A colloquio con Beppe Parazzini alla scadenza del suo mandato dopo sei anni d’una storica presidenza.
da semplice cittadino senza più poteri né cariche, avendo nient’altro che la stima e la riconoscenza di coloro che ha rappresentato per aver fatto bene il suo lavoro nell’interesse
di tutti.
Fra noi questo non accade, perché chi ha una carica associativa sa che prima o poi dovrà mettere lo zaino a terra per lasciarlo a un altro. Eppure
Eppure è difficile passare nella norma l’avvicendamento alla presidenza dell’Associazione Nazionale Alpini di Beppe Parazzini, che ha lasciato la carica dopo sei anni intensi, faticosi, difficili. Un avvicendamento che fortunatamente, per quel formidabile serbatoio di valori che la nostra Associazione ha, si svolge per molti versi nel segno della continuità.
Anche se Corrado Perona, il nuovo presidente che unanimemente gli alpini hanno eletto, con il suo carisma, la sua lunga esperienza e il suo spirito di servizio porterà nuove idee che consentiranno all’Associazione di continuare alla grande. Anche se lo scenario è cambiato rispetto a sei anni fa, quando Beppe Parazzini successe a Leonardo Caprioli.
In questi sei anni è praticamente cambiato tutto: c’era un Corpo d’armata alpino con tre brigate e tanti reggimenti, c’era soprattutto la leva obbligatoria. Oggi tutto è cambiato:
la leva non c’è più, il Corpo d’Armata è stato trasformato in comando truppe alpine e le brigate sono due e l’artiglieria da montagna la vogliono chiamare artiglieria terrestre (a
quando lunare?). Per paradosso, l’Associazione ha continuato ad aumentare il numero di iscritti e ogni mese vengono inaugurate nuove sedi di gruppo.
Sembra che lo Sme non tenga conto che gli alpini sono un tutt’uno con il territorio e la gente.
Non solo dice Parazzini delle due brigate che ci restano, una è seriamente minacciata perché la Julia viene continuamente erosa: il 7º si sta prosciugando e l’8º, come abbiamo
sentito a Trieste, è in pericolo sia come ubicazione che come consistenza, quando è invece notorio che Cividale come sito è migliore dal punto di vista strategico e logistico: questo lo sanno tutti. Ma siccome c’è questa operazione di svuotamento che caratterizza poi l’estinzione del reparto, anche a Cividale, se non ci sarà una levata di scudi degli alpini, dei Comuni, delle autorità politiche l’8º reggimento sparirà.
Ciò che è drammatico, è che l’8º è alimentato quasi esclusivamente da ragazzi friulani, veneti, che ci vanno volentieri, che possono benissimo realizzare lo scopo anche del modello di difesa e cioè dei volontari a ferma prolungata che non hanno problemi di sorta di reclutamento, né di coabitazione con la popolazione locale. Nonostante ciò, vogliono metterci il becco, tanto per rovinare anche quel gioiello lì .
Da quando sono cominciate le voci sul nuovo modello di difesa e, onseguentemente,
il ridimensionamento delle truppe alpine, l’ANA s’è mossa su due fronti: uno politico
istituzionale, l’altro prendendo direttamente contatto con lo Stato Maggiore.
Sul piano politico i rapporti sono stati complessi. Perché dialogare con persone incompetenti che hanno competenza in un determinato settore è difficile; ed è difficile
avere con loro autorevolezza nel dialogo perché costoro sono convinti che tu sia arretrato quando invece loro non solo non conoscono il problema ma sono completamente
avulsi da quella realtà .
Il risultato è stata la legge che ha sospeso la leva. E per quanto riguarda lo Stato Maggiore?
L’atteggiamento dei vertici militari è stato quello di illudersi di poter assecondare la classe politica in disposizioni che sapevano di non poter eseguire, o che potevano essere eseguite in tempi più lunghi .
Sono stati invece ridotti anche i tempi
L’anticipo della sospensione della leva al 2004 nessuno lo ha capito, tutti lo hanno condannato fatta eccezione per la classe politica che però è stata assecondata in questo
disegno da chi deve eseguire la disposizione .
A dire il vero il generale Ottogalli, quand’era capo di SME, aveva lanciato l’allarme parlando chiaro
Si, ma non ha avuto neppure il tempo di guardarsi attorno perché nel frattempo la seggiola gli era scomparsa .
Oggi si scopre che quello che si temeva è successo. Cioè che mancano 25 30 mila uomini, che facciamo le missioni di pace ma quando si trasformano in qualcosa di più serio non siamo attrezzati per adattarci alle circostanze, che la professionalità costa. Per contro, si comincia a
leggere su autorevoli giornali che trattando le Forze Armate come una qualunque azienda, queste rischiano di perdere la propria anima, che la professionalità non basta se viene a mancare l’identità e lo spirito d’un esercito. Identità e spirito che sono alla base dell’essere alpino. Non tanto del soldato alpino quanto dell’uomo alpino.
