Permettimi queste poche righe per ricordare Eugenio Corti, scomparso a 93 anni lo scorso 4 febbraio, considerato, credo a ragione, uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, ma purtroppo da troppo pochi conosciuto e letto.
Anche la sua vocazione, come quella del suo grande amico don Carlo Gnocchi, si chiarì dopo la campagna di Russia, cui partecipò con il 21° reggimento artiglieria. Nel 1947 venne pubblicato il suo primo romanzo “I più non ritornano”. Ebbi la fortuna di ascoltarlo a Udine, una quindicina di anni fa, quando iniziavo a frequentare l’ANA e a vivere il mondo alpino come esperienza determinante della vita. Il suo racconto della “Liberazione”, risalendo la Penisola insieme agli Alleati inquadrato in quello che restava del Regio Esercito (da qui il romanzo “Gli ultimi soldati del re”), mi diede i criteri per saper giudicare quanto accaduto in quegli anni nelle nostre Terre, sul confine orientale, per studiare e capire quella storia, che qui ha visto coinvolte le nostre famiglie, ma che mai nessuno dei miei professori aveva saputo, o voluto, affrontare nelle sue lezioni. Ho iniziato così a leggere i suoi romanzi. “Il Cavallo Rosso” mi ha definitivamente consegnato al mondo alpino: lì si legge, senza retorica o senza facili stereotipi, il coraggio, lo spirito di Corpo, la fierezza che contraddistinsero durante la ritirata di Russia gli alpini e i loro ufficiali, a differenza di quanto avvenne negli altri Reparti. Un altro libro che sta segnando la mia esperienza di presidente è “L’isola del Paradiso”, un racconto sugli ammutinati del Bounty e sul loro sogno utopico di costruire una comunità senza leggi e senza religione. Da lì sto imparando che il nostro agitarsi, il nostro muoversi è vano se ci affidiamo alle nostre forze senza riconoscere che siamo solo umili strumenti di un grande disegno che Uno ha preparato per noi.
Pierluigi Parpinel – presidente sezione Cividale
Credo che di Eugenio Corti (nato a Besana in Brianza il 21 gennaio del 1921 e a Besana morto il 4 febbraio scorso) sentiremo parlare ancora a lungo. La sua figura infatti non si impone solo per le vicende militari, ma anche per quelle letterarie. Pur essendo laureato in Giurisprudenza, in realtà il suo vero carisma fu proprio preminente in ambito letterario. Non va dimenticato che nel 2011 egli fu proposto ufficialmente come candidato al premio Nobel per la Letteratura. Quanto alle sue vicende di soldato, oltre agli scenari della Russia, dove il suo reparto perse 13 mila uomini, va ricordato che benché gravemente malato, una volta rientrato in Italia, rifiutò il ricovero in ospedale, ma si portò in Puglia, per risalire il Paese con le truppe alleate di Liberazione. Fu un acerrimo nemico delle dittature, quella nazi-fascista prima e quella comunista poi. Era la sua matrice cristiana, profondamente coerente, che lo portava a rifiutare qualsiasi cultura di sopraffazione sulla persona umana. Fu anche in ragione di questa sua palese avversione all’ideologia marxista, resasi più palese a partire dagli anni Sessanta, che non sempre incontrò quei riconoscimenti che la sua creatività letteraria gli avrebbero meritato. Ma è indubbio che le sue opere, basti ricordare anche e soltanto “Il Cavallo rosso”, sono dei capolavori con cui bisogna fare i conti, per rendere giustizia all’uomo e alla storia.