Cuore alpino in Ortigara

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    “L’Ortigara è bella ma scomoda. Ma l’anno prossimo tornerò!”. Così chiudevo il mio racconto lo scorso anno, e così è stato. Come ai bei tempi: sveglia ore 4, adunata ore 4.45, partenza ore 5 con il mio Capogruppo adottivo Angelo Brazzale e con Luca Sanson, oramai divenuti compagni inseparabili nelle nostre scarpinate. Arriviamo ad Asiago alle 6, come previsto, e ci mettiamo a disposizione dei Presidenti di Asiago, Enzo Biasia, e di Marostica, Giovanni Sbalchiero, per il trasporto in quota del personale. 

     

    Ci viene assegnata la delegazione della Sezione di Torino con la quale, sistemato il fuoristrada, ci avviamo in autocolonna in direzione Camporovere per salire poi la Val Galmarara. Lungo il tragitto ho modo di far vedere ai miei passeggeri i vari spostamenti del fronte della Strafexpedition. Esattamente cento anni fa si era nel pieno della fase di contrattacco italiano alle linee mentre gli austroungarici si attestavano sulla loro “Winterstellung” che tanto sarebbe costata alle nostre armi. Dopo la sosta nei pressi del rifugio Tre Fontane per il tradizionale caffè, robustamente “corretto”, offerto dagli alpini di Santa Caterina, arriviamo nei pressi del piazzale Garibaldi da dove ci incamminiamo per la vetta dell’Ortigara.

    Troviamo una giornata strana, con una nebbia molto fitta in quota che va via via sciogliendosi con l’arrivo dei primi raggi di sole. Non seguiamo la “mandria” ma ci portiamo sul monte Campigoletti dove posso illustrare ai miei amici le ragioni per cui la linea austriaca, sapientemente fortificata, non fu sfondata dagli italiani, né nel 1916, né durante la grande battaglia dell’anno successivo. Arriviamo nei pressi della Colonna Mozza, dove fervono i preparativi per la cerimonia. Tanta gente, tanti alpini, strette di mano, sorrisi.

    Ritrovo gli amici, saluto don Rino Massella, il cappellano della Sezione di Verona con il quale mi accomuna questa montagna e questo pellegrinaggio che condividiamo da quasi vent’anni. C’è anche padre Milan Pregelj, il cappellano militare del battaglione da montagna degli amici Sloveni che sono anch’essi presenti quassù. Vedo poi il bandierone ricamato dei Rainer, portato dall’amico Paul Wieland. Un abbraccio, una stretta di mano, è bello ritrovarsi dopo un anno. Comincia la cerimonia, una semplice Messa al campo. Don Rino officia assieme a padre Milan che legge il Vangelo in italiano e in sloveno. Non ci sono tv, non ci sono media.

    Solo alpini e il silenzio rotto dai comandi cadenzati del picchetto del 7º e dalle voci dei celebranti. Forse abbiamo bisogno di essere su di una pietraia desolata per ritrovare noi stessi dopo le ubriacature delle varie Adunate dove oramai contano solo i numeri e le “ricadute economiche sul territorio”, come sempre più frequentemente ribadiscono gli organi di stampa. Ma quella è un’altra partita, che dobbiamo giocare per sopravvivere in questo mondo malato di individualismo e addirittura di solipsismo. Ma oggi no, oggi è una giornata solo nostra. Conto i vessilli sezionali: 28… pochi! Pochi per una realtà come la nostra che fa delle radici uno dei pilastri portanti. Alcuni vengono da molto lontano, mancano altri da molto vicino. Ne abbiamo parlato, anche ai massimi livelli, ma alla resa dei conti, serve poco.

    Meglio una bella sfilata in una comoda città che una giornata di sacrificio. Si sono trovate tante scuse e giustificazioni, non ultima il fatto che i nostri soci sono sempre più anziani ed è sempre più difficile per loro salire in Ortigara. Vero, ma allora cosa li teniamo a fare i “coordinamenti Giovani”, solo a fare le belle statuine con la maglia “Dal 1919…”? È sciocco tenerli in una “riserva indiana” e non utilizzarne la freschezza e la vigoria quando servono. E l’anno prossimo ricorre il centenario della battaglia… Finisce la Messa con l’ultimo canto del coro Ana Marostica e la benedizione.

    La cerimonia continua con la deposizione della corona in memoria dei Caduti, deposta dai due “numeri uno” degli alpini, il comandante delle Truppe Alpine gen. Federico Bonato e il Presidente nazionale Sebastiano Favero, e da una rappresentanza di autorità locali. Infine, dopo l’uscita dallo schieramento del Labaro dell’Ana, scortato da tutti i Consiglieri nazionali, la cerimonia si sposta al cippo austriaco ove vengono resi gli onori ai Caduti della parte avversa. Il tempo per deporre una corona d’alloro alla lapide del ten. Ferrero e alla lapide del ten. Cecchin e giù di corsa per le ripide balze della montagna per la parte conclusiva della cerimonia alla chiesetta del Lozze.

    Nei discorsi il gen. Bonato e il Presidente Favero ribadiscono l’indissolubile legame tra alpini in armi e in congedo, dato dall’imperativo precetto della conservazione della memoria di chi ci ha preceduto nella difficile strada dell’onore. Nonostante la bella giornata conto solo 19 vessilli e molta meno partecipazione del solito. Senza volermi ripetere mi sembra ci sia qualcosa che non funziona e che bisogna sistemare.

    Certo, risulta difficile non essere ripetitivi e trovare sempre nuovi stimoli e nuove parole, ma usiamo forse nuove parole nell’Ave Maria che ci ha insegnato da piccoli la nostra mamma? Credo sia questa la chiave di volta. Smetterla, come fanno molti, di chiamarla “festa dell’Ortigara”, perché qui non c’è niente da festeggiare, e usare la parola giusta: pellegrinaggio. Allora non serviranno più cose nuove perché, ogni volta, a rinnovarsi sarà il nostro cuore alpino.

    Roberto Genero

    rgenero@gmail.com