Oggi non sono più alle dirette dipendenze del Comando Truppe alpine, ma indossano ancora con orgoglio il nostro cappello. Parlo dei trasmettitori del 2º reggimento Trasmissioni alpino che, assieme ai genieri del 2º reggimento Genio hanno preso parte alla missione umanitaria ad Haiti. Molti erano appena rientrati da Kabul quando è arrivato l’ordine di prepararsi a partire per Haiti.
Prima di partire, consapevoli di ciò che avrebbero trovato, i ragazzi si sono autotassati (di una somma pro capite importante) e con quanto raccolto hanno comprato viveri e generi di prima necessità per rendere ancora più incisivo il loro aiuto. La task force (denominata C4) del 2º reggimento Trasmissioni alpino è dunque partita alla volta di Haiti, inquadrata nel contingente nazionale nell’ambito dell’operazione White Crane , con il compito di garantire le comunicazioni tattiche e strategiche della componente terrestre impegnata a fornire supporto alla popolazione civile.
Il primo e fondamentale obiettivo è stato ovviamente quello di garantire le comunicazioni radio VHF nell’intera città di Port au Prince, dove si concentravano i cantieri della Task Force Genio impegnata nella rimozione di macerie in diversi siti e per far ciò si è dovuta cercare una località in dominio di quota dove installare un ponte radio ripetitore. Il sito è stato individuato nella parte meridionale dell’area di operazione, a circa 1000 metri di altitudine, ed il ripetitore è stato installato nei pressi dell’abitato di Bouttilliers, dove nessuno era ancora intervenuto in soccorso di quella popolazione. Durante la prima installazione degli apparati una signora ha avvicinato i nostri ragazzi chiedendo, in francese, se fosse possibile essere visitata da un medico.
Così, con il consenso del comandante della Task Force Genio, i trasmettitori alpini sono tornati con l’ufficiale medico della base a Buottiliers dove, oltre alla signora, hanno trovato una moltitudine di persone affette dalle patologie più disparate, che da tempo aspettavano che qualcuno si prendesse cura di loro. Di concerto con il Role 2 di Nave Cavour ed i medici dell’ospedale Saint Damien, superando diverse difficoltà logistiche, gli alpini hanno dato il via ad una serie di attività sanitarie che hanno permesso loro di scoprire un altro villaggio nelle vicinanze, fino ad allora sconosciuto.
Il calore con cui sono stati accolti dalla popolazione dei vari insediamenti e la simpatia dei bambini che timidamente cercavano di avvicinarsi ai nostri soldati ha commosso e coinvolto i nostri alpini che sono rimasti profondamente colpiti dalla dignità con cui queste persone vivevano il loro disagio. Benché nessuno avesse chiesto cibo, i volontari del plotone trasmissioni hanno iniziato a portare al seguito i viveri che avevano comprato prima della partenza per distribuirli a quella popolazione per la quale una semplice scatola di tonno e di fagioli superava la quantità di cibo giornaliera di cui normalmente potevano disporre. E così, piano piano le scorte di cibo acquistate in Patria sono terminate e sono state prontamente sostituite dalle razioni da combattimento risparmiate dai nostri ragazzi.
Ora i trasmettitori sono tornati a Bolzano ma un pezzetto del loro cuore è rimasto in quel villaggio sulle alture di Haiti. Questo episodio, che sarà uguale a moltissimi altri, è emblematico perché dimostra che i nostri ragazzi in armi sono esattamente uguali agli alpini che li hanno preceduti. Hanno il medesimo sentimento, identici valori e la stessa umanità. Lo slancio con cui hanno agito ed il pudore dimostrato nel non voler raccontare tutto ciò ne sono la prova più evidente. Dopo oltre 130 anni di leva obbligatoria e, dunque, di legame fortissimo con la società civile e con il tradizionale bacino di reclutamento alpino, l’avvento dell’alpino professionista è stato guardato con estremo sospetto.
La paura vera era quella di ritrovarci per le mani un soldato vestito da alpino ma che di alpino non aveva proprio nulla. Un po’ alla volta, però, mano a mano che la conoscenza reciproca si faceva più stretta, il muro che si era creato tra le due facce di quella che, piaccia o meno, è la stessa famiglia è andato disgregandosi. Abbiamo visto questi ragazzi, grazie a comandanti lungimiranti e profondamente alpini, tornare all’addestramento in montagna, li abbiamo visti impegnati nei teatri operativi più complessi farsi onore e conquistarsi il rispetto e la fiducia degli alleati.
Abbiamo notato che si integravano sempre di più con la nostra tradizione fino a farla propria. Li abbiamo visti operare in Patria con serietà, professionalità e dedizione e la paura, come d’incanto è sparita. Abbiamo compreso che sono stati anche loro contagiati dal virus dello spirito alpino e la diffidenza si è trasformata in rispetto ed orgoglio. Oggi siamo fieri dei nostri ragazzi in armi e quando li vediamo sfilare in una nostra Adunata ci prende ancora il groppo alla gola. E questo ci rende sereni perché vuole dire che, nonostante tutto, nonostante il Mondo sia cambiato, l’alpino è rimasto quello di sempre. Grazie ragazzi!
Cesare Lavizzari
Pubblicato sul numero di luglio agosto 2010 de L’Alpino.