Guerra scarpona

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    Era l’estate del 1994 quando il buon Aldo Zorzi mi suonò a casa: «Milanese!!! – mi chiamava sempre così – ho il materiale da darti per la mostra…». Si trattava di una bella pinza tagliafili lunga modello “Malfatti” e un sacchettone ben pesante con dentro delle strane calzature. «Sai cosa sono, milanese?». «Ovviamente no, cioè sì, scarpe fatte con la corda» risposi. Il buon Aldo con il suo faccione, compiaciuto annuì e sornione mi spiegò la storia di quel paio di scarpe (nella foto a sinistra). 

     

    Quando iniziò l’inverno del 1916, sui Lagorai, a Ziano di Fiemme ci si preoccupò dei soldati (austriaci, ovviamente) che dovevano presidiare il Cauriol e tutte le trincee a difesa degli attacchi italiani. Fu così che alcune donne si presentarono al Comando austriaco a “Villa Flora Delugan” (oggi ancora esistente e che ospiterà quest’estate una interessante mostra proprio sul monte Cauriol), esponendo al generale Fischer la possibilità di confezionare sovrascarpe di paglia di segale o di foglie delle pannocchie di granoturco per le sentinelle.

    L’ideatrice fu Caterina Gabriòla Zorzi insieme con altre otto donne (Margherita Vanzetta, Giuditta Vanzetta, Maria Vanzetta, Bonina Vanzetta, Maddalena Zanon, Apolonia Bond, Giuditta Delugan e Maria Giacomuzzi). Il lavoro consisteva nell’intrecciare paglia, ottenendo una corda spessa e lunga sul modello delle funi da marinaio di canapa di una volta.

    Queste poi venivano cucite intorno ad un suolone di legno: la sovrascarpa così fatta isolava il piede della sentinella dal freddo. La scarpa era lunga 40 centimetri, larga 16 e alta 26. Ne furono costruite più di un centinaio di paia, le donne ebbero come compenso cinque pagnotte militari per ogni paio di sovrascarpe accettate.

    Il compianto Aldo Zorzi mi portò dunque l’ultimo, sopravvissuto paio di scarpe di paglia fatto da quelle signore. Ma anche gli italiani si erano attrezzati. In casa conservo una fotografia assai curiosa che ritrae due soldati addetti alle salmerie in mezzo a tanta neve. Ai piedi portano un bel paio di zoccoli in legno. Ne trovai riscontro su un documento originale dell’epoca: in occasione delle feste natalizie del 1915, alcune donne dell’Unione Femminile Nazionale (uno dei tanti comitati di assistenza per i combattenti sorti a Milano durante la guerra) vollero inviare un dono utile per proteggere dall’umidità i combattenti che rimanevano giorno e notte in trincea durante l’inverno: dei sabots ovvero delle sovrascarpe in legno molto in uso nella Valle d’Aosta, adoperate come scarponi poiché avevano la particolarità di proteggere il piede dall’umidità e dal gelo.

    Successe che qualche superiore notò la piena funzionalità delle calzature: dispose così l’incetta di tutti i sabots confezionati in Valle d’Aosta (specialmente nel comune di Ayas) e ordinò che tutti i soldati, originari di quelle zone e comprovanti l’abilità nel costruirli, fossero ritirati dalla prima linea e inviati a produrre zoccoli in numero sufficiente da soddisfare le esigenze delle sentinelle. Interessante notare che il sabot poteva essere utilizzato con o senza la scarpa ordinaria di cuoio. Le sentinelle di prima linea, per esempio, dovevano calzarli con le scarpe, in modo da toglierli subito in caso di bisogno per non essere impacciati nei movimenti durante il combattimento. Coloro invece che non si trovavano esposti al pericolo, potevano anche calzarli senza scarpa o con le scarpe più leggere, dette da “riposo”.

    Altra calzatura curiosa, destinata alle sentinelle, costruita sempre dalle donne dell’Unione Femminile milanese, sono le sovrascarpe a gambale in tela cerata che avevano il vantaggio di proteggere le gambe fino al ginocchio. Si rese impermeabile la tela grazie ad un bagno chimico ideato dal dott. Clavari della ditta Pirelli e si applicò una suola di legno impermeabilizzata e munita di ramponi speciali che evitavano lo slittamento su terreni gelati.

    L’aderenza della stoffa con la suola in legno era assicurata da uno speciale sistema di chiodatura isolante che impediva all’umidità di penetrare. E le scarpe di cartone? Oh sì! c’erano pure quelle, ma non erano brutte come quelle usate da mio nonno durante la Seconda Guerra Mondiale in Sardegna mentre offriva fichi d’india (con la buccia) ad una bella brunetta che poi sarebbe diventata mia nonna. Ma questa è la storia d’un altro paio di scarpe!

    Andrea Bianchi