In cammino, dall’8 luglio 1919

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    Sono passati novant’anni da quell’8 luglio 1919, quando un gruppo di reduci della Grande Guerra approvò lo Statuto sociale decretando quindi ufficialmente la costituzione dell’Associazione Nazionale Alpini. Erano tempi incerti nei quali i reduci vivevano lo sconforto di non riconoscersi più, o quasi, nel Paese per il quale avevano combattuto e per il quale tanti loro compagni erano Caduti. Ma il senso del dovere e l’amore per la Patria ebbero, nonostante tutto, il sopravvento e nacque un’Associazione destinata a durare. Forse nessuno di quei reduci avrebbe pensato che i loro figli, i nipoti, i pronipoti l’avrebbero fatta grande.

     

    Il segreto?Il mantenimento degli stessi valori che non tramontano, la memoria che non veglia sulle ceneri ma attizza le braci, la riconoscenza per i sacrifici compiuti. Ma, soprattutto, lo stesso spirito alpino. Così come nessuno di quei reduci avrebbe pensato che i loro figli, quando non ancora loro stessi, di lì a pochi anni sarebbero stati rigettati nel fuoco d’una guerra per certi versi ancora più terribile e sconvolgente dalla quale l’Italia sarebbe uscita in macerie. In quel 1919, un anno di scioperi, disordini di piazza, di grande tensione sociale, i reduci vennero accusati di aver fatto la guerra.

    Parlare dei valori per i quali avevano combattuto era considerata una provocazione. Era perfino poco opportuno esporre il Tricolore in occasione delle ricorrenze ufficiali. Ha fatto storia quella bandiera esposta il 4 novembre 1919, non certo per provocazione ma per fierezza e orgoglio, alla finestra d’una stanzetta dell’ammezzato della Galleria Vittorio Emanuele, nel cuore di una Milano percorsa da sommosse anarchiche, nel primo anniversario della Vittoria e del celeberrimo bollettino del generale Armando Diaz assurta a Giornata delle Forze Armate, tanto contestate. Ma era il segno che gli alpini non hanno paura e vanno dritti per la propria strada. Pochi mesi prima, l’8 luglio, con un atto d’amore, era nata ufficialmente L’Associazione Nazionale Alpini.

    Agli inizi, la durata del sodalizio era condizionata dall’esistenza in vita dell’ultimo reduce, non potevano essere iscritti gli artiglieri alpini, gli ufficiali superiori, i cappellani e gli ufficiali medici. Poi sarà corretto il tiro e saranno, per di più, considerati soci fondatori anche quanti si iscrissero nei mesi immediatamente successivi alla costituzione del sodalizio. Presidente fu nominato il maggiore Daniele Crespi, che all’inizio del ’20 si dimise (era stato eletto deputato e per di più le sue condizioni di salute non erano ottimali) ed al suo posto venne eletto il vice’, il capitano Arturo Andreoletti.

    A dimostrazione che la voglia di incontrarsi e fare gruppo, o addirittura associazione, era molto diffusa fra i reduci alpini, vanno ricordati quei gruppi organizzati di alpini in congedo esistenti già da tempo in Piemonte, che a buon diritto possono essere considerati precursori della nostra grande famiglia alpina. Alcuni di questi sodalizi furono costituiti all’interno di società di mutuo soccorso fra militari in congedo: una indagine della Regione Piemonte ne ha censite oltre duecento dalle caratteristiche più disparate In tutti questi casi, dato il solido carattere militaresco e patriottico, oltre al fattore mutualistico ed assistenziale, c’era una forte componente di spirito di corpo che prevaleva sugli stessi vincoli di lavoro o di mestiere solitamente presenti in questo campo.

    In questa pittoresca e quanto mai variegata classificazione abbiamo riscontrato l’esistenza di ben quattro associazioni raggruppanti gli alpini in congedo: la più antica è certamente quella che porta il nome di ‘Società di Mutuo Soccorso Fratellanza Alpina’, costituitasi nel 1882 a Coggiola e Viera, in provincia di Vercelli, la ‘Società di Mutuo Soccorso fra militari alpini in congedo’ di Torino (1891) e nel ’97, la Società di Mutuo Soccorso di Cuneo , che già definiva in modo appropriato ‘Alpini in congedo’ i suoi aderenti.

    Qual è lo stato d’animo di un soldato che torna da una guerra lunga e vittoriosa, come quella iniziata il 24 maggio 1915 e terminata il 4 novembre 1918?Una guerra che fu prospettata come l’ultima del Risorgimento, a completamento dell’Unità d’Italia (le precedenti furono quelle 1848/49; 1859; 1866), con il ricongiungimento all’Italia di Trento e Trieste e la definizione del confine del Brennero, allo spartiacque naturale delle Alpi. Una guerra che secondo la strategia dell’epoca fu prevalentemente di posizione e quindi particolarmente idonea a creare lunghi periodi di ‘vita insieme’ fra i combattenti, con i suoi momenti di verità nei quali ciascuno si presenta com’è. Perciò le amicizie nate in guerra continuano e durano.

    Il naturale sentimento di solidarietà, nel miglior significato della parola, così spontaneo fra i combattenti, lo era in modo particolarmente intenso tra gli alpini, proprio per il magico filo che unisce la gente legata alla montagna. Dunque, al termine del primo grande conflitto mondiale, fra i reduci ex combattenti che tornavano alle loro case, ed in particolare fra quelli appartenenti a Corpi e reparti speciali, ben omogenei ed affiliati fra loro, non venne meno lo spirito di solidarietà e di cameratismo che li aveva contraddistinti durante il periodo della guerra.

