Questa non l'Italia delle cricche

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    La prima domanda che ti fai, quando li guardi passare, è perchè? Perchè per dodici ore filate, dal mattino e sino a quando fa buio, cinquecentomila alpini sfilano sotto la pioggia cantando e applaudendo le migliaia di bergamaschi che li applaudono e stanno lì, incuranti dell’acqua, del vento, del freddo, inchiodati alle transenne sino a quando l’ultima penna nera non viene inghiottita dalle altre che l’hanno preceduta.

    Perchè, per tre giorni, Bergamo, roccaforte leghista letteralmente ricoperta di tricolori, si sia lasciata pacificamente invadere da questo esercito di gente per bene che, in città e in provincia, spunta dovunque e dovunque riscuote simpatia, generosità, stima. Perchè gli alpini siano cosi bravi da essere unici. La risposta è sempre la stessa. Perchè gli alpini sono una gigantesca nuvola di aria pulita che si oppone all’inquinamento della cattiva politica, del malaffare, della corruzione, delle cricche che infestano il nostro bellissimo Paese.

    Dove, per fortuna, c’è ancora gente che ogni giorno fa il proprio dovere, che non ruba, che Questa non è l’Italia delle cricche non imbroglia, che aiuta il prossimo, che parla poco e agisce molto. Non c’è stata nè retorica nè demagogia in questo impressionante raduno, per partecipare al quale c’è stato anche chi è venuto dall’Australia e dal Sudafrica. C’è stato l’orgoglio, lo spirito di appartenenza ad un Corpo che, in guerra (in Afghanistan ora c’è la Taurinense) e in pace, è sempre degno della sua storia e delle sue tradizioni.

    Avreste dovuto vedere la commozione degli alpini abruzzesi quando la ribalta è toccata a loro e avreste dovuto sentire le cento, mille storie di coraggio, di solidarietà, di spirito di sacrificio raccontate a ogni angolo di strada, e quando sono passati gli alpini della Protezione Civile, della quale sono l’architrave, hanno scatenato un boato da pelle d’oca, il pensiero è corso a quelli che, invece, la notte del terremoto all’Aquila, ridevano come jene pensando agli affari che avrebbero lucrato. Le jene, di solito, fanno una brutta fine.

    Xavier Jacobelli
    direttore Quotidiano.net

    Pubblicato sul numero di luglio agosto 2010 de L’Alpino.