Il sacrificio degli alpini

    0
    222

    Con l’attacco italiano alla Grecia del 28 ottobre 1940 e la contemporanea invasione del suo territorio da parte delle truppe italiane schierate in Albania, quella che doveva essere una passeggiata militare si trasformò in un clamoroso insuccesso dovuto al pressapochismo con cui era stata organizzata. Già dalla metà di novembre le divisioni italiane si schierarono sulla difensiva sui monti dell’Epiro e poi furono respinte in Albania dalle truppe greche accorse a fronteggiare gli invasori. Le truppe italiane a disposizione sul fronte greco non erano sufficienti a fermare l’esercito greco che contrattaccò su tutto il fronte. Vista l’urgenza di inviare rinforzi in Albania anche al 2º gruppo Valle arrivò l’ordine di partire per il fronte ormai stabilitosi profondamente sui monti d’Albania.

    Il 13 dicembre il Val Leogra lasciò la caserma di Tolmino nella valle dell’Isonzo per raggiungere Foggia e il 21 dicembre gli alpini furono imbarcati sugli aerei da trasporto tedeschi che li portarono a Tirana. Nei giorni seguenti, raggiunsero su camion la città di Gramshi e da lì, a piedi, su strade e sentieri fangosi, le impegnative quote del settore Valamare – Guri i Topit (a oriente del massiccio del Tomori). Il 31 mattina il Val Leogra giunse presso la linea tenuta dalle due compagnie del Vestone, rimaste rispettivamente con 65 e 150 uomini. Davanti al tratto di competenza, lungo ben 5 km, nella terra di nessuno si ergeva il Guri i Topit (q. 2.120) e il comando della divisione Tridentina considerò necessario prendere possesso di questo monte che rivestiva un’importanza strategica notevole. La 261ª si avviò verso la cima, ma giunti sul Guri i Topit gli alpini avvistarono una colonna composta da almeno due compagnie di greci che vi stavano salendo, immaginando probabilmente che il monte fosse deserto.

    Senza perdersi d’animo il sottotenente Rossi ordinò di aprire il fuoco sul nemico, ma i fucili mitragliatori e la Breda si incepparono per il freddo, allora gli alpini iniziarono un efficace fuoco di fucileria che prese alla sprovvista i greci. Lo scontro durò circa due ore, dopodiché i greci decisero di ritirarsi verso la sella del Vorrit i Plakes, lasciando sulla neve numerosi morti e trasportando a braccia parecchi feriti. L’ormai sicuro prossimo attacco dei greci alla cima obbligò il comando ad inviare anche la 260ª sul Guri i Topit. La mattina dell’11 febbraio tutta la compagnia comandata dal bravo capitano Milan si schierò assieme alla 261ª sul monte. Il colonnello Fassi inviò anche il plotone sciatori del Tirano in aiuto del Val Leogra e questo prese posizione tra le quote 2.109 e 2.110. Giunsero in linea sul Pupatit due pezzi da 75/13 della 52ª batteria del gruppo Val D’Orco, che furono di sostegno, almeno morale, al Val Leogra: avrebbero dovuto infatti contrastare l’azione di 16 bocche da fuoco greche. L’azione dell’artiglieria, e soprattutto quella dei mortai greci, si dimostrò micidiale, perché gli unici ripari per gli alpini furono delle buche scavate nella neve.

    Il capitano Mazzola e gli altri alpini dalla cima del Guri i Topit guardavano impietriti l’evolversi della battaglia, che vedeva le colonne greche assalire l’ormai esigua schiera dei difensori. Lo scontro fu violentissimo e terminò con una lotta corpo a corpo, durante la quale caddero praticamente tutti i difensori, alla cui testa vi erano i due sottotenenti, Lionello De Facci Negrati e Aldo Sbardellati, entrambi della 260ª. Pochi alpini riuscirono a sganciarsi e a raggiungere q. 2.107. A questo punto le due cime e tutta la dorsale ovest del Guri i Topit erano cadute in mano greca, ma gli ellenici non si accontentarono dei successi ottenuti e radunarono tutte le forze per conquistare l’intera montagna. Mentre gli assalitori si preparavano all’assalto della cima tutte le armi automatiche e i pezzi greci disponibili iniziarono a colpire i difensori del Guri i Topit. Le postazioni fatte di neve furono ben presto spianate e molti alpini rimasero uccisi o feriti ancor prima dell’assalto greco. Tra i feriti ci fu il capitano Mazzola, che cedette il comando del Guri i Topit al capitano Milan.

