Afghanistan: la nuova trincea degli Alpini

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    Per la prima volta dalla fine del conflitto mondiale, una grande unità delle Truppe alpine sta partecipando con tutti i suoi reggimenti ad una missione fuori dai confini nazionali, fornendo gli oltre 1800 uomini e donne che costituiscono il nucleo principale del Regional Command West di ISAF, il comando NATO responsabile per l’Afghanistan occidentale. Nella regione di Herat opera tutta la brigata Taurinense, guidata dal generale Claudio Berto, con il 2º Alpini di Cuneo, il 3º di Pinerolo, il 9º de L’Aquila, il 1º artiglieria da montagna di Fossano ed il XXX battaglione genio del 32º reggimento di Torino, cui si aggiungono i contributi di altre unità dell’Esercito, dell’Aeronautica Militare, della Marina, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, oltre ai contingenti di 10 Paesi amici ed alleati, tra cui Spagna e Stati Uniti, per un totale di circa 4.600 militari.

    L’area di responsabilità del Regional Command West, vasta quanto l’Italia del nord è suddivisa in tre settori, assegnati al 2º reggimento Alpini (Task Force North), 3º reggimento Alpini (Task Force Centre) e 9º reggimento Alpini (Task Force South). Ciascuna Task Force opera a partire da un certo numero di basi avanzate (dette FOB’, Forward Operational Bases, base operativa avanzata) che consentono un controllo del territorio più capillare. Il sostegno italiano alle autorità locali e l’attuazione di programmi di sviluppo, così come il collegamento con le organizzazioni internazionali, viene assicurato dal Provincial Reconstruction Team (PRT) di Herat, unità costituita dagli artiglieri del 1º da montagna di Fossano, con la presenza di funzionari della Farnesina.

    Tutte le operazioni in corso sono orientate a favore della popolazione afgana e vengono condotte in partnership con le forze di sicurezza locali e i contingenti di USA e Spagna. Le priorità operative attuali si concentrano sul controllo del territorio nelle zone di Bala Murghab, Shindand e Farah sulla verifica dei seggi elettorali in vista delle consultazioni politiche di settembre e nella lotta agli ordigni esplosivi improvvisati. Sono giornate intense e notti d’attesa. Ecco un esempio tipico dell’attività degli alpini. Siamo a Bala Murghab, nella provincia di Badghis, a poche decine di chilometri a nord di Herat e a qualche centinaio di metri in linea d’aria dal confine con il Turkmenistan.

    Il paesaggio è aspro: colline aride che racchiudono una valle che si allunga da nord a sud, attraversata da un fiume (il Murghab, appunto) e disseminata di villaggi dove abitano alcune migliaia di persone. Bala, lo vedremo poi, è un punto strategicamente importante per le operazioni militari nella regione occidentale del Paese. Qui gli alpini del 2º reggimento hanno la loro base, la FOB chiamata Columbus, condivisa con un battaglione afgano e forze USA. Gli alpini insieme ai soldati dell’esercito afgano e a quelli americani hanno assunto il controllo di una striscia oblunga che si estende per oltre 12 km a nord e a sud di Bala, un’area da tempo infestata da insorti e trafficanti che avevano costretto la popolazione della valle a fuggire in quota, abbandonando i campi e i villaggi.

    Adesso la situazione è cambiata notevolmente: all’interno della bolla è tornata la vita, il lavoro nei campi è ripreso, le greggi di ovini sono di nuovo al pascolo e il bazar espone una gran varietà di merci, mentre nelle scuole ricominciano le lezioni. Sono centinaia le famiglie rientrate dopo mesi di esilio forzato per timore delle vessazioni degli insorti. Intorno ai villaggi ripopolati ci sono le trincee: ben scavate e protette da sacchetti di sabbia, con le feritoie per i tiratori, i ripari per dormire e le riservette di acqua, cibo e munizioni.

    La vita è spartana, naturalmente, per le compagnie del Doi’ (come è soprannominato il reggimento cuneese). Si vive e si dorme all’addiaccio per diversi giorni, in cui capita a volte di sentire la pressione degli insorti e di dover rispondere al fuoco, spesso più come deterrente che altro. I rifornimenti dalla FOB Columbus arrivano quotidianamente, con gli alpini che percorrono i camminamenti a ridosso dei capisaldi trasportando casse di proiettili e razioni da combattimento. La temperatura, d’estate, supera spesso i 40º e non ci sono svaghi di sorta, sotto le tettoie di legno e tela dei posti di vedetta. Le armi sono pulite e cariche, l’elmetto con la penna e il giubbotto antiproiettile sempre indossati e si bevono almeno dieci bottiglie d’acqua al giorno. Difficile dire se sia tornata l’epoca delle trincee, che si credeva consegnata alla storia: quel che è in corso a Bala Murghab in realtà altro non è che il riflesso di una dottrina recentissima: quella della counterinsurgency, che prevede il contrasto degli insorti attraverso la protezione della popolazione civile. Protezione che si attua in più fasi: clear, hold e build (ovvero: libera, mantieni e costruisci).