    C’è inoltre da tener presente che la struttura stessa dei reparti alpini, costituiti su base regionale e valligiana, e la spontanea, naturale solidarietà della gente di montagna contribuivano a rinsaldare i legami personali fra i vecchi commilitoni tornati alla vita civile. Essi, che avevano vissuto terribili esperienze, dense di fatiche, rischi, sacrifici, angosce e dolori, chiedevano soltanto di potersi reinserire, in modo dignitoso e senza traumi, nella vita civile, in un clima di pace e di speranza. Cosa trovarono invece?Un’Italia sconvolta da un clima di negazione e di odio contro i valori in nome dei quali essi avevano combattuto: il senso del dovere e del sacrificio, l’amor di patria, l’intangibilità dell’unità nazionale e l’aspirazione a vivere in un paese libero e democratico.

    Era quindi naturale e del tutto spontanea e prevedibile una ferma presa di posizione di gran parte dei reduci, che intendevano ribellarsi e reagire. Sorsero così, nel 1919 a Milano, alcune associazioni d’arma che, di per se stesse, rappresentavano una gravissima provocazione allo spirito anarchico delle folle. Fu proprio in questo periodo che un buon numero di reduci, in gran parte ufficiali alpini, presero a frequentare abitualmente la birreria Spaten Bräu di Milano (in via Ugo Foscolo 4) il cui proprietario, Angelo Colombo, era un alpino.

    Frequentavano il locale anche diversi soci del Club Alpino Italiano che avevano combattuto anch’essi nelle file delle Truppe alpine: Guido Benarelli, Giorgio Murari, Davide Valsecchi, Guido Silvestri, Pier Luigi Viola e Felice Pizzagalli. Quest’ultimo, allora dirigente e in seguito segretario generale del Comune di Milano, nel giugno del 1919 conversando con gli amici lanciò l’idea di costituire fra i soci della Sezione di Milano del C.A.I. un gruppo riservato a quanti, nel corso della guerra, avevano militato negli alpini. Si tenne così una prima riunione, il 12 giugno 1919, per un primo scambio d’idee in proposito. In tale occasione intervenne anche il capitano Arturo Andreoletti, da poco congedato, il quale avanzò l’idea di costituire una ‘grande famiglia alpina’ fra tutti coloro che avevano già militato negli alpini e non solo fra i reduci, ma anche fra quelli che sarebbero stati chiamati alle armi in futuro, in modo da assicurare la continuità del sodalizio.

    L’anno dopo, il primo Convegno sull’Ortigara metterà il sigillo della continuità dell’Associazione, destinato a riconoscere alla montagna sacra il simbolo archetipico di riferimento associativo comprensivo dei valori alpini. Quelli a seguire, non saranno anni facili, ma di grande entusiasmo sì. Non riuscirà a scalfire lo spirito associativo la trasformazione, voluta dal regime fascista, dell’ANA in X Reggimento Alpini, nell’ambito di una revisione degli statuti delle associazioni d’Arma alle quali il regime voleva attribuire il significato di combattenti .

    Così, le t
    essere rilasciate agli iscritti sin dal 1937, recavano l’intestazione nuova che sanciva il passaggio dell’associazione alle dirette dipendenze del direttorio del partito e del ministero della Guerra poi. La 21ª Adunata nazionale di Torino, nel giugno del ’40, vide molti alpini sfilare con la cartolina’ infilata nel cappello. L’Italia sta iniziando la sua tragica avventura di guerra i cui sinistri presagi erano stati avvertiti sin dall’anno prima, all’Adunata a Trieste. Alla fine del 1938 gli iscritti erano 92 mila. Al crollo del regime, il comandante Angelo Manaresi si dimette, gli succede un avvocato piemontese Marcello Soleri, che non aveva mai nascosto le sue perplessità al regime fascista, il quale si insediò soltanto il 4 giugno del ’44, alla liberazione di Roma da parte degli alleati.

    La prima conta degli iscritti avvenne nel ’47: erano 13mila 748. L’anno prima la sede dell’ANA era tornata a Milano: la prima riunione del Consiglio Direttivo Nazionale avverrà il 29 dicembre 1946, nel salone della Banca Lombarda. Dodici anni dopo, sarà inaugurata l’attuale sede nazionale, in via Marsala. Il resto è quasi storia dei nostri giorni, con la nascita del Servizio d’Ordine nazionale (1964), il battesimo sul campo della nostra splendida Protezione civile, nella tragedia del terremoto in Friuli, nel ’76, l’ospedale da campo, l’aumento degli iscritti, anno dopo anno, comprese le sezioni all’estero che nel 1992 saranno 30, con 114 gruppi e 4 gruppi autonomi e oltre 4.500 iscritti.

    Lentamente, cresceranno anche i soci aggregati, gli amici degli alpini. Oggi l’Associazione, nonostante la sospensione della leva obbligatoria, è più viva e forte che mai, con 81 sezioni in Italia e 4.233 gruppi, e 31 sezioni all’estero più dieci gruppi autonomi. Complessivamente i soci iscritti sono, al censimento della fine dell’anno scorso, 312.452, al quali si aggiungono 71.259 soci aggregati, per un totale di 383 mila 711 iscritti. Ma sbaglierebbe chi pensasse che la forza dell’Associazione sta nei numeri. Era già forte quando, novant’anni fa, pochi reduci si riunirono quasi clandestinamente nella sede del CAI, a Milano, per parlare di alpini.

    È forte oggi perché ha fermi principi, solide basi e grande forza morale che si basa sulla tradizione e la gioia di andare avanti, passo dopo passo. Come quando si va in montagna, guardando, di tanto in tanto, la cima.

    Leggi gli altri articoli sul 90° dell’ANA:

    Pubblicato sul numero di luglio agosto 2009 de L’Alpino.