Rubrica aperta ai lettori.
C’ERA UNA VOLTA L’INDIGNAZIONE
La nostra dignità personale e quella collettiva sono quotidianamente offese e umiliate da comportamenti che aggravano sempre più la questione morale nel nostro Paese. E per accorgersi, anche, che la giusta reazione a tutto ciò, ovvero l’indignazione, appare ormai atteggiamento d’altri tempi. Infatti, come giudicare un’opinione pubblica ipnotizzata, rassegnata e assuefatta al peggio che non conosce limiti e che ci viene propinato ogni giorno in razioni massicce dalla cronaca politica, economica, sociale, giudiziaria, gossipara e sportiva? Sembra che questo tipo di overdose, al contrario di quello da sostanze tossiche, abbia una soglia di sopportabilità pressoché illimitata, tanto è vero che, quando crediamo di aver raggiunto il fondo, il giorno dopo siamo già oltre. Ma, che cosa dovrebbe farci indignare?L’elenco sarebbe lungo, ci limitiamo solo ad alcuni elementi citati a caso. Dovremmo indignarci per un’evasione fiscale che continua a penalizzare chi paga regolarmente le tasse; per una politica (trasversale) spesso priva di progetti lungimiranti, ma ricca di provvedimenti iniqui e norme ritirate e fatte passare per refusi ; per ministri che vanno e vengono, sanno poco di casa loro o aspettano la delega dalla Gazzetta ufficiale; per rappresentanti del gentil sesso che frequentano il Palazzo mercificando se stesse a favore di lorsignori ; per appalti truccati, intrallazzi immobiliari oscuri e amicizie pericolose, corruzione e concussione che si intrecciano tra politica, religione e finanza; per chi gioca con l’età pensionabile con rialzi e ribassi come in borsa; per l’eterna ostentazione del lei non sa chi sono io , madre dell’impunità a tutti i costi; per errate interpretazioni della libertà di stampa, che non significa licenza di spiattellare tutto a tutti i costi, ma nemmeno mettere il bavaglio in nome della privacy per poi nascondere i misfatti; per una società alla deriva dove non esiste più il rispetto umano, né per se stessi, né per gli altri. Ci fermiamo qui, ce n’è abbastanza per armarci di sdegnato risentimento e ribellione e passare al contrattacco, però dove sta l’ostacolo?Sperando di non essere giudicati per falsi e facili moralisti, rispondiamo che l’ostacolo è dentro ciascuno di noi. Siamo troppo spesso incapaci di reagire, vittime di un torpore intellettuale che rende inattiva la coscienza mettendola fuori uso assieme al cervello e alla capacità di ragionare, avere idee, propugnarle, confrontarsi con le armi della dialettica e della civiltà. In poche parole, fare politica nel senso più nobile del termine. Ecco, quello è il momento dello sdegnato risentimento e ribellione che dovrebbero nascere quale reazione naturale a tanto decadimento morale. Proprio per non dovere scrivere, su una pagina della favola storia del Bel Paese e oppressi dall’ineluttabilità, parole come C’era una volta l’indignazione .
Dino Bridda Belluno
SPIRITO E BUROCRAZIA
Aderisco all’invito del presidente che ritiene necessario avviare al nostro interno un confronto con lo scopo di mantenere alto il nostro senso di appartenenza , ed esprimo il mio pensiero come socio ANA da più di 50 anni. Resto fermamente convinto che gli scopi dell’Associazione, così ben definiti dall’art. 2 dello Statuto, siano e restino ancora oggi la linea principale dell’ANA. Sarà perché sono un vecio, ma a me sembra che lo spirito dei padri fondatori debba essere la nostra stella polare anche per il futuro. Perciò non sono convinto che tante altre attività che pratichiamo, pur benemerite e benevolmente accolte dalla società, siano importanti e qualche volta prioritarie su quelle statutarie. Mi riferisco alle più varie iniziative delle sezioni e gruppi di carattere sociale, sportivo turistico, gastronomico nelle baite e persino alla Protezione civile, di cui gli alpini non ebbero bisogno per correre in aiuto ai fradis furlani . Lo sperimentato spirito di solidarietà alpina non necessariamente ha da essere istituzionalizzato e burocratizzato. Con questo niente tolgo ai meriti dei nostri soci che generosamente lavorano nella PC, ma noi non siamo la PC con la quale concorriamo al conseguimento dei fini dello Stato e della pubblica amministrazione in materia di Protezione civile.
Renato Caloi Verona
ECCO PERCHÉ GLI ALPINI VANNO ALLE ADUNATE
Il perché gli alpini vadano alle Adunate è un interrogativo che coloro che non hanno fatto naja alpina regolarmente si pongono ad ogni manifestazione, in particolare per l’Adunata nazionale. Le motivazioni stanno nel bisogno profondo di incontrarci: l’atteso giorno dell’abbraccio forte e sincero, dell’ora della memoria che sola rende possibile la vita spirituale e che per gli alpini significa tanta fraternità. La memoria potrebbe infatti definirsi quale funzione psicologica che richiama, fissa e conserva i fatti remoti della coscienza, sentiti come nostro passato. Tale determinazione dei ricordi è direttamente proporzionale alla qualità delle esperienze fatte. Chiedere quindi perché gli alpini, a loro spese, vadano all’Adunata, credo sia una domanda senza una risposta esauriente. Le ragioni sono tante e molte di esse sfuggono ad una analisi razionale. Vi è tanto di anima che elude qualunque esame e giudizio perché è parte di un modo di essere esclusivo di uomini del tutto particolari, il loro sentirsi uguali nell’amore per l’Italia, nel non chiedere niente a nessuno, nello spendere solo le parole necessarie in un mondo di chiacchieroni e venditori di fumo. Gli alpini si sentono, sono e rimangono uomini liberi, ognuno con propria personalità, desideri, impegni. Ed è il retroterra storico locale e famigliare del pensiero che spinge le penne nere a cercarsi e a ritrovarsi: il ricordo del nonno, del padre o di un fratello. La forza e la determinazione alpina nasce dal fatto che il cameratismo, per sua natura limitato di solito nel tempo e che si scioglie venendo meno il motivo per cui è sorto, in questo caso si esalta in duratura amicizia. Proprio gli alpini si sentono amici fraterni, anche al primo incontro: sembra una favola e invece è realtà.
Arrigo Curiel sezione Trieste
Pubblicato sul numero di ottobre 2010 de L’Alpino.