Missione Afghanistan: partono anche i muli. Anzi, no

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    Dieci anni dopo la ‘messa in congedo’ dei muli, mezzo di trasporto del Corpo degli alpini per oltre un secolo, sembra che le truppe di montagna siano costrette
    a ‘ri arruolare’ i robusti quadrupedi, indispensabili per gli spostamenti sugli impervi terreni afghani dove gli autoveicoli si muovono con grandi difficoltà. Interpellato, il Corpo smentisce, e spiega che il ritardo nella partenza degli Alpini per Kabul è dovuto ‘a motivi tecnici’. Ma un insistente tam tam negli ambienti politici romani rilancia la notizia, aggiungendo che si è dovuto correre ai ripari correndo a comprare muli (ne occorrono, pare, almeno una quarantina) non solo in Italia ma pure nella vicina Slovenia. In più però ci vogliono basti e finimenti e un corso di formazione: caricare e condurre un mulo è infatti tutt’altro che semplice
    Ripresa dalle agenzie di stampa e da numerosi quotidiani, questa sconcertante notizia è stata pubblicata da Il Gazzettino il 3 gennaio scorso. Molti hanno sorriso, di sicuro non certo allo Stato Maggiore. Comunque sia, il portavoce così parco nel fornire notizie alla stampa si è subito precipitato a smentire.
    Niente muli agli alpini che andranno in Afghanistan il mese prossimo, dunque?
    Di sicuro non si tratta di una notizia campata in aria: qualcuno, almeno un pensierino, deve avercelo fatto. Certo, a pensar male secondo un navigato politico ricco di esperienza si fa peccato ma ci si azzecca. Può darsi che qualcuno dopo aver pensato ai muli si sia reso conto che non si trovano dietro l’angolo e che, soprattutto, con i muli occorre arruolare anche i conducenti, che non si addestrano in poche settimane?A meno di non richiamare in servizio i vecchi conducenti, quelli che i muli li hanno salvati dal macello, comperandoli dallo Stato Maggiore che ora vorrebbe, pardon!, si credeva volesse arruolarli di nuovo.

     

     

     

    La storia del muli è comunque abbastanza significativa e ci porta a dire che forse anche la leva, un bel giorno, sarà ripristinata. Dopo che si sarà acuito il fenomeno della carenza di volontari e perfino di VFA, carenza segnalata fin d’ora proprio dal capo di Stato Maggiore dell’Esercito in una sua recente relazione al Centro alti studi della difesa.
    Si sta scoprendo che forse avevamo ragione quando affermavamo che il nuovo modello di Difesa andrebbe ripensato, valutando i diversi compiti che un esercito moderno, il nostro compreso, è chiamato ad assolvere.
    Che ci sono impegni internazionali i quali possono richiedere l’intervento di truppe addestrate al combattimento, che ci sono missioni internazionali di mantenimento della pace e umanitarie, che c’è una difesa interna territoriale dalla quale poter anche attingere per i professionisti. Tre aspetti diversi di una struttura che oggi appare inadeguata.

     

     

     

    Queste considerazioni non ci impediscono di essere orgogliosi dei nostri alpini, e massimamente di coloro che si preparano ad andare nel difficile e insidioso territorio afghano. Li accompagneranno i voti degli alpini in congedo e, siamo certi, di tutti gli italiani. Attendiamo con trepidazione il loro ritorno, a missione compiuta.