Alte vie nella Grande Guerra

    0
    46

    Inizia la collaborazione con Marco Ferrari, fondatore e direttore di Meridiani Montagne, che ci accompagnerà sui luoghi della prima guerra mondiale di cui si celebra il centenario.

    MARCO ALBINO FERRARI
    Nel 2001 ha fondato la rivista “Meridiani Montagne”, di cui è attualmente direttore. Ha scritto sceneggiature per il cinema, realizzato documentari e – negli anni Novanta – diretto il mensile “Alp”. Ha collaborato con la casa editrice Einaudi e curato la collana “I Licheni” per Vivalda Editori. Scrive reportage e lunghi racconti a puntate per “La Stampa”. Tra i suoi libri: Frêney 1961 (Vivalda Editori 1996); Il vuoto alle spalle (Corbaccio 2000); Terraferma (Corbaccio 2002); In viaggio sulle Alpi (Einaudi 2009); La sposa dell’aria (Feltrinelli 2010); Racconti di pareti e scalatori (Einaudi 2011); Alpi segrete (Laterza 2011); La via del lupo (Laterza 2012).

    Come nasce la collaborazione con l’ANA?

    «Se in Italia chiedessimo a dieci persone di dire la prima cosa che viene loro in mente quando pensano alla montagna, io credo che una buona parte degli intervistati risponderebbe: “gli alpini”. Gli alpini sono legati al mondo delle altezze non soltanto perché hanno combattuto sui fronti in quota durante la Grande Guerra – e dunque nell’immaginario popolare sono rimasti immersi in quel mondo – ma perché sono portatori di valori vicini a ciò che esprimono le terre alte. Prima di tutto la solidarietà: oltre una certa quota l’aiuto reciproco e la fratellanza diventano necessari, indispensabili. Non per altro sui sentieri ci si saluta con un “salve”, con un “buon giorno”, e a est con un “Bergheil” per sentirsi più solidali. Ho sempre immaginato l’alpino come colui che è pronto ad aiutarti, a non girarsi mai dall’altra parte: e su sentieri e ghiacciai è questo che ci si aspetta da chi si incontra. Oltre amare la montagna, io mi occupo di terre alte da tanti anni e quindi avvicinarsi all’ANA è stato doveroso, anzi di più, è stato come stringere un legame naturale in una comunione di punti di vista».

    Cosa ti aspetti e cosa vorresti nascesse da questa collaborazione?

    «Mi sembra di capire che gli alpini si esprimano su due campi: quello materiale, con le azioni di solidarietà, con il volontariato, con l’aiuto concreto a chi ha bisogno; e su un piano immateriale, che è quello della trasmissione dei princìpi e degli ideali (che ritengo altrettanto importante). Cosa mi aspetto da questa collaborazione? Di ascoltare questi valori, e di rispondere con lo stesso spirito».

    Quale sarà il tuo contributo su L’Alpino per l’intero 2014 in vista del centenario della Grande Guerra?

    «L’Alpino mi ha chiesto di raccontare alcune montagne della catena alpina particolarmente vicine alla storia degli alpini durante quegli anni tragici. Di immergermi in quei mondi e di restituirli con le parole, un po’ come fa un vedutista con il suo cavalletto che trae dalla propria visione in loco la consapevolezza per “raccontare”. Saranno storie e montagne osservate sotto una luce e da un’angolatura inconsuete, che, spero, forniranno spunto per altre riflessioni, altri pensieri, e soprattutto mi auguro stimoleranno il desiderio di partire verso quegli stessi luoghi descritti».

    Alpini e montagne, una unione indissolubile?

    «Indissolubile per i valori e i princìpi, direi anche per l’estetica di cui gli alpini sono portatori. Pensiamo per esempio a una notte in rifugio, all’isolamento un po’ malinconico delle ore al crepuscolo in montagna. Lassù, su un ghiacciaio o sotto una grande parete, le stelle, il buio sono ancora più misteriosi e potenti, mettono quasi paura, e nei rifugi si respira quell’atmosfera così particolare, imposta dagli spazi ristretti e tutta tesa a un’estetica della misura e della frugalità in grado di farci sentire in un luogo finalmente diverso e sicuro. Non c’è immagine di un rifugio alpino più vicina, io penso, all’eleganza sobria, composta, frugale degli alpini. Oggi io penso ci sia molto bisogno di quella sobrietà, di quel senso della misura, di quella semplicità che la montagna può infondere. Non mi riferisco certo alla montagna mondana delle sfavillanti giostre del turismo firmato, ma quella più vera delle alte quote: quei luoghi così impegnativi e rigorosi, insieme allo spirito degli alpini, sono ciò di cui oggi più di ogni altra cosa c’è urgenza per riscattarci verso un avvenire migliore».