Penne nere ovunque, un record per Trieste

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    DI PIETRO SPIRITO

    Le avanguardie sono arrivate piantando tende e salmerie in pieno centro, nelle aiuole di fronte al palazzo di Giustizia, nella pineta di Barcola dove d’estate la gente prende bagni di sole e di mare – con quattro giorni di anticipo. E con il passare delle ore la fila dei camper parcheggiati si è via via ingrossata, gli accampamenti si sono moltiplicati, le stanze e ogni altro spazio disponibile munito di tetto è stato riempito. Si sapeva che la sesta Adunata triestina sarebbe stata da record per la coincidenza con il cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia, ma un esercito di 400 mila persone fra penne nere e familiari al seguito nessuno se l’aspettava. Ora immaginate una città di 250 mila abitanti in diminuzione, affacciata sul mare, che viene invasa dal doppio degli individui che la abitano, in un crescendo di allegra confusione a metà tra la fiera e il carnevale concentrata soprattutto sul fronte mare, e avrete un’idea di cosa è stata Trieste per i tre giorni della 77ª Adunata. C’erano penne nere ovunque: per le strade – ovviamente – e poi nei locali, sul lungo mare, fra i boschi del Carso.

    Un brulicare di cappelli con la penna nera attorniati da tricolori di ogni forma e dimensione, una fiumana che ha riempito ogni luogo pubblico, dalle sale di teatri e parrocchie per la lunga serie di manifestazioni corali, fino ai vasti saloni della Stazione Marittima dove si è tenuto l’incontro ufficiale con le delegazioni estere provenienti da 35 nazioni e dove, nei locali al pianterreno, è stata allestita una mostra storica di grande effetto, che ha registrato la bellezza di 120 mila visitatori. Mai la città aveva ospitato tanta gente in una sola volta. Gli attendamenti erano dappertutto. Persino il silenzio sacrale del santuario di Monte Grisa è stato rotto dagli allegri e laici cori di montagna, quelli del Gruppo alpini di Collebeato, che hanno piantato le tende a ridosso del santuario assieme ai gruppi delle sezioni ANA di Marostica e Riforano. In realtà sull’altopiano carsico gli attendamenti erano forse meno numerosi di quanto si poteva supporre considerata l’estensione dei luoghi, ma erano senza dubbio i più bucolici. Come quello allestito nel podere di Urbano Palumbo, a Opicina.

    Nel mezzo del bosco, nel silenzio della natura, sono state alzate tende e tensostrutture per la mensa del 151° Corso Smalp, la Scuola militare alpina di Aosta. Non stavano male neppure gli alpini di Grevo (Brescia), ospitati, a Prosecco, nella sede foresteria dell’«Alpina», la squadra di baseball che milita in A2. Il presidente della squadra, Igor Dolenc, aveva messo a disposizione quello che è un vero e proprio piccolo albergo, pensando bene di unire «Alpina» e alpini. Ma tende, tendine, tendoni erano sparpagliati in ogni dove, disegnando una geografia solo apparentemente improvvisata. Nei giorni del raduno le penne nere hanno avuto la possibilità di visitare in lungo e in largo Trieste. Presi d’assalto i musei (gratuiti per l’occasione, con 70mila presenze solo al Castello di San Giusto), e i luoghi della memoria, dalla Risiera di San Sabba (30 mila presenze) alla Foiba di Basovizza. Ma sarebbe lungo analizzare i mille aspetti di un’adunata dalle mille anime e un solo cuore.

    Si può allora tentare una sorta di contabilità finale: 1.000.000 sono stati gli spettatori che hanno seguito la sfilata in televisione, 400.000 i chili di rifiuti giornalieri smaltiti (il doppio del quantitativo di immondizia prodotta e raccolta ogni giorno in città), 1.015 i gabinetti chimici provvisori sistemati in vari punti, 1.000 i segnali di divieto di sosta lungo le vie e le strade del centro, otto i chilometri di transenne utilizzate, 285 i vigili urbani in servizio, 100 la media giornaliera delle chiamate al pronto soccorso, 50.000 i tricolori appesi alle finestre di case e palazzi, 11 le ore totali di sfilata, 106 gli anni dell’alpino più anziano. Questa è stata la 77ª Adunata degli Alpini. Provate a ripeterla.