Dal Sud Sudan la testimonianza di padre Elia, missionario comboniano

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    I viveri degli Zaini alpini per i bambini dell’Africa , raccolti in occasione dell’Adunata di Genova, garantiscono veri pasti per gli oltre duemila bambini delle scuole della missione, in un territorio devastato dalla guerra

     

    Riportiamo la lettera di padre Elia Ciapetti, bergamasco, missionario comboniano in enya e in Sud Sudan, scritta mentre consegnava alle mense delle scuole gestite dalla missione dieci tonnellate d’ogni grazia di Dio provenienti dalla raccolta Zaini alpini per i bambini dell’Africa . Non è soltanto un ringraziamento, ma anche una testimonianza della carità, possibile con altra carità, di generosità possibile grazie ad altra generosità.
    Alla fine, tutto quadra o quasi in un Paese sconvolto dalla guerra, dove la opravvivenza giornaliera è troppo spesso già una conquista, spesso legata all’adozione a distanza.

     

    Cari amici Alpini d’Italia,
    Sono il padre comboniano incaricato dal vescovo di Torit in Sud Sudan di trasportare e distribuire ben 10 tonnellate d’ogni grazia di Dio (riso, pasta di tutti i tipi, fagioli, pelati, zucchero, marmellata, biscotti, fette biscottate …) provenienti dai 7 containers di cibo non deperibile della raccolta fatta dalla vostra associazione durante l’Adunata di Genova e diretti ai più poveri dell’Africa Centrale. Qui moltissimi non avevano mai assaggiato cibi del genere. Il pasto che possiamo garantire ai bimbi delle nostre scuole consiste in una specie di farinata con un po’ di carne quando ce n’è, olio di semi quando ce n’è, arricchita da un
    composto multivitaminico chiamato ‘Unimix’, che ci forniva l’ONU per i rifugiati. Potete immaginarvi la festa: in questo periodo ogni giorno sembra Natale!
    Nell’impossibilità di ringraziare personalmente, a nome mio e del popolo dei miei parrocchiani Toposa (350.000 persone!) ogni alpino che si è presentato a Genova con il suo pacco di viveri, spero di poterlo ugualmente raggiungere dalle pagine
    del vostro periodico ‘L’Alpino’ cui ho chiesto ospitalità.
    Io sono bresciano e nelle nostre valli sono tanti i ragazzi che amano la montagna e la figura dell’alpino e che hanno con la loro mamma il tipo di colloquio che mi è stato insegnato nella sua lingua da un alpino friulano: ‘Alpén yo màme! Polente to fantàt!’. Ma l’amore per la montagna spesso li porta a realizzare ugualmente
    il loro sogno d’infanzia. La mia storia è simile, ma il mio amore era per il volto di Gesù visto in quello dei più poveri. Il mio sentiero d’attacco fu il seguire le orme
    di Daniele Comboni, il nostro fondatore. Da oltre cinquant’anni lo percorro, e sempre in prima linea, in mezzo ai più poveri fra i poveri. Sono arrivato in Sudan fra i pastori semi nomadi Toposa appena ordinato sacerdote, uno degli ultimi ad essere ammessi, nel 1957. Fui pure uno degli ultimi ad essere espulso nel 1964. Sono stato poi assegnato ai loro altrettanto poveri ‘cugini’ Karamojon dell’Uganda Occidentale, poco oltre il confine (parlo di distanze africane…) e con loro ho trascorso il terribile periodo della tremenda siccità e della grande carestia degli anni ’70 e ’80. Dal 1994 sono rientrato, da clandestino, a prendermi cura
    dei miei primi parrocchiani. Assieme abbiamo ricominciato da dove avevamo lasciato. Assieme lavoriamo, con l’aiuto meraviglioso di tante persone di buona volontà, per cercare di risollevare l’intero popolo, cui tutto era stato negato, dall’identità alla religione, dalla cultura di base al diritto all’esistenza, nonostante le continue prove cui siamo sottoposti da una guerra etnica e civile che dura ormai da 40 anni (due generazioni!) e che non ci risparmia razzie e ombardamenti, principalmente su obiettivi civili: villaggi, ospedaletti, scuole. So che questa realtà incontestabile risulterà particolarmente odiosa a voi,
    che in pace come in guerra sempre vi siete schierati in difesa dei civili. Il mio ministero impegna a dare, oltre al conforto della speranza cristiana, un minimo di aiuto nei bisogni primari e quello cui i Toposa aspirano vivamente: una cultura di
