L’importanza culturale degli alpini d’Italia

    0
    1453

    Ogni inverno, nelle piazze delle città d’Europa si possono ascoltare i canti dei cori natalizi. Anche le città del Nord Italia seguono questa tradizione, ma con un risvolto diverso. I cantori sostituiscono il costume natalizio con il segno distintivo degli alpini: il cappello. Sono soldati reclutati nei villaggi delle Alpi. E il repertorio di questi cori è diverso. Le canzoni di Natale sono sostituite da cante che raccontano la crudeltà della guerra. Questi canti alpini – e i soldati che li cantano – sono diventati parte dell’eredità culturale del Paese.

     

    A prima vista, questo fenomeno è sorprendente. Il Corpo degli alpini fu costituito nel 1872 per difendere i nuovi confini d’Italia dal nemico. Presero parte alla Prima Guerra Mondiale contro gli austro-ungarici dall’Ortler al Carso, soprattutto sulle Dolomiti. Le condizioni erano terribili: valanghe e congelamenti erano una minaccia costante. Nonostante questo gli alpini misero a segno alcune importanti vittorie. Combatterono coraggiosamente anche nella Seconda Guerra Mondiale, distinguendosi nei combattimenti, dall’Etiopia alle steppe russe.

    La grande e costante popolarità degli alpini è legata al coraggio dimostrato nelle varie circostanze e le canzoni raccontano proprio questi loro sacrifici. “Tra le rocce, il vento e la neve siam costretti la notte a vegliar…”. E un’altra: “Eravamo in ventinove ora in sette siamo restà”. Nelle cante si legge anche l’orgoglio di appartenere a questo Corpo. L’anniversario della battaglia sul Monte Grappa nel 1917, è ricordato ancora oggi in diversi paesi. (…) In ogni caso, lo spirito delle cante alpine evidenzia la condanna verso la guerra.

    «Una morte “felice” non è mai esistita», spiega Massimo Marchesotti, Maestro del coro Ana di Milano. «Noi cantiamo la verità: l’inutilità della morte… che nessuno di quei ragazzi ha scelto per se stesso». Il risultato è intenso e diverso. In “Oi Cara Mamma” gli alpini chiedono alle loro madri cosa faranno quando i figli non torneranno indietro. In un altro canto, invece, si racconta di un soldato sepolto “in un campo di stelle alpine”. E chiude: “quando sarai solo a casa, io e la stella alpina saremo con te”. La presenza della stella alpina non è casuale.

    I canti alpini hanno un profondo legame con la cultura della montagna da cui provengono tant’è vero che alcune cante hanno oltre cento anni. «Gli alpini sono figli delle loro valli così come le loro canzoni», dice il Maestro Marchesotti. Molte canzoni poi sono un’ode alla montagna stessa. Quando un soldato sarà assetato, la neve fresca sarà lì a dargli sollievo. Un Ufficiale in punto di morte chiede ai suoi uomini di dare parte dei suoi resti alle montagne per far sbocciare rose e fiori. Un sentimento di malinconia molto popolare.

    I cori alpini tuttora pubblicano album e fanno concerti in tutto il Nord Italia e l’interesse generale nei loro confronti va al di là della loro musica. Sono stati girati molti film e documentari che raccontano le gesta degli alpini. Lo scrittore alpino Mario Rigoni Stern ha scritto “Il Sergente nella neve” un libro che parla della sua esperienza di guerra durante la Campagna di Russia, ristampato cinque volte e diventato un film. (…) «Ghe rivarem a baita?» (quando torneremo a casa?) espressione dialettale ripetuta più volte da uno dei protagonisti del romanzo. Questo a sottolineare come la cultura alpina non sia affatto un fenomeno folkloristico, ma un modo per diffondere la bellezza della gente e dei paesaggi caratteristici dei confini d’Italia. Questo patrimonio però è in pericolo. Molti reggimenti degli alpini sono stati disciolti negli anni ’90.

    I soldati che appartengono oggi al Corpo degli alpini arrivano ora da tutta Italia, indebolendo lo stretto legame con le Alpi. Tuttavia le Truppe Alpine continuano a giocare un ruolo attivo nella realtà italiana. Hanno combattuto nella Nato in Afghanistan. Gli addestramenti in caso di valanga, per esempio, sono stati utili durante il terremoto in Centro Italia. Inoltre l’Ana con i suoi 350mila iscritti gioca un ruolo molto importante in diversi ambiti.

    Sia per la diffusione della cultura alpina sia per alcuni interventi a carattere locale come, per esempio, la conservazione delle santelle o il ripristino dei sentieri di montagna. (…) Con il centenario della fine della Grande Guerra nel 2018, gli alpini tornano alla ribalta nella scena culturale italiana; c’è un dibattito aperto con una minoranza filo austriaca sul luogo in cui ricordare la fine della guerra (i filo-austriaci non vogliono l’Adunata nazionale a Trento, una Regione annessa dopo il 1918 dove la lingua tedesca è ancora fortemente radicata).

    Sul mercato è appena uscito un nuovo videogioco nel quale si fronteggiano i soldati, “Battlefield I”, compresi gli alpini che combattono sul Monte Grappa. Il Presidente dell’Ana Sebastiano Favero dice che «temi delicati, come la guerra, devono essere affrontati in modo differente». E lo splendido repertorio dei canti alpini promette di fare proprio questo, ben oltre dunque al ricordo delle cerimonie del 2018 che svanirà nel tempo tra le montagne.