La Battaglia del Piave (o del Solstizio)

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    Nella primavera del 1918 l’Austria Ungheria, invogliata dai successi tedeschi conseguiti sul fronte franco inglese, si preparò a lanciare una gigantesca offensiva, nel tratto fra la Val d’Astico e il mare, per conseguire la completa disfatta militare dell’Italia. La fine delle ostilità con la Russia aveva dato la possibilità all’Austria di recuperare una notevole massa di forze da impiegare sul fronte italiano, elevando in tale modo la capacità offensiva dell’esercito austro ungarico.

    Come risultato di questa operazione, che ci deve portare sino all’Adige, mi riprometto lo sfacelo militare dell’Italia . Così scriveva, nel marzo del 1918, il generale Arz von Straussenburg, capo di Stato Maggiore dell’esercito austriaco, al maresciallo von Hindenburg, capo di Stato Maggiore dell’esercito germanico. L’offensiva venne preparata con larghezza di mezzi e con ogni accorgimento in campo tecnico e morale, tanto da suscitare in capi e gregari la più assoluta fiducia nel successo. Il nostro avversario si dispose alla Battaglia con l’animo di fare l’ultimo sforzo per costringere l’Italia alla resa.

    Sullo scacchiere italiano, le forze austriache agli ordini del generale von Arz erano suddivise in due gruppi di Armate: il gruppo d’Armate del Tirolo al comando del feldmaresciallo Conrad, ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito austriaco, con le armate 10a e 11a sul fronte dello Stelvio Trentino Monte Grappa (con limite di settore a Fener) e il gruppo d’Armate del Piave (schierate dal Monfenera al mare Adriatico) a l comando del feldmaresciallo Boroevic con la 6a Armata e la 5a (o Isonzo Armée) con limite di settore il Ponte della Priula sul Piave.

    Il piano operativo del Comando austroungarico prevedeva una manovra a tenaglia con uno sforzo principale a cavallo del Brenta, tendente a sfondare il fronte montano, raggiungere la pianura fra Vicenza e Castelfranco per prendere alle spalle le armate italiane schierate sul Piave, mentre la branca meridionale della tenaglia, costituita dal Gruppo di Armate dell’Isonzo, con azione contemporanea, aveva il compito di colpire Treviso e raggiungere Padova. Con anticipo di due giorni, era stato inoltre previsto, un attacco al Passo del Tonale (operazione Lawine), accompagnato da azioni diversive nelle Giudicarie e in Val Lagarina allo scopo di fissare parte delle forze italiane ad ovest del Garda.

    Il potente piano del Comando Supremo austro ungarico, se condotto con razionalità, avrebbe potuto consentire all’esercito avversario di arrivare in pianura dopo uno o due giorni di combattimenti, ma l’antagonismo esistente fra il Conrad e il Boroevic, due grandi comandanti, ciascuno dei quali voleva avere l’onore di decidere le sorti della battaglia, lo trasformò in due offensive condotte con forze pressoché equivalenti e quindi incapaci di raggiungere il successo sperato. A causa della controversia fra i due condottieri veniva ignorato un principio fondamentale, quello cioè della gravitazione delle forze da concentrare sul tratto più debole del dispositivo nemico.

    Le forze italiane contrapposte alle quattro armate austro ungariche erano cosi ripartite: la 7a Armata schierata dallo Stelvio al Garda, la 1a Armata dal Garda alla Val d’Astico, di fronte alla 11a Armata austro ungarica la 6a Armata (tenente generale Luca Montuori) dalla Val d’Astico alla Valle del Brenta e la 4a Armata (tenente generale Gaetano Giardino) dalla Valle del Brenta a Pederobba, con complessive 29 divisioni.

    Di fronte alle armate del generale Boroevic erano schierate l’8a Armata (tenente generale Giuseppe Pennella) da Pederobba a Palazzòn, forte di quattro divisioni ed infine la 3a Armata (S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia) da Palazzòn, al mare con sette divisioni. Facevano parte della 6a Armata schierata sull’Altopiano di Asiago tre divisioni inglesi e due francesi.

    La riserva del Comando Supremo era costituita dalla 9a Armata su sei divisioni, di cui due di cavalleria più il 5º Raggruppamento Alpini. Il Comando austriaco, dall’Astico al mare, su un fronte di 140 chilometri, disponeva di 50 divisioni contro 41 italiane, di 5.470 pezzi di artiglieria contro 5.100 italiani e di un maggior numero di mitragliatrici, specie di quelle leggere, capaci di un potente volume di fuoco. L’offensiva non arrivò inaspettata. I nostri comandi da tempo avevano compreso da molteplici segnali le intenzioni nemiche ed a queste uniformarono le contromisure da prendere.

