Un nostro telegiornale per dire chi siamo
Eccoci qui, cari lettori. Ma per una volta lasciate che vi chiami, profeticamente, telespettatori. Il perché di questa divagazione è presto detto. Il mese scorso è andato in onda il numero Zero del nuovo telegiornale dell’Ana “L’Alpino settimanale televisivo”. Un notiziario che, da questo mese andrà in onda, con cadenza settimanale, su 24 emittenti operanti su tutto il territorio nazionale e di cui a pagina 11 vi diamo resoconto con il nome delle emittenti e l’orario di trasmissione. Si tratta di una iniziativa, fortemente voluta dal Presidente Sebastiano Favero e dal Consiglio Direttivo Nazionale, che hanno voluto dare voce e ricaduta sempre più ampia al valore etico e al ruolo sociale dell’Ana, in un momento di grande scollamento nel tessuto sociale e ad un sistematico ripiegamento nel privato con conseguente individualismo degli stili di vita.
Per gli Alpini non esiste l’impossibile
Un altro anno ormai sta giungendo al termine con il suo fardello di problemi risolti e non, riguardanti ciascuno di noi singolarmente, ma anche la nostra Associazione. È con soddisfazione e con orgoglio che oggi posso comunicare a voi tutti che il primo intervento, voluto dal Consiglio Nazionale e interamente finanziato con i soldi provenienti dai nostri Gruppi, dalle nostre Sezioni e da enti e privati che hanno fiducia in noi, è stato consegnato alla popolazione di Campotosto sabato 25 novembre scorso. Altri interventi, almeno quattro, sono già avviati e pensiamo di poterli completare e consegnare entro la metà del prossimo anno.
Anche per gli alpini vivere è cambiare
Da sempre c’è un motto intorno al quale tento di scandire la mia esistenza: “Vivere è cambiare”. Mi aveva colpito fin da giovane, quando per caso mi ero avvicinato alla figura di John Henry Newmann, docente ad Oxford, finissimo teologo e poeta, poi passato alla Chiesa cattolica e divenuto cardinale. C’è un proverbio che dice che il sasso che rotola non fa muschio. Ma non è questo il senso del motto.
Una menzogna smentita dai fatti
15 settembre 2017. Con un gruppo di amici stiamo attraversando l’Albania per portarci verso il Nord. Ci accompagna Bashkim Hyka, che ci fa da guida, il quale conosce la storia del suo Paese come pochi altri. Siamo curiosi di ritrovare le tracce della presenza italiana da queste parti, soprattutto quella degli alpini, che qui hanno combattuto per conquistare questa terra, divenuta italiana per quattro anni, a partire dal ’39 e scenario di guerra e di sangue in quella Campagna di Grecia che ha visto decimata tanta parte della truppa mandata giù a combattere.
Il potente messaggio della montagna
Sono cresciuto in una piccolissima contrada della Lessinia veronese. Tre famiglie, quattordici bambini, dieci vacche in tutto. Prati e boschi ripidissimi. Belli da correrci per giocare, ma sfinenti quando si doveva portare a spalle l’erba per far mangiare gli animali durante l’inverno. Fu allora che decisi che a me di fare il contadino non sarebbe mai piaciuto. Eppure di quei tempi, che porto dentro con rimpianto e nostalgia, ricordo soprattutto i lunghi filò nelle stalle, mentre la neve ci imprigionava dentro notti senza stelle. Si era insieme, a parlar di nulla, se non a tessere la trama di un racconto, che aveva per tema la reciproca appartenenza e la felicità che si sperimentava nello stare insieme. Ricordo soprattutto le mani di mio padre che intrecciava cesti con i rami sottili presi dal bosco, dando loro forma e armonia. Sembrava che ci mettesse dentro la voce a quei cesti. Che erano piccoli se servivano per portare i dolci per Santa Lucia, più grandi se servivano per il raccolto nei campi.
Impegniamoci per il nostro futuro
Siamo freschi reduci dalla nostra Adunata nazionale, quest’anno tenutasi a Treviso, dove abbiamo vissuto momenti intensi di ricordo del Centenario della Grande Guerra, proprio lì nei luoghi dove dopo la rotta di Caporetto sul Grappa, sul Montello e sul Piave i nostri soldati e l’Italia intera seppero riscattarsi, dove per la prima volta gli italiani si sentirono uniti. Fu allora, io credo, che l’Italia divenne una nazione e che gli italiani acquisirono una propria identità di popolo.
La mia Adunata del Piave
La mia Adunata del Piave Se non fossi tanto incline alla commozione, come invece sono, probabilmente gusterei molto meno l’Adunata nazionale. Mi sembra quasi che il frequente inumidirsi degli occhi nel corso delle varie cerimonie che si susseguono faccia da condimento al piacere di esser presente. Insomma, il sapore migliora. Dopo tanti anni di partecipazione, l’Adunata, pur con il suo cerimoniale standard, è misteriosamente sempre nuova, tutta da scoprire.
Quello che il Piave racconta
La 90ª Adunata celebra quest’anno la sua storia sulle rive del Piave. Non importa se al di qua o al di là, se a destra o a sinistra. Questa è materia per i benevoli sfottò di chi popola le sue sponde. Per i fatti qui accaduti e per la coscienza civile del Paese, il Piave fu il sussulto di coscienza dopo la sconfitta di Caporetto. Come ha scritto il giornalista Cazzullo, qualche tempo fa, «furono il Piave, il Grappa a trasformare una guerra che era meglio non fare, in una guerra fondativa.
Cosa c’è dietro a una Adunata?
Una nuova Adunata. Perché? Che senso ha riunire una folla oceanica di alpini e quali obiettivi si propone? Sembra perfino sfacciato porre queste domande a voce alta. Ma provate a immaginare che, a bruciapelo, qualche cronista malizioso vi facesse questa stessa domanda nei giorni in cui saremo gioiosamente radunati per le strade di Treviso. Non si tratta di sottovalutare l’intelligenza e la sensibilità degli alpini.
A proposito di alpini…
Sono solito dire che un giorno dovremo rendere conto dello spreco di carta che connota il nostro tempo. A dispetto del digitale, che dovrebbe garantirne un largo risparmio, siamo sommersi dalla carta e dalle carte. Provate a fare un trasloco e dover cambiare indirizzo di residenza, magari in zona Ztl, denunciare gli spazi nuovi legati alla raccolta rifiuti, subentri di allacciamenti… e poi ditemi. Vi sentirete travolti dalla burocrazia, travolti da una valanga di carte.
Cari Alpini, buon Natale!
L’anno che sta per finire porta con sé molte cose buone, ma anche il ricordo di momenti tragici. Penso alle ripetute e disastrose scosse di terremoto che hanno colpito il Centro Italia a partire dal 24 agosto e che purtroppo continuano ancora a provocare danni materiali, ma anche e soprattutto danni morali e situazioni di disagio nella popolazione così duramente segnata.
Guardare le cause e progettare il futuro
Ho imparato dalla vita che non sempre le cose procedono secondo una evidente logica di causa ed effetto. O meglio, sempre dietro un fatto c’è una causa. Ma le cause non sempre sono prevedibili e allora si ha l’impressione che ciò che accade sia slegato dalle nostre previsioni e ragionamenti. Mettete il caso del terremoto. Chi può prevederlo? E chi può ipotizzare la sua area di devastazione? Eppure la causa c’è anche lì, eccome. Subdola, ma c’è.