Scritti… con la divisa

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    In attesa di altre lettere, inviate o ricevute durante il servizio militare negli anni ’40, ’50 e ’60 o anche di diari, entrambi con eventuali note che ne specifichino il contesto, continuiamo con quelle che abbiamo iniziato a trascrivere e commentare nel numero scorso. Si ricorda che gli scritti devono essere d’annata, cioè vergati durante la naja, e non racconti successivi. La recluta descrive alla mamma come ha passato la Pasqua.

     

    Montorio Veronese, 6 aprile 1959 – La mattina la Messa, mezzogiorno rancio speciale: salati, risotto, pollo al forno, 2 mele, 1 arancia, vino rosso, vino bianco e colomba (1 ogni 4); al pomeriggio sono andato al cinema in caserma e alle 6 (ore 18) sono uscito per la prima volta in libera uscita e ho girato un po’ per S. Michele (un paese qui vicino)… Ed ora termino, chiedendo scusa dello scritto un po’ sconclusionato e della scrittura di gallina, ma a scrivere qua sulla branda bisogna fare acrobazie. Volevo andare dal cappellano, dove si può entrare tutti e dove ci sono delle belle scrivanie per scrivere, ma non ho potuto perché ho dovuto fare il bucato e mi è venuto tardi”.

    Non sembri strano che il prossimo artigliere alpino si soffermi a descrivere la festa di Pasqua e il rancio. È di un paese di montagna dove tra le feste, quelle più solenni, ci sono Pasqua, Natale e quella patronale, giornate nelle quali anche il pranzo è è qualcosa di speciale per gente che spesso ha sulla tavola solo l’essenziale; pranzo da consumare in famiglia, dopo le funzioni comunitarie. Il messaggio che vuol dare deve essere sintetico e immediato. In primo luogo vuol comunicare alla mamma che ha adempiuto al precetto pasquale e che anche in caserma, la Pasqua, si festeggia con un buon pranzo, migliore di quello consumato nel passato in famiglia, quindi non deve preoccuparsi per lui. Hanno persino servito una colomba per ogni quattro commensali, in più c’era anche lo spumante, cosa mai vista in casa. Vuole inoltre tranquillizzare la mamma della vita al Car. Nelle numerose lettere traspare che intende la caserma come una famiglia allargata, dove il superiore è come un papà, delle volte burbero ma non cattivo, e il cappellano è un po’ come una mamma, al quale si confessano le marachelle, si confidano aspirazioni e timori e si chiedono consigli. Infatti, scrive, dal cappellano si può entrare tutti. Quel cappellano che, quando gli aveva parlato dei suoi progetti fatti con la morosa, gli aveva insegnato che la famiglia è come un mattone e con i mattoni si fa una casa, un paese, ma se questi si sgretolano crolla tutto. Intanto si avvicina il giorno del giuramento, confermato per il 3 maggio, e ci sono i problemi per la presenza dei familiari e per il pranzo.

    Montorio, 24 aprile 1959 – …per quanto riguarda il mangiare… probabilmente 2 familiari per recluta potranno mangiare in caserma, pertanto sarebbe bene veniste tutti; due mangiano in refettorio e gli altri prendono qualcosa (al sacco) perché andare a S. Michele c’è tanta strada e poi quel giorno lì le trattorie saranno piene.

    L’invito è chiaro, deve venire tutta la famiglia – la mamma, il fratello maggiore, esonerato perché capofamiglia, e le tre sorelle – per assistere al suo giuramento. Con la mamma – una ragazza del ’99 che ha perso un fratello nella Grande Guerra – è d’accordo da tempo che ci siano tutti perché per lui è un evento molto importante. Sulle montagne lombarde, dove abitano, la parola data è come un giuramento e un giuramento è come un sacramento e alle cerimonie dei sacramenti deve assistere tutta la famiglia. Valori d’un tempo, valori radicati nell’animo di semplici montanari. Il giorno del giuramento sono tutti lì a cercare di individuare il loro caro, impossibile in quella fiumana di cappelli alpini che sfilano per raggiungere il piazzale della cerimonia, ma loro sanno che sotto uno di quei cappelli c’è lui e tra le voci che gridano “lo giuro!” c’è anche la sua voce. E poi gli abbracci a fine cerimonia e il rancio in refettorio per la mamma e il fratello accanto alla recluta diventato soldato. Intanto si avvicina il tempo di lasciare il Car e raggiungere il reparto di destinazione. Il nostro artigliere alpino è impaziente di andare al reggimento “perché vado vicino alle montagne”; il suo è il 6º, gruppo Pieve di Cadore di stanza nella caserma Giuseppe De Gol in Strigno, posta dirimpetto alla maestosa parete nord dell’Ortigara.

    Strigno, 19 maggio 1959 – La caserma si trova in una buona posizione al centro di una conca circondata da belle montagne. Strigno si trova in Valsugana a una decina di km da Levico Terme. Della vita di caserma non so ancora come va, ma il mangiare e il dormire è migliore”.

    E giunge subito il campo estivo.

    Padola, 3 giugno 1959 – Cara mamma, ti scrivo da Padola dove sono giunto oggi per fare il campo estivo. Stamattina siamo partiti alle 5 da Strigno e siamo arrivati alle 13.30 (sempre in camion). Abbiamo dovuto lavorare tutto il pomeriggio a sistemare le tende e i vari servizi. Dormiamo in 7 per tenda. Ci troviamo a 1.200 metri (e rotti) di altezza, in mezzo alle Alpi Carniche … Qua fa ancora freschino, perché le montagne qui in giro sono ancora tutte ricoperte di neve … poco lontano da noi ci sono i Gruppi Agordo (Feltre) e Lanzo (Belluno). Ci fermiamo qui per 20 giorni… Io sto bene e l’aria di queste montagne mi fa venire molta fame, il mangiare c’è perciò non posso lamentarmi … Salutami tutti a casa e scusami dello scritto, ma capirai che in tenda, per di più alla luce di una candela perché non hanno ancora finito l’impianto della luce, non si può badare molto alla forma e alla scrittura…

    Dopo più di otto ore di sballottamento sulla panchina di un camion e un pomeriggio trascorso a piantare tende, questo nostro artigliere alpino non riesce a trattenere la voglia di comunicare alla mamma le novità della giornata e si mette a scrivere al lume di candela. E la mamma è altrettanto pronta a rispondere, a informarlo della vita di casa e del paese ed a fargli mille raccomandazioni, tra cui: “Ricordati che domenica è il tuo onomastico, di andare a Messa e se possibile andare a confessarti, non farti vergogna di essere cristiano”. Figli e mamme d’una volta.

    Luigi Furia
    luifuria@gmail.com