Seduto in seconda fila nell’angolo della tribuna d’onore, a Bergamo, c’è il reduce Alessandro Colombo, classe 1915, 5º Alpini, battaglione Tirano, e poi paracadutista della Folgore, uno dei pochi reduci superstiti delle disperate battaglie di El Alamein (Egitto, 23 ottobre 4 novembre ’41). Il suo cappello, sformato, sgualcito e glorioso racconta una storia lunga e tormentata. Lui si guarda attorno un po’ smarrito, perché si trova a disagio in tribuna con le autorità: avrebbe voluto sfilare con gli altri reduci, sulle camionette, ma gli era stato detto che non c’era posto, e non aveva insistito, rassegnato. Insiste invece per stare seduto tante ore, dalla mattina fino a sera, anche quando il genero voleva riportarlo a casa, per non farlo stancare troppo perché la sfilata sta andando per le lunghe e chissà quanto durerà ancora . Lui lo guarda, serafico: Non importa . E aggiunge: Siccome non so se ci sarò l’anno prossimo all’Adunata di Torino, intanto continuo a godermi questa .
A novantacinque anni conserva intatto lo spirito alpino della gioventù, senza preoccuparsi se è tardi, se ogni tanto piove e il vento di traverso che mette i brividi porta la pioggia fino a lui, se sta facendosi buio Se ne sta lì, sereno, appoggiato con entrambe le mani al suo bastone, come se non gli importasse nulla se non quello che avviene in strada, come se volesse mandare a memoria le immagini di quel continuo passaggio di penne nere, saziarsi di alpini e confondersi con loro. Siccome non sa se ci sarà a Torino, l’anno prossimo Senza rimpianti, perché da troppo tempo ha raggiunto la seconda ingenuità, che è quella del disincanto, dell’immediatezza, della realtà cruda e ineluttabile del momento, del gusto delle piccole cose.
E dei ricordi, perché: Quando nella vita ti sei dato uno scopo e lo raggiungi, ti senti contento di averla vissuta . E questo gli basta. Quanta ricchezza in questo giovane di quasi cent’anni. Così distaccato da tutto il resto da parlare della sua vita come se fosse quella di un altro. E si ha l’impressione che si diverta lui stesso a raccontarla, asettica, senza un commento né chiedersi il perché di quella follia che gli ha rovinato, fra guerra e prigionia, dieci anni di vita, gettandolo prima nel gelo delle montagne greche e poi nella sabbia rovente del deserto da dove soltanto un decimo dei nostri soldati sarebbe tornato a casa.
Colombo Alessandro, dunque, residente a Mozzo (Bergamo) ma nato il 21 maggio 1915 a Solza da una famiglia di contadini… È il paese dove nacque Bartolomeo Colleoni aggiunge. E continua: Inizio il servizio di leva il 13 aprile del 1936 e vengo destinato al 5º Alpini, battaglione Tirano. La ferma dura 18 mesi (avevo 21 anni) e vengo congedato con il grado di caporal maggiore Un congedo durato poco Infatti, nel ’39 in Europa c’era già aria di guerra. Vengo richiamato e mandato sul fronte greco albanese.
L’imbarco avviene a maggio, con destinazione Durazzo, attraversando l’Albania verso Koritsa (lui la chiama Gorizia, ndr.), il Monte Cucco e il Gori Topi . Non dev’essere stata una passeggiata, ma la rimuove dalla memoria, come fanno spesso i reduci perché ricordarla è come riviverla ancora una volta. Si ferma, come se non ci fosse niente da raccontare di quel calvario che fu la guerra in Grecia per i nostri alpini, mandati allo sbaraglio da un dittatore invidioso dei successi di Hitler. (Il reduce Vitaliano Peduzzi soleva dire, con rammarico, che tutti parlano della Russia, come se per noi la Grecia fosse stata una passeggiata , n.d.r.). Riprende Colombo: Ad inizio gennaio venni informato dal mio comando che un mese addietro era morta mia madre. Immaginatevi il mio stato d’animo apprendendo questa notizia! . Nell’aprile i tedeschi vennero in nostro aiuto, e dopo l’occupazione di Corinto, fatta dai paracadutisti, le truppe dell’Asse entrarono in Atene . La guerra sembrava finita Ci aspettava invece un altro fronte. Via mare ritorniamo in Italia.
