumere il comando in un territorio particolarmente turbolento, accompagnato ne siamo certi dall’affetto di tutti gli Alpini in congedo e dalla stima che gli italiani perbene hanno per i nostri militari. Cosa prova alla vigilia della partenza?

    Sicuramente una grande responsabilità, corroborata però da altrettanta serenità. Certo, bisogna avere sempre un pizzico di fortuna, ma infonde una certa tranquillità la consapevolezza che i nostri Alpini si sono preparati a fondo per questa difficile missione, e che l’equipaggiamento ed i materiali in dotazione, pur se continuamente soggetti ad ult
    eriori miglioramenti, sono all’avanguardia. Di concerto con il Comando Truppe Alpine abbiamo lavorato in questo senso per equipaggiare tutte le Unità con i nuovi Veicoli VTLM, detti Lince , che hanno caratteristiche antiscoppio e antiproiettile di prim’ordine. E poi, dal punto di vista morale, siamo gli eredi di coloro che hanno portato con onore lo scudetto della Divisione Julia sul bavero, siamo i custodi delle Bandiere di Guerra decorate con le Medaglie d’Oro dei Reggimenti, siamo solidi, determinati e preparati. Siamo la Julia!, una Grande Unità elementare alpina, amata dalla popolazione e stimata in ambito militare, caratterizzata da grande solidità, che fonda le proprie radici in una tradizione storica di assoluto rilievo; grande modernità, che vede nella capacità di operare con risultati di eccellenza assoluta nella realtà operativa moderna il proprio futuro, dove professionalità, flessibilità e multinazionalità sono il valore aggiunto; e grande apertura verso il mondo esterno e della comunicazione .

    IL GEN. B. PAOLO SERRA

    Il generale di brigata Paolo Serra nel 1979 ha conseguito il grado di tenente degli alpini ed è stato assegnato ai reparti della brigata Taurinense con i quali ha partecipato a numerose esercitazioni in Norvegia, Danimarca e Germania, nell’ambito della Forza Mobile Alleata. Nel periodo dicembre 1986 marzo 1987 è stato in Antartide con la seconda spedizione italiana dell’ENEA MURST. Dal 1990 al 1993 ha prestato servizio alla Brigata Orobica a Merano e, successivamente, alla Tridentina a Bressanone. Dal 1994 al 1996 ha comandato il battaglione Susa di Pinerolo, intervenendo in soccorso delle popolazioni del Piemonte colpite dall’alluvione e partecipando in Calabria all’operazione Riace . Nel 1999 ha comandato il 9º Reggimento alpini, a L’Aquila, con il quale ha partecipato all’Operazione Joint Guardian in Kosovo. Dal 2004 al 2007 ha ricoperto l’incarico di Addetto Militare per l’Esercito presso l’Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti con accreditamento secondario in Messico. Il 31 agosto 2007 ha assunto il comando della Brigata Alpina Julia . Possiede numerose qualifiche e brevetti, tra cui quello di paracadutista abilitato al lancio vincolato, pattugliatore scelto, pattugliatore a lungo raggio, istruttore militare di sci e di alpinismo ed esperto di neve e valanghe.

    Pubblicato sul numero di ottobre 2008 de L’Alpino.