Caporetto: i perchè di una disfatta

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    Il 90º Anniversario della battaglia di Caporetto è stato ricordato con un convegno internazionale nell’ ambito del progetto ‘Rileggiamo la Grande Guerra’ promosso dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dallo SME e coordinato dal prof. Paolo Scandaletti. Gli incontri hanno avuto luogo dal 5 al 7 ottobre a Udine, Cividale del Friuli e Kobarid (Caporetto), in Slovenia. Iniziati con un minuto di silenzio per ricordare la morte del mar. capo Lorenzo D’Auria ferito in Afghanistan, i lavori hanno preso avvio con i saluti del presidente della regione Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy, del sindaco di Udine Sergio Cecotti e del rappresentante dello SME gen. b. Michele Torres.

    Numerosi sono stati i dibattiti e gli incontri ai quali hanno partecipato storici, esperti militari, giornalisti e ricercatori alla presenza tra gli altri dei nipoti dei generali Badoglio e Cadorna. Significativa è stata la scelta di esporre le opere raffiguranti luoghi e atti di guerra del pittore Aristide Sartorio, una mostra che ancora oggi può essere visitata nel castello di Udine. Presso il Comando della ‘Julia’ è stato presentato il libro ‘Graffiti nelle Trincee’, di Antonio e Furio Scrimali, successivamente i partecipanti hanno visitato il museo storico della brigata alpina Julia.

    Un particolare apprezzamento è venuto dal presidente della Regione Riccardo Illy, che si è interessato ai vari cimeli ed uniformi esposte nel museo. Il comandante delle Truppe alpine gen. C.A. Novelli ha presenziato alla seconda giornata del convegno a Cividale, mentre il comandante della ‘Julia’, gen. Paolo Serra, incontrava gli studenti delle scuole di Udine illustrando nell’ambito del dibattito sulla Grande Guerra, le attuali attività della brigata e la partecipazione degli alpini alle missioni di pace.

    I temi affrontati nei tre giorni del convegno sono stati quanto mai diversi e dibattuti con una rilettura innovativa dei momenti salienti della 1ª Guerra Mondiale sul fronte orientale. A fattor comune tutti i relatori hanno convenuto che i soldati italiani combatterono oltre i limiti delle loro possibilità ma sono stati sempre ricordati con una fama ingloriosa quanto assolutamente immeritata.

    Invece la sconfitta non fu conseguenza di carenza di carattere o forza morale e spirituale dei giovani italiani, ma la conclusione di una inferiorità tattica, di armamento, e di preparazione. Usi ad una guerra di trincea, ove la zappa contava più del fucile, con un limitato numero di mitragliatrici in postazioni fisse, scarsa disponibilità di artiglieria e con una tattica per la fanteria che prevedeva il classico assalto alla baionetta, i soldati italiani furono sorpresi da piccoli reparti mobili, armati di mitragliatrici e bombe a mano, che con una nuova ed efficacissima tattica d’infiltrazione e d’attacco ai fianchi e alle spalle scardinarono il sistema difensivo italiano.

    La differenza la fecero non solo le nuove tattiche e le mitragliatrici, ma anche un valido sistema di comunicazione radio e di segnali ottici ed una superiorità aerea che permetteva ai tedeschi di conoscere le posizioni e le attività delle truppe a terra. Novant’anni dopo si è considerata la battaglia di Caporetto con serenità ed obbiettività facendo chiarezza su alcuni aspetti travisati dalla storiografia ricorrente, ed attribuendo le responsabilità storiche a quanti portarono alla morte migliaia di soldati impegnati al fronte.