Presidente, l’ANA ora si è posta una domanda: che fare?È singolare che se la sia posta, perché l’Associazione ha sempre saputo cosa fare
La domanda: che fare, è la conseguenza di un ragionamento che ci è stato imposto dai fatti. Le prime volte che andavo a Roma a parlare con i responsabili militari, mi dicevano che lo strumento militare, così com’era impostato, era eccessivamente numeroso ed era eccessivamente dispendioso rispetto al risultato che doveva fare. Si lamentava, dunque, uno scompenso generalizzato. Successivamente mi sono sentito dire che ormai non si riusciva più ad alimentare il numero delle forze armate in base a quello che era stato programmato perché stava facendo breccia in modo vistoso l’obiezione di coscienza che svuotava le caserme.
Di qui, mi dicevano, la necessità di doverne prendere atto e che a causa dell’obiezione di coscienza non riuscivano a mantenere l’organico delle truppe alpine .
In compenso, però, chi voleva andare negli alpini veniva dirottato in altri reparti
Esatto. Venivano dirottati in altri reparti per riempirne gli organici. Capita ancora! A questo punto è stato abbracciato in toto il modello professionale nella convinzione di avere meno uomini ma anche meno spese e gente più preparata. Noi abbiamo replicato dicendo
che l’Esercito avrebbe avuto meno militari ma più civili, e che le spese sarebbero aumentate. Da un punto di vista militare, poi, sfido chiunque a dirmi se dalla massa dei ragazzi di leva non sarebbe stato possibile ricavare un numero di professionisti uguale a quello di oggi.
Mantenendo la leva pur erosa dall’obiezione di coscienza avremmo avuto più volontari di oggi, perché il bacino di reclutamento avrebbe garantito un numero elevato anche di
professionisti: volontari e militari di leva avrebbero consentito alle Forze Armate di essere lo specchio del nostro Paese. Quindi il modello attuale è fallito! .
Parazzini si ferma. Poi sbotta: Tanto adesso lo posso dire: secondo me Gino Bartali aveva ragione: è tutto da rifare! .
Veniamo più specificatamente all’Associazione. È ormai da tempo in corso una discussione e ci sono tendenze diverse. Preoccupati per il futuro associativo, un futuro ancora fortunatamente lontano, c’è chi sostiene che nell’ANA ci deve stare solo chi ha fatto l’alpino, chi pensa che li dobbiamo formare noi, gli alpini, e infine chi guarda anche a certi amici…
Si discute anche sul cappello, ma questo sembra un falso problema, quello vero è la quantità e la qualità
Certo. È preferibile avere una quantità d’elevata qualità piuttosto che una qualità
di scarsa quantità. L’eventuale apertura a nuove forme di reclutamento degli alpini non deve essere vista come un tocco di bacchetta magica, ma dev’essere interpretata come un’ulteriore possibilità di arruolamento. Cioé: è da avventati pensare che da domani arruoliamo noi quelli che vogliamo. No! Da domani, qualora ci fosse un amico degli alpini, che per modo di
comportarsi, attaccamento, stile sarà molto simile per non dire uguale o migliore dell’alpino che ha fatto il servizio militare, per costui possiamo anche intravedere la possibilità di farlo diventare alpino. Ma questo presuppone non l’automaticità, che l’iscritto come amico diventa
alpino tout court .
Sono state individuate nella discussione in corso, tre categorie di amici degli alpini
C’è chi, vedendo gli alpini ed essendogli simpatici, chiede di poter esserci amico e chiede la tessera. C’è poi l’amico degli alpini che partecipa alle nostre manifestazioni, anche
sportive, che ama stare con gli alpini e seguirli, magari, all’adunata. Terzo caso: c’è l’amico degli alpini che entra nei cori o fa parte della fanfara, che è con noi nelle operazioni di soccorso e di protezione civile, lavora per mantenere la sede e i monumenti che ci sono cari: ecco, questo è un amico che dobbiamo vedere con particolare interesse perché può essere benissimo un alpino .
Ne abbiamo avuto un esempio a Trieste, con un alpino che non ha fatto la naja alpina ma la sta facendo per conto suo, splendidamente
È per questo che mi chiedo: ma perché dobbiamo comportarci un po’ codardamente con questi?Non è da alpino! Bisogna mettergli al petto una medaglia, perché se la meritano,
e diventa uno stimolo per gli altri. Noi dobbiamo trasformare in positivo quello che c’è di negativo, valorizzandolo, non tenendolo nascosto. L’Associazione deve sempre andare
contro corrente, perché l’indovina .
