DNA alpino

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    Scrivo per segnalare un fatto che mi ha profondamente e negativamente colpito. Mi è venuto tra le mani il libro ‘DNA alpino’ che racconta la storia della Scuola Militare Alpina di Aosta. Ho cominciato a sfogliarlo con interesse ma ben presto ho provato un senso di amarezza e fastidio. Sembra che non ci sia altro mezzo per ‘sbranare’ i giovani che si presentano alla porta della caserma se non quello di bestemmiare a più non posso. E pazienza se questo fosse un vizio ristretto a poche persone. Vorrei che l’Associazione alla quale appartengo fosse di esempio anche in questo campo. Per una questione di dignità, di educazione, di virtù civiche che vanno inculcate nel cuore dei nostri figli.

    Francesco Calgaro 38ª btr., gr. Pieve di Cadore

    Sono lontano mille miglia dal difendere i bestemmiatori. Mi creano disagio. Bisogna però contenere il fenomeno nel contesto in cui si manifestava: la caserma. Per molti, che arrivavano ancora con i ‘denti da latte’, era un ambiente dove tutto sembrava fosse scientificamente programmato per rimbecillirti e che si ‘umanizzava’ con i riti fuori dal controllo del superiore. Erano la ‘vecchiaia’ e ‘la tubazione’ che si perpetuavano anche attraverso la bestemmia. Una forma di nonnismo che impediva alla recluta di bestemmiare e poteva stabilire un rapporto meno gerarchico con l’ufficiale, ovviamente non privato del potere di tirare i suoi moccoli. Una brutta abitudine, spesso lontana dall’educazione della famiglia, che dava a qualcuno la sensazione di essere cresciuto o diventato ‘vecio’. I cappellani, che ben conoscevano le anime affidate alle loro cure, evitavano di annunciare la loro presenza per evitare ‘rosari’ supplementari. Inciviltà?Malcostume?Quegli improperi, a volte bislacchi e perfino pittoreschi, credo non siano mai arrivati in cielo.