Sono rimasto sorpreso dal tono della risposta alla lettera di Alberto Baldani, “Il finto alpino” (numero di agosto-settembre 2017). Da te mi sarei aspettato ben altro, non il commento ironico che ho letto. Ci rendiamo conto? Uno, presunto amico degli alpini, pensa di avere il diritto di indossare il cappello alpino perché alle adunate o alle feste ci sono ambulanti che li vendono.
Ma che discorso è? Allora, perché il nostro confuso “amico” non prova a volare dopo aver acquistato un vestito da Batman o da Uomo Ragno, comprato su qualche bancherella? Fosse per me, per quel che ha scritto Baldani, per la supponenza e il tono di come l’ha scritto, rifletterei seriamente sull’opportunità che egli possa mantenere il titolo di “amico degli alpini”. E da te, direttore, mi sarei aspettato ben altro che un commento ironico nella risposta. Mi sarei aspettato la rivendicazione delle origini, della storia, della tradizione, della identità dell’essere alpini e della nostra Associazione d’Arma (sempre ammesso che lo sia ancora…). Soprattutto, avrei messo in evidenza, in questi tempi di confusione associativa, la distinzione netta che c’è e sempre ci sarà tra alpini e amici degli alpini. Perché ci sarà sempre questa distinzione, vero direttore? Ne siamo tutti convinti?
Roberto Martinelli, Gruppo Genova Centro, Sezione di Genova
Caro Roberto, da tempo ho fatto mia quell’espressione usata dagli anarchici dell’800 poi ripresa negli anni ’70 durante le contestazioni. La frase dice testualmente: “Una risata vi seppellirà”. La si usava per indicare che il nuovo corso delle cose, con la forza della fantasia avrebbe sepolto la vecchia politica. A me piace usarla quando leggo o incontro persone i cui ragionamenti si commentano da soli. Perché imbastire una guerra di parole mettendosi alla pari, quasi che li avessimo presi sul serio? No, amico caro. Davanti alla banalità, l’unica arma è quella dell’ironia, ovvero l’arte di dire che noi siamo di un altro pianeta.