Sono un caporal maggiore alpino, scaglione 3º/’86, fiero di essere alpino e altre svariate cose, ma soprattutto consapevole di essere un uomo che fa parte di una comunità cittadina e parrocchiale in cui è parte attiva. La premessa è doverosa, in quanto ho letto spesso sul suo e nostro bel giornale le lamentele di tanti fratelli alpini che ai funerali non sono stati “onorati” con la Preghiera dell’Alpino, o con il picchetto per incomprensioni con l’officiante.
Capisco che dispiaccia non essere considerati, ma lasci che spezzi una lancia, come altri hanno già fatto, in favore dei parroci, che ben conosco almeno nella mia diocesi. Mi spiace infatti vedere continue lamentele nelle lettere a lei inviate, avvallate in qualche modo dalle sue risposte, che richiedono, a me sembra, l’applicazione del buonsenso ma in modo un po’ troppo unilaterale. Sarebbe forse ora di prendere una posizione netta e tagliare una volta per tutte questo chiacchiericcio. Le celebrazioni funebri hanno una loro liturgia, dei riti, e noi alpini dovremmo comprendere meglio di altri il senso di un rito. Ci domandiamo, prima di “intrometterci” con i nostri “riti” se l’officiante, “il comandante della piazza” ha previsto l’intervento? Domandiamocelo e parliamogli… non ho mai visto un parroco, contattato prima con gentilezza e senza voler apparire come depositari di una verità altra, rifiutarsi di far pregare gli amici per il defunto, siano essi alpini, granatieri di Sardegna o palombari di Svezia. Certo, occorre oltre alla gentilezza, anche la consapevolezza che si va a partecipare ad una celebrazione che non è nostra, ma di una comunità parrocchiale che sta celebrando un suo lutto, insieme alla famiglia dell’alpino defunto… ce ne rendiamo conto o partiamo a plotoni affiancati come gli zulù? Sentir leggere la Preghiera dell’Alpino, il coro che canta “Signore delle cime”, l’onore delle armi al passaggio del feretro al termine del rito è bello e consolante, per la famiglia e per la comunità, ma tutti questi “riti” devono far parte della celebrazione, non esserne staccati come si volesse celebrare una diversità. Con grande stima ed affetto la saluto e le auguro ogni bene, ed attraverso lei saluto tutti gli alpini miei compagni d’arme e di servizio…
Federico Sebastiano Barisione
Caro Federico, grazie di queste tue sottolineature, piene di saggezza e di equilibrio. Quanto tu dici ha un effettivo fondamento di verità. Il modo di relazionarsi è sostanza e sono convinto che la cordialità sia il primo lasciapassare per trovare accoglienza alle nostre richieste. Però, credimi, ragionando dal di dentro, non sempre una certa ostilità dipende dal nostro modo di chiedere. Sussiste purtroppo qualche sacca di pregiudizio, che ci vorrebbe “amici” delle armi e quindi anti evangelici. Non lo dico per spirito polemico, ma pensando a certe dichiarazioni apparse anche recentemente sui media locali.