Il molo di Bari era gremito di gente che ci salutava agitando le braccia. Sul molo erano schierate le massime autorità militari, con il capo del governo Benito Mussolini. Ci resero gli onori militari in quanto truppe vittoriose … Si ferma. Stringe le mani sul bastone, i pensieri vanno altrove. Parlare di vittoria oggi mi sembra una cosa stonata, se penso agli amici lasciati in terra albanese, che non tornarono. Mi domando della necessità di quella guerra contro la Grecia e l’Albania e non trovo una risposta. Eravamo là tanti giovani scarsamente equipaggiati e con poche armi. Poco fiduciosi nella vittoria finale, fummo informati della ritirata dei greci per l’intervento dei tedeschi ed accogliemmo con gioia la notizia. Sui monti della Grecia soffrii molto freddo e molti di noi rimasero congelati, ricordo infatti che una sera per scaldarmi i piedi tagliai le maniche del maglione per farmi un paio di calzini . Ma com’è finito nella Folgore, dal battaglione Tirano?
Ci mandarono a Pinerolo dove siamo stati smistati chi per il fronte russo e chi per l’Africa settentrionale. Io avevo sofferto abbastanza il freddo in Grecia, per cui scelsi l’Africa: pensavo che era meglio morire al caldo . Anche questa non fu proprio una passeggiata. Il trasferimento prima a Tarquinia, per il brevetto di paracadutista, poi a Civitavecchia per l’addestramento da incursore e guastatore, infine, partenza con una tradotta fino a Mestre poi, via Zara e Fiume, di nuovo in Grecia fino ad Atene da dove con aerei tedeschi Junker veniamo trasportati a Tobruk, dove atterriamo durante una tempesta di sabbia .
SUL FRONTE DEL DESERTO
Da qui in autocolonna con pochi mezzi meccanici e con poche armi, si va verso El Alamein passando dal passo del Carro e del Cammello. Impiegammo 3 mesi a raggiungere il fronte di El Alamein, dove erano schierate diverse divisioni di fanteria. Quale guastatore, ero in prima linea, ci dividevano dagli inglesi i campi minati. Ho vissuto così le battaglie di El Alamein. Il 7 ottobre del 1941 viene fatto prigioniero. Ricordo che avevamo scavato una trincea nella sabbia per lanciare bombe a mano contro le autoblindo inglesi. A un certo momento una granata nemica esplode vicinissima, un forte boato e una nuvola di sabbia si solleva; quasi accecato dalla sabbia vedo un mio compagno che esce dalla trincea e fugge impaurito e va di corsa verso un campo minato. Lo conosco, mi metto a urlare: Billi, fermati, buttati a terra , e lui grida: Colombo tutti morti tutti morti! . Non erano tutti morti, eravamo solo sepolti di sabbia.
La situazione era critica, le autoblindo nemiche erano ormai vicinissime. Penso tra me, ci siamo. Poco dopo, un’autoblindo con la mitraglia puntata su di noi, ci costringe alla resa, ci fanno prigionieri. Non hanno infierito. Ci dissero: andiamo, ragazzi. Rimorchiarono il nostro mezzo e via verso il campo di concentramento . E i suoi compagni? Dei seimila giovani della Folgore siamo rimasti in poche centinaia. In una delle battaglie di El Alamein venni impiegato nelle operazioni di guastatore, che consistevano nel mettere le cariche di tritolo per eliminare fili spinati, far saltare aree minate e le postazioni nemiche. In quelle battaglie sono state massacrate le migliori unità italiane, come la divisione corazzata Ariete, le fanterie, come pure la divisione Folgore. Una sola, pesante e amara accusa: Eravamo sprovvisti di mezzi e di carburante… . Poi la prigionia in campi diversi, prima ad Alessandria poi al Cairo, nel Sinai e in Palestina, a Gaza, al campo nº 113.
Lì, dopo 4 o 5 giorni, sono entrato in una tenda già occupata da nove civili, prigionieri della guerra dell’Abissinia. Io ero addetto alla falegnameria e con il beneplacito
degli inglesi, nel tempo libero, se così si può chiamare, avevo intrapreso una attività che forse aiuterà chi mi ha conosciuto ad individuarmi. Vendevo tè caldo, noccioline, marmellata, cioccolato, tonno, ecc. e noleggiavo carte da gioco, il tutto fornito dallo spaccio degli inglesi. Nel 1946, a guerra finita da oltre un anno, mi hanno lasciato libero e da Porto Said sono arrivato a Napoli il 7 luglio 1946. Avevo 31 anni ed al mio ritorno trovai più miseria di quanta ne avessi lasciata 10 anni prima. Ho solo una richiesta da fare: mi piacerebbe poter contattare qualche commilitone, alpino o paracadutista, se è ancora in vita, al quale io possa scrivere o che possa rivedere su questa terra . (ggb)
Facciamo nostra questa sua richiesta e sperando che vada a buon fine segnaliamo il recapito del genero di Colombo: Luigi Rota Caremoli, fax.035.462333 cell. 340.7797462 luigi@caremoligolf.com.
Pubblicato sul numero di settembre 2010 de L’Alpino.