L’abbraccio ai presidenti delle sezioni all’estero

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    L’omaggio ai Caduti italiani.

     

    L’abbraccio ai presidenti delle sezioni all’estero L’aereo che da Linate trasportava la delegazione ANA, guidata dal presidente Giuseppe Parazzini, partì puntuale alle sette del mattino del 2 novembre ed atterrò al Charles De Gaulle poco più di un’ora dopo, incontrando solo nebbia, pioggia e vento contrario.
    Parigi non si presentava nella veste migliore e il treno RER che attraversa l’immensa periferia, mostrava solo casette in mattoni, traffico intenso e pendolari insonnoliti. Poco lontano dalla Gare de Lyon, l’incontro con il presidente della sezione Francia Renato Zuliani, il coordinatore delle sezioni estere Giovanni Franza, il revisore dei conti Giorgio Francioli e il presidente della sezione di Biella Edoardo Gaja. Accoglienza calorosa, quasi goliardica, autenticamente alpina, un po’ sconvolgente per la composta professionalità degli addetti all’hotel.
    Nel pomeriggio, rispettando all’italiana la rigorosa puntualità francese, presenti tutte le sezioni europee, iniziano i lavori del convegno, presso la sede del COM.IT.ES (Ivry), con il saluto compiaciuto di Zuliani e la sua nomina a presiedere l’assemblea. Un unanime slancio di generosità assegna allo scrivente la nomina a segretario verbalizzante.
    Prende subito la parola il presidente Parazzini per manifestare la sua soddisfazione di trovarsi tra gli alpini d’Europa e per sottolineare il significato patriottico, di amicizia e di fratellanza che la presenza del Labaro nazionale imprime ai rapporti tra l’A.N.A. e chasseurs francesi. In Dordogna, in occasione della grave calamità che l’ha colpita nel 1999, ci siamo guadagnati la stima delle Autorità e la riconoscenza della società civile. Nella vita di ogni giorno gli alpini sono una testimonianza di impegno, serietà e altruismo. Sul futuro dell’ANA, per ora, non ci sono problemi. La forza dei nostri soci, 330.103 più 48.261 aggregati, e la capacità operativa non sono paragonabili a nessun’altra associazione in Italia
    e all’estero. Ci sono ancora tanti alpini non iscritti che possono compensare le perdite fisiologiche. Resta il problema delle sezioni all’estero che, in qualche caso, cominciano a denunciare difficoltà di sopravvivenza. Una proposta di adeguare lo statuto alle esigenze di realtà diverse da quella italiana è stata congelata dall’Assemblea dei delegati nel maggio scorso. E’ allo studio della commissione legale un nuovo regolamento che dovrebbe consentire alle sezioni una maggiore flessibilità operativa.
    Il presidente conclude ricordando che siamo un’associazione d’arma e che pertanto nelle manifestazioni pubbliche ci si deve presentare nel rispetto anche formale delle norme del cerimoniale. Prendono la parola i presidenti delle sezioni: Turra (Lussemburgo), e il suo vice, ten. gen. Lombardi, Poloni (nordica), Del Fiol (Belgio), Roncarati (Gran Bretagna), Massaro (Svizzera) in sostituzione del presidente Merluzzi, Bertolini (Germania) e infine Zuliani (Francia). Tutti presentano la forza e illustrano le iniziative realizzate nel corso del 2002. E’ un campionario che, soprattutto nel sociale, fa veramente onore ai nostri alpini all’estero.
    Si apre un ampio dibattito sulla stampa alpina, sull’adunata di Aosta e sulla manifestazione di Rossosch, il 15 settembre dell’anno prossimo.
    I lavori sarebbero continuati ancora a lungo se Zuliani, non si sa se astutamente o imprudentemente, non avesse fatto comparire sul tavolo alcune bottiglie di champagne. E’ stata un’azione dirompente. Con fatica il presidente è riuscito a ricomporre l’assemblea e a concludere l’ordine del giorno. Come da programma, alle ore 20 cena ufficiale presso il ristorante le Train Bleu, prestigioso locale datato Belle époque, monumento nazionale. Zuliani, nella scelta del luogo e del menù si è lasciato contagiare dalla grandeur de la Ville lumière. Gli enormi saloni dagli stucchi sontuosi, con 41 affreschi, le portate su vassoi d’argento massiccio,