Beppe, che eredità lasci al prossimo presidente?
Beh, non lascio alcun patrimonio, perché il patrimonio non l’ho fatto io. Sono contento, questo sì, ma perché lascio una grande Associazione unita: questa era la mia grande preoccupazione, è sempre stata la mia grande preoccupazione. Perché quando sei presidente ti accorgi subito che lo zaino è veramente pesante, ma diventa ancor più pesante quando ci sono gli screzi. Sai di avere questa bellissima creatura da gestire ma temi che ci possa essere un cancro che ne minaccia la salute e la faccia decomporre come un corpo malato. Per me il fatto che l’Associazione non si sia indebolita in lacerazioni interne, ma sia ravvivata da discussioni, significa che sta affrontando il futuro nel modo giusto. Senza parlarci addosso ma perché ci piace discutere dei problemi. E viene anche estesa, questa discussione, ai presidenti di sezione e ai capigruppo, ma sempre con discussioni serene, finalizzate non a dividere ma a costruire.
Ma la cosa splendida dell’Associazione è che è una scuola di vita: la capacità di stare insieme, pur con qualche polemica, lo stupore nel partecipare alle assemblee di gruppo,
la lettura della relazione sullo stato patrimoniale con il tesoriere che lo fa in modo scientifico come se fosse il bilancio d’una società quotata in Borsa e quello che lo come se fosse la spesa della serva. Però viene fatta. E la relazione morale?C’è il capogruppo che dice: voi tutti sapete cosa abbiamo fatto, quindi è inutile che ve lo ripeta, perché lo avete fatto voi. E c’è quello che fa un’analisi ideale di tutti gli interventi del gruppo, non una relazione arida ma un elenco di tante cose, in ciascuna delle quali vede un significato preciso che ci riconduce ai valori dell’Associazione. C’è la riunione dove nessuno vuol prendere parola neanche se gli spari e un’altra dove si discute a perdifiato Tutto ciò viene tenuto insieme da questa grande piramide nella quale comunque si ritrovano tutti, con degli scopi comuni, con valori che non si trovano da nessun’altra parte .
Niente, anche perché se l’Assemblea dei delegati conferma l’indicazione dei Raggruppamenti, il nuovo presidente sa benissimo tutto .
Ricordi qualcosa in particolare?
Che ho fatto delle violentissime litigate con i politici e i militari. Le ricordo con piacere, perché ho anche scoperto degli amici. Per esempio, ho litigato con tanti alti ufficiali.
Però, con mio grande piacere ci sentiamo ogni tanto per scambiarci i saluti e sapere come stiamo. Anche fra i politici non tutti con i quali mi sono trovato a discutere anche duramente, devo dire di aver trovato persone che francamente sono contento di aver conosciuto .
Cosa si prova a mettere giù lo zaino?
Non ho ancora provato .
Ma ci hai pensato
Beh, non ho certo intenzione di girare l’interruttore Sono abbastanza abituato all’idea di lasciare. Considerando le vicende della mia vita, quando ho avuto qualche incarico inerente alla mia professione ho sempre lasciato quando ho deciso che era bene farlo: come giudice
conciliatore, consigliere dell’Ordine, difensore civico Sono presidente dell’Associazione alpini, lascio di mia volontà. Ha ragione Vitaliano Peduzzi: vale di più andarsene con un solo: Peccato! , piuttosto che con tanti Finalmente! .
Perché, ed è anche una soddisfazione personale, se non altro mi sono accorto che nessuno, o pochi, hanno desiderato che me ne andassi. Mi restano tanti amici, tanti ricordi e l’orgoglio di aver rappresentato gli alpini in Italia e nel mondo .
Alpini che hanno di fronte ancora battaglie
In questa società che è in crisi in tanti suoi aspetti, la nostra Associazione non ha perso lo slancio degli ideali. Ma quello che mi ha stupito quando con i nuovi problemi sono cominciate le difficoltà, è constatare che l’Associazione ha una sua grande personalità: ci siamo resi conto che pur dovendo accettare decisioni prese da altri, noi siamo in grado di continuare la nostra vita associativa, senza farci condizionare. La leva è finita e noi cosa facciamo?Ci mettiamo a discutere, a tutti i livelli, sappiamo di avere delle alternative, sappiamo di avere la capacità di trasformare in positivo ciò che ci sembrava una tragedia. Sappiamo reagire,
trovare la forza per andare avanti .
Insomma, come dice Confucio: chi ti dice che sia un male?
Ecco. Quasi quasi, forse, è un bene .