Prendo spunto dalla risposta alla lettera dell’alpino Gabriele Gariglio pubblicata sul numero di febbraio. La lettera era molto bella e mi sono immaginato come sarebbe stata, scritta in lingua piemontese. Nelle Sezioni, negli incontri settimanali e durante le attività che ci vede impegnati sul territorio, la lingua parlata il più delle volte, spesso e volentieri è la lingua o il dialetto del posto. Rappresenta quel modo di esprimersi, spontaneo ed efficace, che ci viene “da dentro” perché è la lingua del cuore che ci hanno insegnato i nostri avi. Adesso che l’informatica ci aiuta, perché non pubblicare le lettere che pervengono scritte nelle varie lingue e dialetti parlati in Italia, evidentemente accompagnate con la traduzione in italiano? Sono certo che questa iniziativa troverebbe un buon riscontro presso i nostri associati, ricordo una strofa di una poesia di Ignazio Buttitta “Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua adottata dai propri avi…”. Questa proposta ha il solo scopo di ricordare a tutti i nostri associati che un tempo il linguaggio di espressione rappresentava un segno di identità. Evidentemente non si vuole mettere in discussione la lingua in cui ci esprimiamo tutti i giorni, ma continuare comunque a coltivare le nostre culture e le nostre tradizioni. Cordiali saluti e forza alpini.
Virgilio Virano Gruppo di Pianezza, Sezione di Torino
Caro Virgilio, grazie di questo tuo scritto per la provocazione che fa. Alla quale posso rispondere dicendo semplicemente che quanto tu proponi non è possibile. Per tre motivi. Primo, ci vorrebbero centinaia di pagine per far fronte alla piena in arrivo di scritti nei vari dialetti locali. Secondo, i lettori sarebbero circoscritti alle sole pagine che capiscono. Pensa se quelli della Sicilia ci mandassero i loro scritti, piuttosto che i bresciani o quelli di Ivrea. Terzo, non tutti quelli che scrivono sono bravi come il Biel. Sai che ho voglia di incontrarlo e guardarlo in faccia. Un bel carismatico quel sacramento.