Si è tenuto a Feltre il primo raduno del Battaglione che ne porta il nome e che da una decina d’anni ha lasciato la città per trasferirsi a Belluno. La manifestazione ha rappresentato l’apice di una tre giorni denominata “Orgoglio Alpino”, a cui ha partecipato una delegazione ungherese, guidata dal generale di brigata Erno Szeltés, giunta per ricordare la presenza della 66ª Compagnia imperiale dell’aviazione magiara nel campo di volo di Feltre nel 1918.
Forte e spontanea l’amicizia nata tra gli ungheresi e gli alpini della Sezione di Feltre. Venerdì sera c’è stata la presentazione del libro “1918 sui cieli del Grappa, un aviatore ungherese al fronte”, scritto in italiano e tedesco e curato dallo storico feltrino Marco Rech, in cui vengono descritte le vicende del reparto aereo durante la sua presenza in città.
L’opera è corredata da 270 immagini originali, raccolte dal tenente Gyorgy Nagy-Jòzsa, all’epoca pilota della 66ª Compagnia imperiale, gentilmente concesse dal figlio Georges. Sabato, nel corso di una cerimonia ufficiale, alla presenza del Presidente nazionale Sebastiano Favero, la delegazione magiara ha voluto collocare una lapide a memoria dei Caduti degli opposti fronti nel luogo che un secolo fa ospitava il comando della squadriglia aerea. Un altro momento significativo è stata la consegna al colonnello Diego Zamboni, della cittadinanza onoraria della città di Feltre al 7º reggimento alpini, che dal 1992 al 2005 trovò sede proprio nella caserma Zannettelli, aperta al pubblico nei giorni della manifestazione.
Uno spettacolo teatrale itinerante lungo le vie della cittadella murata e un concerto di cori in Piazza Maggiore hanno chiuso la serata del sabato. La mattinata della domenica ha visto l’arrivo di duemila penne nere, alpini del Feltre e artiglieri dell’Agordo. Dopo un momento di raccoglimento al monumento che ricorda gli alpini del Battaglione, caduti in missione di pace in Afghanistan, la sfilata, ordinata per Compagnie, ha percorso le vie cittadine.
Carlo Balestra
Si scrive William, ma si legge con la v. C’era anche lui domenica 19 luglio sulla sua terrazza fiorita di viale Farra 17. Negli occhi la nostalgia di chi sta per allontanarsi ma vorrebbe restare. Una vita spesa per la più bella Famiglia, per l’amatissima Sezione di Feltre con lo sguardo lungo verso il Gruppo di Lentiai, suo paese natale. L’andatura lenta, la schiena ritta, il passo inconfondibile di chi è avvezzo a camminare su sentieri di montagna.
La testa alta, lo sguardo che ti osserva, indugia, racconta. E la parlata veneta, ma quella dai toni più sofisticati delle zone feltrine e bellunesi. Una melodia che William, maestro elementare per una vita, ha sempre alternato all’italiano. In questa ultima foto irrompe con delicatezza ciò che ha animato l’intera sua vita. Il valore morale di quello “stare sull’attenti” seppur in seconda fila, calzando il suo cappello del Settimo, ne perimetra il carattere e ci riconsegna, sotto forma di ricordi, la sua delicatezza d’animo, l’intelligenza, l’ironia, quella sensibilità quasi femminile.
William era di sua moglie, delle sue tre figlie femmine, dei suoi nipoti, ma non solo. La sua non comune capacità di amare lo aveva portato ad essere di tutti. Un nonno, un padre, un amico. Il maestro. Ci sono momenti in cui mi pare di sentire ancora la sua voce, al telefono: “Qui è William Faccini che parla. Setu a Milano? Setu contenta?”. Che dono sei stato William! Eri unico, ma non come lo siamo tutti. Di più.