    base per i loro bambini. Quando sono tornato abbiamo cominciato con il tenere scuola sotto un albero nei principali villaggi. Abbiamo poi eretto delle ‘capanne lunghe’ nello stile locale come aule, ma la fame incessante delle termiti le
    rendeva presto pericolanti, così qualche anno fa si è cominciato a trasformarle in edifici in muratura, con magazzino e pozzo per renderle autonome e tetti in ondulato coperti di frasche per nasconderli ai bombardieri Antonov.
    Ormai le 10 scuolette ‘fisse’ sono una realtà ben operante e ospitano più di 2100 bambini. Vi lavorano 52 maestri, giovani diplomati provenienti dal Kenya (in Sud Sudan non ci sono rimasti maestri) e nella scuola maggiore di Narus, il nostro
    ‘capoluogo’, oltre alle elementari da un paio d’anni sono attive anche le classi medie. A questo proposito voglio dirvi quale sia la solidarietà fra i poverissimi:
    la maggioranza di questi allievi non è Toposa ma appartiene ad altre etnie, nel passato spesso loro avversarie che, scacciate dai loro territori, sono state accolte in questo che altro non è se non un gran campo profughi, oltre che sede ella mia parrocchia e della Missione.
    Per mandare avanti le scuole con continuità (bisogna pur dare un minimo di salario attualmente circa 60 euro ai maestri, che vengono a condividere un’esistenza di stenti in territorio straniero e in zona di guerra) qualche anno fa ho iniziato l’operazione ‘adozioni a distanza’: con 180 euro l’anno per tre anni si garantisce ad un bambino, di cui si riceve foto, nome e storia familiare la maggior parte sono profughi od orfani vitto, vestiario e istruzione. Gli adottanti sanno dall’inizio che l’unico contatto che avranno con il loro bimbo sarà quello del cuore: la loro offerta sarà usata per i bisogni di tutti ed il loro bambino non avrà la tentazione di comportarsi da privilegiato con i compagni. Questo ragionamento
    così rude è stato accettato senza riserve da diversi uomini di buona volontà.
    Il constatare la crescita e l’orgoglio di questa gente solo perché la sua gioventù riceve questo minimo, che a loro sembra già un regalo meraviglioso, è cosa che fa guardare con speranza, oltre un presente così misero e desolato, ad un futuro di pace e tranquillità che negli ultimi tempi sembra essere sempre a portata di
    mano e che invece ogni volta continua inesorabilmente a sfuggire. Voglio testimoniarvi a questo proposito di come il vostro aiuto sia giunto provvidenziale in un momento particolarmente critico. Dal 27 settembre l’ONU ha sospeso, vista la ripresa delle attività belliche dopo l’interruzione dei negoziati di pace avviati a Machakos presso Nairobi, i voli dal Kenya con gli aiuti umanitari diretti alla gente del Sud Sudan. Il vostro cibo sta così contribuendo a salvare dalla morte per ame moltissima gente soprattutto i bambini in questo periodo particolarmente
    nero.
    Vi siamo riconoscenti di essere al nostro fianco lungo questa dura salita e confidiamo che la vetta sia vicina. Da lassù contempleremo le valli e ci meraviglieremo di come tutto sarà armonioso, una volta che l’uomo abbia capito come non l’uno contro l’altro ma assieme si costruisce e si gode la bellezza del Creato. Vi ringrazio per la vostra anima alpina, che vede il bisogno sia nel vicino
    sia nel lontano e che non perde tempo a mobilitarsi e ad intervenire, da sola o assieme ad altre benemerite organizzazioni come l’altrettanto efficiente e generosa Protezione civile. Con grande gioia e vivissima riconoscenza la gente del Sud Sudan ed il parroco Padre Elia salutano tutti gli Alpini d’Italia.

     

    Padre Elia Ciapetti Nairobi, Kenya

     

    P.S. Una buona notizia ci è giunta due giorni or sono. I rappresentanti del No
    rd e Sud Sudan (nei ‘peace talks’ di Machakos, a 50 km, da Nairobi) si sono accordati su due punti: 1) non verranno più interrotti i voli umanitari in Sud Sudan.
    2) È proibito qualsiasi movimento di gente armata ed ogni bombardamento.

     

    Padre Elia ferito in un agguato: leggi l’articolo sul numero di Aprile >>