Parlare della Messa in Duomo è raccontare una cerimonia che da 61 anni permette a migliaia di alpini di ritrovarsi la seconda domenica di dicembre. Quanti ne ho conosciuti in tutti questi anni: da Peppino Prisco che iniziò l’evento in ricordo dei suoi commilitoni del battaglione L’Aquila, ai tanti presidenti nazionali e sezionali. Oramai non conto più quante volte vi ho partecipato. In 52 anni di iscrizione all’Ana, penso di averne perse poche. Si iniziò nel Civico Tempio di San Sebastiano di via Torino, chiesa di proprietà del Comune di Milano, poi ci spostammo nella chiesa di San Carlo e infine in Duomo.
Il crescente numero di partecipanti ci portò nella chiesa cattedrale. Ogni volta il rito si rinnova e si riabbracciano i compagni di naja, gli amici delle altre Sezioni e degli altri Gruppi. E ogni volta siamo sempre di più. Viene quindi da chiedersi: da cosa dipende il successo di una cerimonia che riunisce così tanti alpini, anche da località lontane? Sappiamo tutti quanto desideriamo ritrovarci e stare insieme. Basti pensare all’Adunata nazionale dove superiamo i problemi legati alla distanza e ai disagi: quando squilla la tromba dell’Adunata gli alpini si organizzano sempre per tempo e si mettono in moto. Così fanno anche per la Messa in Duomo a Milano.
Durante la cerimonia, ogni anno, doniamo all’officiante, sia egli cardinale o vescovo non a caso, il Libro verde della solidarietà edito dall’Ana. Quando lo consegno ripeto sempre la stessa frase: «Questo è quello che fanno gli alpini d’Italia», quasi sempre in silenzio, come ebbe a dire il compianto Papa Giovanni XXIII: “Il lavoro è preghiera”. Quindi quando operiamo a favore dei nostri fratelli più sfortunati, non siamo mai lontani da Dio, perché il nostro lavoro diventa preghiera. Diminuisce il numero totale di alpini iscritti – l’anagrafe è purtroppo inesorabile – e aumentano ogni anno le presenze a questa cerimonia.
Riflessione: forse perché diminuendo o assottigliandosi le nostre file, si sente maggiormente il dovere, la voglia di stare insieme, anche in momenti dove l’alpino pensa alla sua storia personale, al suo passato legato naja e al suo presente in Associazione. La voglia di appartenere a qualcosa di pulito, di sentirsi partecipi della comunità nella quale si vive e si opera, dove si dà volentieri una mano nei momenti difficili come quelli di un terremoto o ai piccoli problemi della quotidianità. Siamo un’Associazione pienamente integrata nella società civile, un esempio concreto di cosa dovrebbe essere un’associazione d’Arma nel terzo millennio. Ricordare e celebrare accanto all’operare proprio in memoria dei nostri Caduti.
Perché questo è il modo più solenne per non dimenticare. E il mio personale ricordo legato a questa cerimonia va indietro nel tempo fino a quando in piazza Duomo era schierata un’intera Compagnia del 5º Alpini, reggimento lombardo per eccellenza. I genitori venivano con orgoglio a vedere i propri figli schierati e impettiti, e li indicavano ai compaesani. Quanti comandanti del 4º Corpo d’Armata Alpino e dell’attuale comando Truppe Alpine sono passati e quanti ho conosciuto in tutti questi anni! Ricordo la gioia e la fierezza che ho provato quando ero ormai in congedo e vidi il mio comandante presente a questo appuntamento. E poi ricordo i discorsi. Quelli di Peppino Prisco che pur toccando sempre temi d’attualità, non ha mai dimenticato i suoi commilitoni rimasti in terra di Russia. Molti, tanti amici sono “andati avanti” e noi dobbiamo doverosamente ricordarli. Io vorrei ricordarne uno che mi pare ci possa rappresentare tutti.
L’anno scorso ho accompagnato sull’altare il compianto gen. C.A. Luigi Morena, per recitare la Preghiera dell’Alpino. Era per lui un motivo di vita arrivare a Milano per la Messa in Duomo; cominciava qualche mese prima telefonando a chi avrebbe dovuto andare a prenderlo ad Aosta, a chi lo avrebbe recuperato al mattino della domenica, a chi, io, lo avrebbe accompagnato sull’altare perché non si sentiva più sicuro sulle gambe. Insomma un uomo, un alpino che in tutto questo motivo di coinvolgimento, ci ha fatto comprendere fino in fondo la Preghiera dell’Alpino, che era solito chiudere con un momento di pausa, prima del “così sia”, durante il quale ognuno poteva ricordare i Caduti in guerra o in pace, gli alpini “andati avanti”, i propri cari. Uno spirito straordinario quello del generale Morena che dobbiamo conservare come la sua eredità più preziosa.
Ognuno di noi partecipa alla cerimonia in Duomo con il proprio spirito, i propri propositi. Ciò che conta è sentirsi parte della grande famiglia alpina. È così che il ricordo di quanti sono “andati avanti” diviene forte e, unitamente all’atmosfera magica del Natale, ritrova un senso. Sì, anche questo può fare la Messa in Duomo a Milano.
Luigi Boffi
presidente.milano@ana.it
Riscopriamo l’Italia che sa fare
di Pompeo Locatelli, tratto da Il Giornale
Milano, domenica mattina. Le vie del centro si animano al passaggio, ordinato e festoso, degli alpini. Dal marciapiede li osservo sfilare. Non ricordavo dell’appuntamento annuale che hanno in Duomo per ricordare i caduti per la Patria, la nostra Italia. Mi ritrovo a riflettere sul contrasto evidente tra il senso di appartenenza, di giovani e vecchi, che comunicano i loro volti, le loro storie e il triste spettacolo che offre la gran parte dell’italica classe dirigente. L’aria trita della politica con partiti che nascono ogni giorno senza che le persone normali ne avvertano la necessità. L’improvvisazione che regna sovrana nelle stanze affollate dei decisori pubblici. L’assenza generalizzata di un minimo di sentimento riformatore. Domina il vuoto e la distanza siderale dal Paese reale. Lorsignori appartengono solo a se stessi. Ma l’Italia autentica, quella che comunica valori indissolubili, che ha voglia di costruire, la vedo sfilare adesso a un passo da me. Le persone applaudono al transitare delle penne. Il bene è sempre contagioso. Anche la signora Angela, la mia edicolante di fiducia che ancora fa il proprio lavoro con assoluta passione (virtù non comune), ha abbandonato per qualche secondo il suo presidio per unirsi al momento di allegria e memoria. Anch’io sollecito la memoria e rivado ai bellissimi anni di condivisione e amicizia in una delle più antiche società alpinistiche milanesi, la Falc (senza K finale), acronimo di Ferant Alpes Laetitiam Cordibus, diversi soci sono alpini e sfilano. E mi sorprendo a riconoscere che nulla si perde di quel che vale. Già. Benedetta domenica. Per qualche istante lontani da un commento sui Bitcoin o da un’analisi sugli effetti prodotti dall’introduzione dei Pir. Riscoprire l’amor di patria, grazie agli alpini, ha grande valore. Umano. E quindi economico.