    Prima di tutto bisogna ripulire la zona da presenza ostili (clear). Successivamente si consolida il vantaggio territoriale raggiunto (hold), anche per mezzo di fortificazioni e trinceramenti. Infine si passa alla realizzazione di progetti di costruzione e sviluppo all’interno della zona sicura (build). Le fasi non sono necessariamente consecutive e possono essere condotte anche in parallelo. Il processo è dinamico e comporta una forte presenza sul territorio insieme alle forze afgane e alleate. Quasi ogni giorno si tengono riunioni coi capi dei villaggi della valle per stabilire le priorità da adottare nella zona: ad esempio scavare pozzi d’acqua potabile, ristrutturare il vecchio ponte sul Murghab oppure rifare il tetto della scuola in vista dell’inverno, o ancora fornire assistenza medica alle famiglie. Sono decine, i progetti portati a termine o pianificati dalla NATO nella zona, con budget dell’ordine di una decina di milioni di euro.

    Su questo versante, da parte italiana, sono impegnati sia il 2º Alpini che il 1º da montagna di Fossano, che costituisce il Provincial Reconstruction Team di Herat, l’unità che gestisce complessivamente oltre 5 milioni di euro per interventi di ricostruzione e sviluppo. Per la popolazione sono tutti incentivi a tornare e soprattutto a rimanere, fatto indispensabile nell’ottica della stabilizzazione della provincia di Badghis. L’antidoto alla presenza degli insorti è fornito proprio dalla creazione di un’alternativa certa e soprattutto duratura per la gente del posto, che sempre di più collabora con le proprie forze di sicurezza segnalando bombe rudimentali e nascondigli di armi e munizioni che vengono poi neutralizzati dai genieri del 32º insieme ai colleghi afgani e statunitensi. Grazie agli abitanti di Bala, in quattro mesi sono stati rinvenuti centinaia di ordigni pronti per la produzione di trappole esplosive da disporre lungo le strade che quotidianamente vengono utilizzate sia dai civili che dai militari.

    La posta in gioco a Bala Murghab è molto elevata, perchè l’asse di comunicazione che attraversa la valle è di cruciale importanza per l’Afghanistan in quanto parte della cosiddetta Ring Road, l’anello stradale che congiunge Kabul a Herat passando per Mazar i Sharif a nord e per Kandahar a sud. Il tratto che passa per Bala non è asfaltato ed è impraticabile nei mesi invernali anche per i mezzi fuoristrada, impedendo i trasporti e i commerci. La bolla è destinata quindi a estendersi fino a saldarsi con le parti asfaltate della Ring Road per poi iniziare i lavori, per i quali sono già state stanziate le cifre necessarie. Il generale Claudio Berto, comandante della Taurinense (che da aprile ha assunto la guida del comando NATO responsabile per la regione ovest dell’Afg
    hanistan), considera Bala Murghab un esempio di come condurre un’operazione di counterinsurgency: La provincia di Badghis ci vede fortemente impegnati lungo più direttrici.

    Innanzitutto, la presenza incisiva sul campo delle pattuglie che hanno ripulito la zona e neutralizzato in più occasioni la minaccia degli insorti; poi la protezione della popolazione locale, che non è solo fisica ma anche rivolta al soddisfacimento di bisogni elementari come l’acqua, la salute, l’istruzione e poi le infrastrutture di base. Infine la partnership con le forze di sicurezza afgane che consente di operare al meglio su un territorio di cui in futuro assumeranno il controllo in autonomia . Le trincee, in un territorio come quello di Bala Murghab, non implicano staticità ma segnano il limite mobile della bolla che si espande di mese in mese coinvolgendo un numero crescente di famiglie afgane che oltre a rappresentare il centro di gravità delle operazioni militari si rivelano essere il vero fattore di stabilità per il territorio, una volta rese partecipi di un circolo virtuoso a base di sicurezza e sviluppo.

    Magg. Mario Renna
    Portavoce del comandante del Regional Command West di ISAF Herat Afghanistan

    Pubblicato sul numero di settembre 2010 de L’Alpino.