L’Adunata siamo noi

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    «Ma che cosa ci andate a fare tutti gli anni alla stessa trita e ritrita rappresentazione di voi stessi? È sempre la solita minestra!». La domanda di un amico privo di esperienza militare non mi stupisce. Capisco che da fuori l’Adunata possa sembrare ormai ripetitiva. Per tanti di noi e per me non è così.

     

    L’Adunata è un rituale basato su un codice vecchio di cent’anni e celebrato da “sacerdoti” che non si stancano mai di riproporlo all’Italia per più di dodici ore di ininterrotto fiume umano, una grande kermesse di colori, suoni e immagini che si muovono su un palcoscenico ogni anno differente. La vera domanda è: «Rappresentiamo solo noi stessi? Non c’è qualcosa in più?». Certo che c’è.

    Noi, che quando risuona il “Trentatré” non siamo capaci di stare fermi, torniamo quelli di un tempo quando, paradossalmente, maledivamo il passo di marcia. Ma oggi in quel passo cadenzato ci sentiamo tutti uniti da un senso di appartenenza e di orgoglio alpino che non è retorica, bensì consapevolezza che ordine e disciplina, senza inutili forzature, sono indice di maturità nell’odierno deserto di troppi princìpi e valori disattesi. All’Adunata siamo tutti attori di una commedia umana il cui canovaccio è stato riscritto più volte dai nostri predecessori dal 1872 ad oggi.

    Ciascuno a modo suo, taluno anche con il sangue, sulle balze ostili dell’Africa, nel ghiaccio delle Dolomiti, sulle grave della Piave, nell’inferno bianco del Don e via dicendo. I superstiti di quelle epopee hanno riempito vecchie Adunate e ora ci guardano sostenere con amore e rispetto gli ultimi orgogliosi loro compagni. Noi, ben consci della responsabilità ricevuta dal loro testimone. Oggi l’Adunata siamo noi, quelli che hanno vestito la divisa dell’alpino dal secondo dopoguerra in poi, sparando per fortuna solo i colpi delle esercitazioni.

    L’Adunata siamo noi anche con un occhio al futuro: alpini e alpine del 7º hanno sfilato per Treviso emozionandosi ed emozionando, perché ora e domani tocca a loro. L’Adunata siamo noi, che abbiamo debellato la piaga dei “trabiccoli”? Speriamo di sì! Siamo noi, con qualche giovane che non regge l’alcol e alimenta, nostro malgrado, lo stereotipo dell’alpino beone… L’Adunata siamo noi che non sempre marciamo al passo e sbandiamo in curva scomponendo le fila della nostra Sezione: quanto ci costa marciare con un po’ di marzialità in più? L’Adunata siamo noi, pacifici invasori di Treviso. Ma poi l’abbiamo lasciata in perfetto ordine, come sempre.

    L’Adunata siamo noi chiassosi, allegri, socievoli. E chiediamo scusa se qualcuno di noi ha importunato una ragazza di passaggio o ha avuto a che fare con le forze dell’ordine. È da biasimare, sì, ma 100mila alpini fanno sempre meno danno di uno sparuto manipolo di ultras… L’Adunata sono gli striscioni che dicono all’Italia: «Noi ci siamo, contaci! Non siamo rassegnati al declino di questo Paese, non abbassiamo la guardia, non abdichiamo alla nostra dignità». A Treviso, come nelle precedenti Adunate, c’era tutto questo. Una tavolozza pullulante di uomini e donne che non volevano affermare: «Italia, noi siamo i migliori!», bensì dire ai nostri connazionali: «Noi siamo veri. E voi, che cosa siete? Perché non avete più fiducia in voi stessi?». Ah sì, la politica, la finanza, la corruzione, le droghe, i giovani, gli immigrati… Comodo scaricare sugli altri, vero?

    L’Adunata siamo noi che non abbiamo mai messo a terra lo zaino delle responsabilità, che non ci nascondiamo dietro un dito, che affrontiamo la vita a muso duro e spesso ci facciamo pure male, ma non molliamo. L’Adunata siamo noi con la “ciliegina sulla torta” di una Protezione Civile che è esempio di efficienza e professionalità ammirato dal mondo intero. Ecco spiegato perché si va all’Adunata: la “solita minestra” è sempre saporita se lo chef sa usare i giusti ingredienti come ordine, disciplina, rispetto di se stessi e degli altri, senso del dovere, solidarietà.

    Dicono: «L’Adunata non è più quella di una volta, sta perdendo la sua identità alpina». Ma l’Adunata siamo tutti noi, imperfetti quanto essa, pieni di contraddizioni, di pregi e di difetti. L’Adunata siamo noi. E noi e l’Adunata, in fondo, se non vi va bene, possiamo anche migliorarci. Dipende ancora e sempre da noi. Realisti o illusi? Fate voi. Arrivederci a Trento, ovviamente!

    Dino Bridda