Un abbraccio a tutti
L’Assemblea dei Delegati del 19 maggio eleggerà il presidente nazionale che mi succederà nell’incarico. Avevo deciso che, con l’esaurirsi del mio terzo mandato, era tempo di affidare ad altri il compito di presiedere l’Associazione. Lascio l’incarico con serenità, soprattutto perché credo che l’alternanza dei compiti e delle responsabilità sia indispensabile. Nuovi slanci, iniziative, realizzazioni, promozioni e quant’altro potranno essere messi in atto dalla nuova presidenza.
Marò: lettera aperta al Presidente Napolitano
Signor Presidente,
a nome mio personale e dei circa 380.000 soci dell’Associazione che mi onoro di presiedere mi rivolgo a Lei per segnalarLe la preoccupazione e lo sgomento che tutti noi proviamo in queste ore a seguito della incredibile decisione di restituire i due nostri Fucilieri di Marina alle Autorità indiane che, da ormai un anno, li detengono in evidente spregio di ogni convenzione internazionale. La preoccupazione per la sorte dei nostri ragazzi è duplice: da un lato è davvero difficile potersi fidare di una Nazione che viola con arroganza e spregiudicatezza le convenzioni internazionali e, prima ancora, le più elementari regole della civile convivenza tra i popoli e dall’altro la quasi totale assenza delle nostre Istituzioni che sembrano interessate più alla salvaguardia di logiche commerciali che non all’integrità dei nostri soldati ed alla dignità della nostra Patria.
Presunzione di libertà
Ero un ragazzo con i pantaloni corti quando mi parlavano dei media come Quarto Potere, prendendo spunto dal famoso film con Orson Welles. Dopo il potere legislativo, l’esecutivo e il giudiziario, ultimi in coda, ma destinati a contare sempre più, c’erano giornali e televisioni, col loro crescente potere di indirizzare i cittadini e di creare consenso politico. La gente osservava, ma il gusto per quello strumento nuovo, la Tv, che veniva a popolare le case del boom economico, faceva stemperare molte preoccupazioni.
Un’Italia bella davvero
Seduto sul C-130 dell’Aeronautica Militare che ci sta portando ad Herat mi trovo a pensare quanto poco si sappia di Afghanistan qui da noi. Sappiamo che i nostri ragazzi sono là ma i giornali affrontano questo argomento come ogni altro, spinti più dalla morbosa curiosità per la polemica e il pettegolezzo piuttosto che dall’interesse per una corretta informazione. Non ci dicono come si vive in quella terra, se il nostro intervento sia in qualche modo servito e se valga davvero la pena di rimanere laggiù con i pericoli e i costi che una missione del genere comporta.
La speranza dalle azioni inutili
Ci avevano messo in guardia. Il ventuno del mese scorso, stando alle profezie maya, sarebbe dovuta accadere la fine del mondo. Per fortuna i Maya stanno bene dove sono. Ci hanno anche fatto sapere che loro se la ridono nel vedere gente che prende sul serio tanta stupidità, liquidando i buontemponi delle catastrofi come segugi scoppiati alla ricerca del nulla. Un nuovo anno ci obbliga agli auguri reciproci. Soprattutto ci obbliga alla speranza. Cosa diversa dall’ottimismo. Questo, come il suo opposto, il pessimismo, fiorisce da un atteggiamento razionale. Se il mondo lo leggessimo solo in termini crudamente logici non avremmo molto da rallegrarci.
Noi ci siamo!
Accanto a me, sull’aereo che mi portava in Australia dove avrei incontrato i presidenti di quelle Sezioni, c’era un giovane lombardo che mi ha raccontato di aver lasciato l’Italia per andare a cercare lavoro in questo paese a 24 ore di volo da casa. Aveva il visto d’ingresso, sperava poi nella fortuna. Secondo i dati forniti dal presidente delle associazioni italiane costituite nel Western Australia solo quest’anno sono arrivati migliaia di giovani italiani, molti con il visto turistico ma in effetti per rimanere.
Solo se liberi saremo anche profetici
Mi scrive un artigliere da montagna, di cui ometto il nome: «Penso che gli alpini del Nord che hanno combattuto e sono morti, tra i quali anche mio nonno, se è vero che esiste un al di là, non riusciranno a darsi pace nel sapere d’essere morti per questo modello di Patria che, a distanza di sessantasette anni non è ancora unita in nulla, né culturalmente, né economicamente e neanche quando c’è da fare sacrifici. E sono sicuro che se avessero potuto scegliere, visto come sono andate le cose, avrebbero combattuto per lasciarci una Padania libera e non un Nord schiavo di governi romani».
Un articolo da scrivere insieme
Ci siamo incontrati a Costalovara con tutti gli amici che operano nell’editoria alpina, ma non l’abbiamo fatto per diventare giornalisti. Per fare quello bastano le officine dei media, che sfornano “operai” specializzati di altissimo livello. Ci siamo incontrati per crescere come cittadini e per far crescere la coscienza del Paese in un momento difficile.
Ma chi ha paura di una preghiera?
Abbiamo ancora nel cuore e negli occhi le celebrazioni dei tanti pellegrinaggi estivi. Quelli più importanti al Contrin, sull’Ortigara, all’Adamello e tanti altri sparsi sull’intero territorio nazionale, capaci di convogliare frotte di alpini, di simpatizzanti e turisti, sempre affascinati dal colore e dal calore di queste feste. Celebrazioni che hanno avuto per cattedrale gli spazi infiniti del cielo, senza pareti, senza dogane o barriere di altro genere.
Alpini, un tutto con tutti
Nella vita, ho sempre creduto che i fatti che determinano qualche cambiamento nel nostro percorso arrivino sempre da segnali estranei alla nostra volontà. La pianificazione e le strategie appartengono alla cultura delle carriere e degli affari. Cose che dovrebbero essere estranee a due categorie di persone, ai preti e agli alpini. Quando a Falcade, alla fine di aprile, il presidente Corrado Perona, la cui “giovinezza” pesca direttamente dal cuore, mi chiese la disponibilità ad assumere la direzione de L'Alpino ne fui un po' stordito.
Missione compiuta
Missione compiuta. Luca ha la sua nuova casa, unica in Italia, in cui potrà vivere assistito dalle più moderne tecnologie domotiche. Era un impegno che avevamo assunto non appena ci era giunta la richiesta della madre di Luca: “Abitiamo al terzo piano di una casa senza ascensore: come faremo?”. Era un peso economico difficile da sostenere, ma noi sapevamo di avere un serbatoio: quello degli alpini e quello della gente che ci conosce e sa che i soldi dati all’Associazione non spariscono, ma sono impiegati bene e ne rendiamo conto. Abbiamo fatto così anche con le trentatré case costruite a Fossa, in Abruzzo.
È tempo di migrare
Il presidente emerito Giuseppe Parazzini era solito dire che quando non ci si diverte più bisogna lasciare gli incarichi associativi. Condivido e aggiungo che allo stesso modo è necessario saper chiudere un’esperienza anche quando questa gratifica pienamente. Non è un paradosso e ancor meno un’esibizione un po’ snobistica di sufficienza; è una convinzione maturata negli anni trascorsi in via Marsala. Il rinnovamento e quindi la vitalità dell’ANA passano attraverso la sua capacità di coinvolgere energie nuove con un processo di ricambio generazionale ponderato e a scadenze ravvicinate. A tutti i livelli.