    15 GIUGNO: INIZIANO LE OPERAZIONI RADETZKY E ALBRECHT

    Alle ore tre di notte del 15 giugno iniziavano le due operazioni Radetzky sull’Altopiano di Asiago e Albrecht contro il Montello e il Basso Piave con un breve ma potentissimo fuoco di artiglieria. Questa volta l’artiglieria italiana, ricordando l’amara lezione di Caporetto non si fece sorprendere, ma aprì immediatamente il fuoco di contropreparazione, anticipando in alcuni settori del fronte il fuoco nemico, provocando sensibili perdite nel dispositivo di attacco avversario, ai pontoni di barche montati sul Piave e sui centri di comando. Il morale delle fanterie avversarie fu scosso in maniera tangibile al punto da incidere in maniera determinante sullo sviluppo dell’intera offensiva.

    Sull’Altopiano dei Sette Comuni e sul Monte Grappa dopo aspri combattimenti e alcune cessioni di terreno le truppe del generale Conrad vennero arrestate. Epica fu la difesa del Grappa che impedì al nemico di irrompere verso Treviso Vicenza. In pianura, lungo il Piave, gli austroungarici riuscirono a costruire una robusta testa di ponte sul Montello.

    Facendo largo uso di artiglieria e cortine nebbiogene tre divisioni d’assalto (la 17a e 31a Divisione e la 17a Sch tzen) al comando del generale Ludwig Goiginger superarono il Piave a Falzé e conquistarono un’ampia testa di ponte sul Montello sino a raggiungere Casa Faveri a nord e fino a Giavera a sud, ma dopo la pronta e decisa reazione delle nostre Divisioni 47a, 48a, 51a, 57a e 60a, e violentissimi contrattacchi, il 22 giugno, gli austriaci si ritirarono dal Montello e ripassavano il Piave sotto l’incessante fuoco delle nostre artiglierie.

    Sul fronte della 3a Armata, nel basso Piave, nel tratto fra Candelù e Capo Sile, sulla riva destra del fiume, gli austriaci costituirono tre teste di ponte che, dopo furiosi combattimenti, riuscirono a congiungere e ad allargarsi su un fronte di trenta chilometri di sviluppo per una profondità di massimo sette chilometri. Ma, nonostante reiterati sforzi con impiego di consistenti riserve, il nemico non riuscì a penetrare in profondità.

    La notte del 23 giugno, per difficoltà di alimentare lo sforzo a causa del Piave in piena e con i ponti ed i traghetti continuamente battuti dal tiro implacabile delle nostre artiglierie e dall’aviazione, vista l’impossibilità di sfondare nel settore del Piave, l’Alto Comando austriaco, ordinava la sospensione dell’offensiva e la ritirata sulla riva sinistra del Piave. L’obiettivo strategico era fallito, da quel momento cadde la fiducia nella vittoria delle armi.

    L’esercito austro ungarico usciva dalla lotta profondamente scosso ed indebolito. Il gruppo di armate che presero parte all’offensiva accusò la perdita di 150.000 uomini fra morti, feriti, dispersi e prigionieri. Gli italiani ebbero 6.110 caduti, 27.660 feriti, 51.860 dispersi. La Battaglia del Piave fu una grande vittoria delle armi italiane, la prima conseguita nel 1918 da un esercito delle potenze dell’Intesa sugli eserciti degli Imperi Centrali.

    Da quella sconfitta il prestigioso esercito dell’Austria Ungheria iniziò il suo declino e accelerò di fatto lo sgretolamento della potente monarchia Asburgica. Le conseguenze della pesante sconfitta si ripercossero anche sull’alleato tedesco, come ammise anche il capo di stato maggiore tedesco, generale Hindenburg: L’offensiva austro ungarica in Italia, dopo i successi iniziali molto promettenti, era fallita… La sfortuna del nostro alleato era una disgrazia anche per noi . Per quella offensiva la Duplice Monarchia aveva raccolto tutte le sue forze disponibili, in particolare quelle morali; ma quando l’esercito austriaco fu respinto con gravi perdite oltre il Piave, cadde la fiducia di cogliere la grande vittoria sperata.

    Tullio Vidulich