Italia svendesi, a pezzi

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    Il 26 giugno 2009 i 18 componenti della speciale commissione dell’Unesco l’organismo promosso dalle Nazioni Unite costituito nel 1945 per promuovere la collaborazione tra le nazioni nell’ambito dell’educazione, della scienza e della cultura riuniti a Marsiglia, proclamarono all’unanimità le Dolomiti patrimonio dell’Umanità, con grande soddisfazione dei nostri rappresentanti italiani presenti, prodighi di inneggianti dichiarazioni. Certo, fu un riconoscimento che ci riempie di orgoglio, anche se non ne avevamo bisogno per sapere quanta parte di noi, della nostra storia e della nostra cultura rappresentano le Dolomiti.

    Lo sapevano i nostri grandi vecchi che combatterono su quelle montagne e vi morirono, lo sa bene la gente che vive fra quei monti pallidi che si infuocano alla magìa del sole che tramonta, abitati nella fantasia popolare da re, principesse, gnomi e streghe che fanno parte dell’immaginario di generazioni. Ci voleva proprio il Demanio, entità invisibile come un folletto, a considerare le Dolomiti semplici sassi e le valli dalle quali sorgono solo terra, con un valore commerciale e un prezzo, stracciato. Già, perché siamo in liquidazione totale: di valori morali, di regole, princìpi, di istituzioni (ahinoi!) e dunque anche di montagne.

    Quindi, come direbbe Leporello, il fido servitore del Dongiovanni mozartiano, il catalogo è questo: volete comperare, che so, il Cristallo ampezzano, tremila metri e passa di splendida Dolomia sulla cui forcella si immolarono centinaia di alpini, e austro ungarici?Bastano 259 mila euro, quanto costano a Cortina una quindicina di metri quadrati di appartamento. Le Tofane e le Rocchette hanno prezzi ribassati: chi le vuole tutte e due pagherà 175 mila euro e addirittura soltanto 22 mila per il Faloria, con Sorapiss in omaggio.

    Non può consolare che nell’elenco stilato dall’agenzia del Demanio ispirata al federalismo, ci sia un po’ di tutto: dal Pelmo e dalla Croda di Lago alla Marmolada, dal gruppo Puez Odle, parco naturale fra i più suggestivi di tutto l’arco alpino, all’ex convento della Carità a Bologna (330 mila euro), l’ex forte di Sant’Erasmo a Venezia (7 milioni), l’acquedotto di Castellammare di Stabia, l’aeroporto di Bresso (Milano), il campo da golf dell’isola di Albarella, terreni nell’isola di Palmaria, un pezzo di spiaggia del lago di Como e, omaggio alle celebrazioni per l’Unità d’Italia, un pezzo della spiaggia a Sapri, quella cantata da Luigi Mercantini sulla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane del 1857 contro i Borboni, ricordate? Eran trecento, eran giovani e forti. E son morti! . E poi caserme, palazzi, ex campi di concentramento, come un supermercato in cui sui banconi troviamo, al posto di pomodori e scatolame, pezzi d’Italia e della sua storia.

    Va da sé che l’intenzione, certamente nobile, del Demanio, non è soltanto quella di racimolare i preventivati 3 miliardi di euro che garantirebbero una boccata d’ossigeno alle casse statali, una goccia nel debito pubblico di 1.800 miliardi!, ma quella di un equo federalismo a vantaggio di Regioni, Province e Comuni che potranno salvaguardare meglio i loro tesori e utilizzarli in modo diverso sotto il profilo turistico e sociale. Ma chi ci dice che una Regione, per favorire il turismo, non consentirà a qualche società di piazzare un bel residence davanti alle Pale di San Martino, o che il faro di Mattinata sul Gargano non diventerà qualsiasi altra cosa che porta soldi al Comune ma sfigurerà il territorio?

    È davvero incredibile la fantasia sprecata dal Demanio per portar soldi alle casse statali quando si potrebbe trasferire questo entusiasmo all’agenzia delle entrate per far rientrare almeno una parte dei 300 miliardi che ogni anno vengono sottratti al fisco. L’origine di tutti i mali da qualunque parte li si voglia guardare sta proprio qui. E lasciamo stare le nostre montagne: non potranno mai essere di chi le compera, ma di tutti, con la loro bellezza, la loro storia e il loro futuro. (ggb)

    Pubblicato sul numero di ottobre 2010 de L’Alpino.