Cukla e Rombon

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    Il Monte Rombon (2.208 metri), sovrastante l’abitato di Plezzo, costituiva uno dei capisaldi della difesa austriaca dell’Alto Isonzo; più volte attaccato, non venne mai conquistato dai soldati italiani. La sottostante cima del Cukla (1766 metri) venne invece occupata una prima volta il 23 agosto 1915 da due plotoni delle compagnie 1ª e 4ª del btg. Ceva, inquadrate nel btg. Speciale Bes e successivamente ripresa dagli austriaci con un’azione di sorpresa in pieno inverno, il 12 febbraio 1916. Inutili furono i tentativi italiani di riconquista del 14 febbraio e del 20 marzo. Nel mese di maggio, all’attacco del giorno 4 dei soldati bosniaci, seguì il contrattacco del giorno 10 che portò gli alpini dei battaglioni Bassano, Saluzzo e Ceva a riprendere la cima e la colletta Cukla. Il Rombon, dopo i vani tentativi di agosto e settembre 1915, fu nuovamente attaccato il 16 settembre 1916 da sei diversi battaglioni alpini, ma l’azione si concluse con un sanguinoso insuccesso. La sera del 24 ottobre 1917, a seguito dell’offensiva austro-tedesca di Caporetto, le truppe italiane furono costrette ad abbandonare il Cukla e ripiegare verso Sella Prevala.

     

    “Dedico questo mucchietto di carta stampata alla memoria di mio fratello Antonio rimasto sui reticolati del Rombon, coi suoi Alpini del battaglione Bicocca”, è questo l’incipit del libro “Ragù” di Gian Maria Bonaldi, per tutti la Ecia. Ci sono luoghi celebri che tutti conoscono, anche solo per sentito dire. Ed altri invece custoditi tra le pieghe della Storia, come i monti Rombon e Cukla. Nel marzo 1916, in una nota riservata, il generale Cadorna definiva la regione Cukla, sopra la Conca di Plezzo, “forse la più ingrata del nostro schieramento alpino”.

    La prima breve avanzata, nell’agosto del 1915, aveva portato le sue truppe ad occupare quelle precarie posizioni, poi mantenute a prezzo di gravi sacrifici. Si trattò di un autentico calvario per una schiera di battaglioni alpini, insieme a fanti e bersaglieri, terminato solo per la rotta di Caporetto, quando fu ordinato l’abbandono delle posizioni e la ritirata verso la Sella Prevala. Teatro di atti eroici e di episodi controversi – su tutti lo scioglimento di un intero battaglione alpino – il Rombon fece ancora parlare di sé negli anni Trenta per un acceso dibattito sugli “Otto del Rombon”, un gruppo di alpini che si erano lanciati in un burrone piuttosto che darsi prigionieri.

    In tempi recenti, la disponibilità di nuovi documenti e immagini d’epoca ci ha spinto a svolgere una ricerca specifica su quei fatti poco conosciuti, integrata da alcuni sopralluoghi sul campo. Siamo in Slovenia, a pochi chilometri dal confine con l’Italia e il nostro viaggio comincia da Bovec. Con le vecchie foto alla mano abbiamo ripercorso i luoghi tante volte citati nelle cronache di guerra: Goricica Planina, sede di magazzini e luogo di arrivo di teleferiche, con un cimitero di guerra, oggi vasta spianata erbosa con un ricovero di cacciatori. Poco dopo ecco il primo incontro toccante: l’ex cimitero dell’Addolorata con alcuni resti di croci e lapidi, il piccolo monumento al cappellano don Bonavia del battaglione Borgo San Dalmazzo, caduto il 16 settembre 1916, poi l’altare con i nomi dei battaglioni alpini, quanto rimane della cappelletta eretta dagli alpini del Val Tanaro. Riprendiamo il cammino, a destra i muri diroccati di quella che era l’Infermeria Rombon, in guerra grande edificio addossato alla parete; anche qui, di fronte, i resti di un altro cimitero con un paio di lapidi lasciate dopo l’esumazione dei Caduti.

    Ecco finalmente in vista la parete del Rombon, più volte presa d’assalto dai nostri alpini. Raggiungiamo la cima del Cukla, riconquistata il 10 maggio 1916 con un’azione lampo che costò la vita al tenente colonnello Luigi Piglione, poi decorato di Medaglia d’Oro; oggi ricordiamo, con i versi di una commovente poesia, l’alpino bergamasco del battaglione Valcamonica, Fermo Antonio Carrara, precipitato nella notte del 2 agosto 1916 e mai più ritrovato. Dalla cima si scorge la linea austriaca, detta dei “Pini Mughi” e in basso la contesa quota 1.583. Desideravamo in questo viaggio su montagne selvagge e poco frequentate, ritrovare il cimitero di guerra del Sacro Cuore: unica traccia due foto dell’estate del 1916.

    Da allora il paesaggio è cambiato, la vegetazione è cresciuta a dismisura, ma riconosciamo il luogo e troviamo conferme cercando tra i sassi: il cimitero era qui, l’ultima dimora per gli alpini del battaglione Ceva e degli altri reparti che giunsero in seguito al Sacro Cuore. Dismesso, come gli altri cimiteri di guerra del Rombon negli anni 1920/1921, i suoi morti furono portati nel grande cimitero di Plezzo e poi all’Ossario di Caporetto, dove ha termine il nostro viaggio. Abbiamo percorso queste cime ricordando i reparti alpini che un secolo fa calcarono le rocce del Rombon. Erano i battaglioni Bes, Pieve di Teco bis, Val Ellero, Bassano, Exilles, Ceva, Val Tanaro, Saluzzo, Valcamonica, Borgo San Dalmazzo, Bicocca, Vestone, Dronero, Sette Comuni, con l’11ª compagnia del Mondovì e le batterie da Montagna 38ª e 51ª.

    Massimo Peloia
    mapeloia@tin.it