    la compassata presenza dei camerieri sono stati improvvisamente alpinizzati da un iniziale, sommesso: Alziamo il bicchier , attaccato da un subdolo infiltrato, diventato un crescendo, per finire con un possente: evviva gli alpin! Grande applauso da parte degli sbigottiti clienti sparsi con noncurante eleganza per tutte le sale. Finalmente un sorriso liberatorio da parte degli ospiti chasseurs, delle autorità militari, consolari ed altro.
    La mattina del 3 novembre, con l’abituale anticipo tipo naja, tutti alla missione cattolica italiana Notre Dame de la Consolation, ricevuti dai padri scalabriniani Rossi e Bordignon nella piccola ma stupenda chiesa disegnata da un poeta piuttosto che da un architetto. Il Labaro nazionale trova la sua posizione vicino all’altare, circondato dai vessilli delle sezioni e dai drapeaux dei chasseurs. Celebrazione della messa nella semplicità della parrocchia di campagna. Momento di panico alla lettura della Preghiera dell’Alpino, quando nessuno trova un santino con il testo. Provvede il tesoriere Biondo che, senza un’esitazione o una minima sbavatura, recita a memoria, perfetto e composto come d’abitudine.
    Gli interventi del presidente degli excombattenti delle Federazioni europee Jacques Derivière, dell’ambasciatore d’Italia Giovanni Dominerò, del nostro presidente, presenti l’ammiraglio Dino Venè, il console generale Paolo Garofano, gli addetti militari italiani, il col. Jacques Bigot, hanno evidenziato il valore della pace e della solidarietà, nello spirito del motto alpino: le montagne non separano, congiungono. Il momento culminante si è avuto alle 18,30 in punto, quando il Labaro nazionale, tra due ali di folla, salutato da una folta rappresentanza di autorità civili e militari italiane e francesi, dopo una breve, storica sfilata sui Campi Elisi è entrato sotto l’Arco di trionfo. La banda militare, con prevalenza di strumenti a percussione, ha suonato gli inni nazionali, cantati da tutti. Un ufficiale con la punta della sciabola ha dato vigore alla fiamma del soldato ignoto.
    Alle note del silenzio d’ordinanza fu veramente silenzio. I pensieri andavano lontano, ai trionfi delle Armate francesi, al ritmo degli stivali prussiani e hitleriani per le vie di Parigi, alle migliaia, milioni di ragazzi partiti cantando: allons enfants de la Patrie e mai tornati. Con loro, nel 1918, c’era anche un Corpo d’armata italiano, con 41mila effettivi. Di questi, cinquemila sono sepolti nei cimiteri delle Ardenne. Non pochi sono morti tra il 4 e l’11 novembre, durante l’offensiva francese per far capitolare la Germania. In Italia si festeggiava la vittoria. Petain scriverà: L’Italia può essere fiera delle sue truppe che hanno combattuto vittoriosamente sul suolo francese .
    La mattina del 4 novembre, con una temperatura mite e un cielo finalmente sereno, si parte per la Champagne e i luoghi sacri del primo conflitto mondiale. Le nostre mete sono i cimiteri di Bligny e Soupir. Il paesaggio scorre dolce e dai colori a tinte pastello. Nulla a che vedere con le nude rocce e i perenni ghiacciai .
    Alla prima sosta ci attendono i due sindaci della zona. Uno ha cento cittadini da amministrare, l’altro un po’ di più. Sono cortesi, per niente formali e riscuotono tutta la nostra simpatia. Canto degli inni nazionali, deposizione di corone, brevi ed intensi interventi. A Soupir ci aspetta invece la console d’Italia a Metz, signora Rosaria Maria Carmela Gnani con una bellissima corona di fiori. Quando prende la parola per ricordare quei giovani che riposano lì da oltre ottant’anni e per auspicare che non ci siano più guerre, la sua voce tradisce la commozione.
    In fondo al cimitero, ai piedi di una collina chiamata Chemin des Dames per i pellegrin
    aggi di mamme, spose, sorelle alla ricerca dei loro Caduti, un semplice monumento dedicato alle donne, che non fanno la guerra, ma ne ortano dentro i lutti. Le signore presenti epongono ciascuna un mazzetto i fiori. Zuliani prende la parola per ingraziare tutti e conclude: fin che ci arà un alpino in terra di Francia, questi morti non saranno dimenticati.
    Mai! Poi, con passo deciso e un vaso i crisantemi in mano va verso una coce che porta il nome del Soldato Snider iovanni 19º Reg. Fanteria e depone fiori. Un figlio del Caduto aveva rovato quella tomba solo qualche decina d’anni fa. Le lacrime di Renato e un coro che canta Signore delle cime ci asciano un nodo in gola che stenta ad andarsene. (v.b.)