Lo spettro degli Anni Settanta

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    Il riferimento non è più neppure velato: chi ha buona memoria collega l’ondata di violenza che sta diventando cronaca quotidiana con quanto avvenne alla vigilia degli anni di piombo, nel periodo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta.

    Movimenti giovanili sorretti da frange politiche anche di governo furono allora un bacino di protesta totale la cui deriva sfociò in attentati e vittime, e segnò uno dei periodi più cupi del secondo dopoguerra. Genova, Vicenza, Roma, Catania hanno vissuto questi momenti: i pretesti sono i più vari: la globalizzazione (termine che comprende tutto, e quindi parte già come problema insolubile) e le multinazionali farmaceutiche, la fame nel mondo e le basi Nato, la guerra e la pace soprattutto quest’ultima sembra diventata un pretesto per scatenare, assurdamente, guerriglie urbane.

    L’occasione principe di protesta sono gli incontri di calcio, da trasformare in scontri organizzati per combattere il simbolo dello Stato: le forze dell’ordine. Quando ci scappa il morto la missione è compiuta, perché attorno alla vittima da trasformare in martire purché non si tratti di un tutore dell’ordine, ma di chi devasta e aggredisce si mobilitano, proprio come avveniva negli anni Settanta le forze politiche, i giornali di tendenza, parlamentari e uomini di governo che manifestano, dicono, a titolo personale .

    Come se potesse avere una giustificazione sociale e civile spaccare una vetrina e incendiare un’auto a Genova per avere più farmaci per l’Africa, ottenere la pace in Irak assaltando un consolato o bruciando una bandiera, saccheggiare interi quartieri cittadini per convincere sciiti e sunniti a non spararsi più addosso, prendere a sassate e a sprangate poliziotti e carabinieri per dare la vittoria alla propria squadra di calcio.

    C’è una rabbia diffusa che esplode per motivazioni diverse, tanto diverse da pensare che siano soltanto un pretesto qualsiasi per andare all’attacco dello Stato e a chi lo rappresenta. Cosa fare?Occorre recuperare come cittadini il senso della convivenza civile, da parte della classe politica il senso dello Stato e da parte delle istituzioni il dovere del servizio alla gente. Per quanto riguarda i giovani, protagonisti di una violenza non soltanto circoscritta alla piazza o agli stadi, il discorso è complesso.

    Essi vedono demolire uno alla volta i punti di riferimento, a cominciare dalla famiglia per continuare con il nostro modello di vita, messo costantemente in discussione. Non sono più abituati alle rinunce, il conformismo li ha resi insensibili ai valori, alle gerarchie, alle priorità. Sono confusi e sfiduciati. Dire che risentono della mancanza di quella scuola di vita e di disciplina che era il servizio militare obbligatorio è fin troppo facile e non basta: vedono una società relativa e il futuro drammaticamente incerto.

    Eppure non è mai colpa della società , come taluni analisti sostengono, le responsabilità sono sempre personali. Uscire dalla spirale si può. Non tutti i giovani si comportano da teppisti: la stragrande maggioranza studia, si sacrifica, spesso vive con pochi soldi ma guardando a un futuro migliore.

    Farsi strada non è cosa da poco: abbiamo una classe politica che è la più vecchia d’Europa, solo 9 (nove!) fra le migliaia di ordinari d’Università è al di sotto dei 35 anni, il lavoro diventa sempre più precario Ma è anche tempo che i giovani seri, preparati e perbene si facciano avanti, che le loro speranze si avverino. È tempo di aria nuova.

    Questo è quanto avevamo scritto preparando la rubrica per il numero di questo mese. A giornale praticamente chiuso sono avvenuti gli arresti degli affiliati alle nuove Brigate rosse. Avevamo visto giusto, purtroppo. Auguriamoci che questi anacronistici e tragici retaggi possano presto tornare al loro oscuro passato. (ggb)