La lettera di Norberto Ferretti, esule da Pola “Ricordare le Foibe”, (L’Alpino n. 3/2014) mi ha indotto a scrivere questa mia breve memoria. Sono l’ex sottotenente del Genio Pionieri Orobica che nell’ottobre 1957 (periodo di massima tensione con le truppe di Tito) fu incaricato dal Ministero della Difesa a documentare il fondo di alcune Foibe triestine. Penso di essere stato il primo, e forse l’unico, ad ispezionare, in forma ufficiale, quelle voragini spaventose.
Il segreto militare mi ha obbligato al silenzio per molti anni e, confesso, il non poter esternare una simile esperienza, ha aumentato a dismisura la mia angoscia. Ero un ragazzo poco più che ventenne, quando intrapresi quella missione. Non avevo mai sentito parlare di Foibe e tantomeno del dramma che in esse si celava. Ero convinto che il mio compito fosse quello di controllare l’eventuale esistenza di residuati bellici e, in caso di ordigni, renderli inoffensivi, invece mi sono trovato al cospetto di poveri resti umani. Lo choc fu tale che ancora oggi l’angoscia mi prende. Trovai ossa di uomini sulle quali erano evidenti i segni di tortura, di una donna, ma anche un bambino di forse una diecina d’anni. Trovai tracce di divise tedesche, cioè quelli che, nel 1944 quando facevo la staffetta partigiana, erano i nemici. Ma quei poveri resti non riuscii più a vederli come nemici: erano ragazzi come me, forse anche più giovani; quelle povere ossa erano tutte uguali, tutte dello stesso colore; erano tutti martiri ed i martiri non hanno colore. Ora, trascorso più di mezzo secolo, ogni vincolo di segretezza è decaduto e finalmente ho potuto esternare quell’angoscia che per troppi anni ho dovuto custodire in me stesso.
Mario Maffi – Cuneo
Grazie, caro Mario, della tua preziosa testimonianza. Lo spazio non ci consente di indagare in queste poche righe sulle cause storiche di quell’eccidio, che rimane comunque una pagina della notte dell’uomo.