Ala, presa per amore

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    Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, in un paese a ridosso del confine trentino e precisamente in Val d’Adige, si vivono momenti di ansia, terrore e trepidazione. Da sud, riecheggia il tuono di un’esplosione: i borghesi, spaventati, si rifugiano in casa, sbarrano le porte, chiudono le imposte. Corre voce che siano saltati i ponti sull’Adige (peraltro già minati da tempo). Truppe dell’esercito invasore, temerari in avanscoperta, sarebbero già in paese: soldati del battaglione Volontari Ciclisti-Automobilisti, in sella alle loro biciclette, fanti della brigata Mantova, alcuni finanzieri, in tutto 40 uomini e fra questi, addirittura un Generale!

    Sparano in paese, alcune case sono colpite, la vetrina della pasticceria Wolf (davanti alla quale gli alpini del Verona si faranno poi fotografare nei giorni successivi) è forata dalle pallottole. I difensori sono ben piazzati e rispondono al fuoco con efficacia: le loro fucilate piovono da un costone strategico sovrastante il rio Ala. Perno della resistenza è Villa Brazil, che sorge più in alto rispetto al paese e da cui è possibile controllare tutta la valle e i movimenti degli invasori. Una pattuglia italiana cerca di avanzare fra i viottoli stretti in mezzo ai filari di viti, è in una situazione disperata e perde i primi uomini: i soldati Pietro Vallaro da Trino Vercellese e Ettore Vincenzi da Modena, entrambi del 114º Fanteria.

    Una giovane donna, apre con cautela l’imposta della sua casa, si sporge e convince il comandante del drappello a seguirla lungo un sentiero più riparato portando i combattenti in un luogo strategico. Da qui infatti sarà loro possibile rispondere al fuoco nemico. La giovane resta con i militari, sotto gli spari, incurante dei proiettili e del gesto “sovversivo” appena compiuto, gesto che in caso di vittoria dei soldati asburgici, avrebbe segnato la sua condanna a morte. Più sotto, in prossimità della stazione ferroviaria, c’è davvero il generale italiano Antonio Cantore: si aggira per i viottoli della contrada, stretto nell’abbraccio del suo impermeabile. Nella mano un rametto che usa a mo’ di frustino, tra le labbra un sigaro Virginia. Rimane impassibile sebbene sopra la sua testa piovano pallottole: è un veterano il vecio, un militare di carriera, reduce dalla guerra di Libia, famoso per le gesta temerarie e per i successi ottenuti sul campo. Impreca, si lamenta della lentezza della manovra, redarguisce col frustino un soldato paralizzato dalla paura, lo rincuora a suo modo e con successo perché il giovane riprende a sparare contro il nemico.

    All’improvviso si ode il rombo del cannone italiano da 87B: spara dal paese di Pilcante, colpisce la linea di resistenza lungo il torrente Ala, il costone di S. Martino, sotto Villa Brazil e più giù fino all’Adige. I difensori, non equipaggiati contro armi così potenti, abbandonano le posizioni e fuggono verso Serravalle trovando rifugio nel campo trincerato di Rovereto che resisterà fino al 3 novembre 1918. Gli invasori erano soldati dell’esercito italiano, i difensori dell’esercito asburgico: circa 250 valorosi, alcuni della Gendarmeria locale. “Il 27 maggio truppe di fanteria rinforzate da Guardia di Finanza e d’artiglieria da Peri, per le due rive dell’Adige, avanzarono verso Ala. Espugnato il villaggio di Pilcante, coperto da più ordini di trincee, s’impossessarono stabilmente di Ala. Il combattimento durò da mezzogiorno a sera, le perdite nostre sono leggere”, così recita il Bollettino del Comando Supremo del 29 maggio 1915.

    Alla giovane Maria fu attribuita la Medaglia d’Argento (la prima data a una donna, per di più trentina, durante la Grande Guerra) sanzionata con il Bollettino Ufficiale del 27 luglio 1915: “Durante un combattimento guidò spontaneamente con virile ardimento un comandante di avanguardia in località adatta per combattere il nemico abilmente appostato, rimanendo impavida esposta al fuoco avversario – Ala, 27 maggio 1915”. I fatti storici, scevri da inutili retoriche, vanno oltre i documenti ufficiali. La giovane donna, Maria Abriani, nativa di Besagno di Mori vicino a Rovereto, rimase orfana in tenera età, fu allevata dalle sorelle Ida e Carlotta, in casa del cognato Felice Stefanelli, segretario comunale di Ala. Successivamente all’evento del 27 maggio 1915, la giovane prestò volontariamente la propria opera come infermiera nell’ospedaletto da campo n. 07, installato nella borgata di Ala più volte bombardata. Nel 1917 l’Abriani conobbe e sposò il capitano Giuseppe Trimeloni del 113º Fanteria, che guarda caso il 27 maggio 1915 procedeva con la sua colonna sull’altra sponda dell’Adige da Pilcante verso Mori.

    Il marito, pluridecorato e invalido di guerra, contrasse un morbo fatale e dopo repentina malattia, morì a Roma il 24 aprile 1923. Da vedova Maria allevò i suoi due figli. Condusse una vita modesta, sempre stretta dall’abbraccio dei reduci e invitata alle loro commemorazioni fino alla sua morte, avvenuta nel 1966. Oggi, a cento anni di distanza, camminando per la bella borgata di Ala consapevoli della storia, con gli occhi chiusi e un poco di fantasia potremo fare un viaggio nel tempo, sentire il sibilo delle pallottole, le grida di Cantore che incita i suoi e le parole della coraggiosa Maria Abriani, temeraria guida di un gruppo di soldati italiani sotto il tiro del nemico.

    Andrea Bianchi


    Per saperne di più: numerosi sono i libri che narrano le vicende di Ala, purtroppo molto datati e di difficile reperimento. Si segnala pertanto l’esauriente sito internet www.alameteo.it/27-maggio-1915–arrivano-gli-italiani-ad-ala.html