Le voci dell’Adunata

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    Il suggello sull’Adunata numero 91 è stata una presenza silenziosa, ma di quei silenzi che parlano. Erano 21 anni che un capo dello Stato non si metteva sull’attenti sulla tribuna d’onore per la sfilata degli alpini. Sergio Mattarella c’era, zitto ma presente. È arrivato il sabato pomeriggio, ha salutato chi stava ad aspettarlo, la domenica mattina ha reso omaggio ai Caduti sepolti nel cimitero di Trento: prima agli austroungarici e poi agli italiani.

    Infine, ha preso il suo posto per rendere omaggio agli alpini vivi, vivaci e composti. L’Adunata è sempre una grande festa, un evento di popolo unico, forse perché si fa sempre più fatica anche semplicemente a parlare di popolo, che presuppone un ideale unificante, un sentire comune, una capacità di mobilitarsi, di fare dei passi verso un unico scopo, e di coinvolgere, tirarsi dietro altra gente. Il popolo. Una grande parola e un’immensa realtà, in nome della quale si prendono scelte, si raccolgono voti, si proclamano santi e beati, si emettono sentenze. Ma se oggi qualcuno si dovesse chiedere dov’è davvero questo popolo, dove lo si può vedere, incontrare, toccare, dove ci si può immergere in questa realtà che è come un mare vasto e profondo, a questo qualcuno bisognerebbe rispondere: vai alle Adunate degli alpini.

    Mattarella ci è venuto. Era stato ministro della Difesa tra il 1999 e il 2001, quindi non era un novizio, e ha comunque il ruolo costituzionale di capo delle Forze Armate. Era presente e ha compiuto dei gesti di omaggio ai Caduti, rituali solenni che si ripetono ogni anno. Ma quest’anno avevano un valore particolare in una città che per secoli segnò un confine e oggi è una cerniera di pacificazione e un esempio di convivenza. In un tempo che dovrebbe essere di pace, Mattarella ha perso un fratello ucciso da un nemico subdolo e feroce, la mafia; sa che cosa sono il dolore, il dovere di guardarlo in faccia, la forza di andare avanti e il coraggio di non farsi piegare. E sa che la giustizia va di pari passo con la verità.

    I tanti appuntamenti dell’Adunata 2018 hanno voluto ricordare e riaffermare queste verità nella volontà di ribadire l’avvenuta riconciliazione, e di ricordarla a chi se ne fosse dimenticato o non voglia ammetterlo. La fiaccola alla Campana della pace di Rovereto, gli omaggi ai martiri al Buonconsiglio, la messa nel Duomo dove fu celebrato un Concilio che cambiò la storia; ma così pure i cento concerti dei cori alpini, con tante voci che diventano una sola espressione, o la prima pietra del nuovo museo alpino, o il ritrovarsi delle centinaia di penne nere venute da fuori Italia in rappresentanza delle decine di sezioni estere.

    Fino alla cittadella della Protezione Civile, una novità di quest’anno che ha mostrato con grande efficacia – se ancora vi fossero dubbi – che l’identità degli alpini è come un cromosoma che modifica il Dna: produce un cambiamento dal quale è impossibile tornare indietro. Desiderio di pace, spirito di servizio, dedizione, disponibilità, voglia di costruire una realtà diversa, capacità di soccorrere i bisogni e di farlo senza improvvisazione ma in modo organizzato ed efficace. Per chi non è stato alpino, la sfilata della domenica che chiude l’Adunata è uno spettacolo sempre nuovo perché in queste cose non ci sono automatismi.

    Ordine, serietà, disciplina, pazienza: non c’è bisogno di ricordarle a vicenda, sono caratteristiche entrate a fare parte di ognuno. Chi c’è abituato deve stare attento a non darle per scontate perché allinearsi, marciare, rispettare le regole sono sempre gesti di libertà. Sembra un paradosso, ma chi obbedisce insegna con i fatti che cos’è davvero la libertà. Nessuna penna nera delle centinaia di migliaia ritrovatesi a Trento ha partecipato sotto costrizione. Dobbiamo ricordarcelo in questo frammento di storia in cui si proclama che la libertà è fare ciò che si vuole.

    No: è aderire a un ideale. Ma chi ancora si ostinasse a considerare la sfilata finale come una marcia da caserma, deve arrendersi all’evidenza di che cos’è l’«alpinità» tuffandosi nella folla del sabato. L’Adunata dura 3 giorni e le ore che precedono l’ammassamento non sono di serie B. Il sabato è il giorno in cui il popolo avendo meno vincoli è ancora più libero. E qui si vede che centinaia di migliaia di persone strette in una media città della provincia italiana sono in grado di ritrovarsi senza creare problemi, senza cordoni di sicurezza né agenti in tenuta antisommossa. E allora, accanto a libertà, ecco spuntare un’altra parola importante per l’Italia di oggi: speranza. Non tutto è perduto.

    Stefano Filippi