    Poco dopo la mezzanotte i greci accerchiarono gli ultimi difensori di q. 2107 e verso le 2 attaccarono la cima (q. 2120). Gli attaccanti probabilmente pensavano di trovare solo morti, dopo il terribile bombardamento da poco terminato; invece furono sanguinosamente respinti dagli alpini superstiti, sostenuti dalle tre mitragliatrici Breda “pesanti” che non smisero un attimo di sgranare caricatori. La notte sul 12 febbraio arrivarono la 259ª, che si schierò sulla cima e la 48ª del Tirano, che si sistemò a difesa della selletta tra le q. 2.120 e 2.062, a nord della cima. Gli attacchi greci proseguirono senza sosta per tutto il giorno, alternati da bombardamenti intensi che miravano a ridurre i difensori a brandelli. Prima di sera rimasero feriti il maggiore Tirone e il comandante della 259ª, capitano Paganelli.

    La precisione dei mortai greci si dimostrò impressionante perché ogni nostra postazione veniva battuta pesantemente. Oltre al problema del trasporto dei feriti di notte arrivò a torturare i superstiti una temperatura intorno ai meno 30° che provocò molti casi di congelamento. Tra i tanti alpini che diedero la vita in quell’infausto giorno ci fu un ragazzo friulano della 260ª; si trattava del caporale Severino Lesa da Togliano di Torreano (Udine). Severino era il primo di otto fratelli di una modesta famiglia contadina; taciturno, riflessivo e di costituzione robusta era un grande lavoratore ed era conscio di dover contribuire con il suo lavoro per aiutare i genitori. Dopo aver fatto il servizio militare nel battaglione Cividale nel 1932, tornò alla vita nei campi, ma decise di arruolarsi per la campagna d’Africa Orientale nel 1937 per aiutare la famiglia con la sua paga di soldato e così partecipò ad un ciclo di operazioni con il 10º reggimento granatieri di Savogna fino al rimpatrio nell’agosto del 1939.

    Quando scoppiò la guerra nel 1940 disse sconsolato: «Vedrete che adesso sarò richiamato!»: il 25 novembre dovette presentarsi al deposito di Cividale e da lì venne inviato il 7 dicembre a Tolmino per completare il battaglione Val Leogra in partenza per il fronte greco. Nei giorni della battaglia per il Guri i Topit Severino aveva il compito di rifornire di munizioni una delle mitragliatrici Breda che rappresentavano l’unica speranza di arginare gli attacchi nemici. In uno dei momenti più critici per gli alpini giunse nella posizione avanzata e vide che i serventi della mitragliatrice erano caduti. Senza perdersi d’animo si mise al loro posto e con calma e precisione iniziò a tempestare di pallottole la colonna avanzante.

    I greci rivolsero le loro armi contro la piccola posizione, ferendolo, ma non impedendogli di continuare a sparare. Mentre attendeva le munizioni, ormai esaurite, un colpo preciso di mortaio lo centrò, ma Lesa chiese ai suoi compagni di non pensare a lui, ma di fermare l’attacco nemico. Morì dissanguato dopo pochi minuti, ma il suo atto di eroismo diede una grande forza a tutti i superstiti rimasti nella martoriata cima del Guri i Topit. A Severino Lesa fu concessa la Medaglia d’oro al valor militare. Il bianco manto che ricopriva il Guri i Topit era ormai sconvolto dagli scoppi, gli alpini del Vestone e del Tirano trascorsero la notte a scavare un camminamento verso q. 2120, che permettesse di portare rifornimenti e collegare la cima con quell’importante posizione avanzata. Il 15 febbraio i pochi superstiti del Val Leogra furono sostituiti sulla cima del Guri i Topit dalla 54ª compagnia del Vestone.

    Manuel Grotto e Guido Fulvio Aviani