La riviera ligure è terra di marinai. La bellezza delle città, il clima particolarmente piacevole, la lunga e gloriosa storia della sua gente, tutto ci fa pensare fuorché agli alpini. Eppure la divisione Cuneense era formata anche da battaglioni liguri, basti pensare al Pieve di Teco, che in fatto di virtù alpine non fu secondo a nessuno. Per un’atavica tradizione di gente seria, i liguri non sono propensi ad esibire le loro imprese, come del resto la ricchezza o le benemerenze. Sulla tradizione alpina fanno eccezione e ci tengono in modo particolare a ben figurare nelle manifestazioni che organizzano, com’è successo a Carcare (Savona) qualche mese fa (vedi il nº 7 pagg. 36/38). Fu quindi del tutto casuale, parlando con il consigliere nazionale Luigi Bertino e con Vincenzo Daprelà, presidente della sezione ANA di Imperia che vanta una sede prestigiosa in centro storico, recentemente restaurata con arte nel pianoterra di un nobile palazzo appartenuto agli Scolopi venire a sapere che gran parte dei lavori furono possibili grazie alla sensibilità di un alpino novantaduenne, Carlo Carli. Così abbiamo pensato di andarlo a salutare e farci raccontare la sua storia di combattente e di imprenditore.
Come avrete capito si tratta di un industriale di Imperia, leader conosciuto in Italia e nel mondo nel settore oleario e l’incontro non poteva avvenire che nella sede direzionale della sua azienda. Si tratta di un complesso articolato in una serie di edifici che all’esterno si caratterizzano per la presenza di alcuni reperti di frantoi centenari e bei giardini curati con passione, mentre all’interno tutto è organizzato come fossimo in un centro NASA. Di straordinario interesse è il museo che ripercorre la storia dell’olio a partire dal Medio Oriente, passando per la sponda africana del Mediterraneo, risalendo attraverso la Spagna per lambire infine la Costa Azzurra e concludere il percorso ad Oneglia. Con un’organizzazione espositiva di prim’ordine, supportata da diorami e reperti archeologici di alto valore didattico, il visitatore esce con una ricchezza di immagini e di informazioni che nessun trattato di storia sarebbe stato in grado di offrirgli in modo così efficace.
La passione alpina di Carli risale alla giovane età, quando con amici cominciò a frequentare il CAI, per continuare poi da solo a godere i momenti magici dei silenzi ad alta quota. Una casetta di famiglia ad oltre 2.000 metri sul livello del mare aggiunsero un ulteriore elemento che doveva portarlo senza incertezze, il 10 dicembre 1941, alla Scuola Militare di Aosta. Il duro addestramento non lo impressionò particolarmente, allenato com’era alla fatica della montagna. Ebbe inoltre due ufficiali d’eccezione, simpaticissimi, a comandare la sua Compagnia: il capitano Rasero e il tenente Scagno di Torino. Dal suo album di naja, ricco di foto tenute con cura, si possono ricostruire i momenti più significativi di quell’esperienza. Passato a Merano, dove l’addestramento si fa veramente duro, prima di essere assegnato al 3º Reggimento, arriva a Bassano del Grappa, ma un attacco di appendicite lo porta all’ospedale di Vercelli e quindi destinazione Pinerolo.
Il 25 luglio 1943 la caduta di Mussolini lascia tutti sgomenti. Il capitano Andreis di Cuneo lo abbraccia. Comincia un periodo di estrema incertezza e tra gli ufficiali c’è qualche scambio di opinioni piuttosto critico nei confronti del fascismo. La sera dell’8 settembre la notizia dell’armistizio lo coglie in un’osteria durante la libera uscita. Mentre parla del suo rientro in caserma si emoziona e dice: Si squagliava tutto e il comandante diede il si salvi chi può .
Comincia la triste e rischiosa via del ritorno. Escluse le armi, ognuno si porta nello zaino tutto il corredo. Carlo si era fatto confezionare a Merano una mantella fuori ordinanza, di ottima stoffa calda, lunga come quella degli ufficiali tedeschi: la porterà con sé fino alla fine della guerra. Gli salverà la vita nei duri inverni che dovrà affrontare in montagna negli anni seguenti. In due giorni, un po’ in treno, dove il controllo tedesco lo permetteva e molto a piedi, passando per Ormea, Madonna della Neve, arriva ad Imperia e trova la sua casa occupata dal comando tedesco. Nello sfascio dell’esercito qualche idea cominciava a nascere nella testa di alcuni amici e anche la voglia di reagire, di finirla con la guerra. Nella capitaneria di porto, approfittando del caos che regnava, con la complicità di un sorvegliante amico, Carlo riesce a prelevare con un camion tavole ed armi. In montagna dice come se stesse raccontando storie di ordinaria quotidianità si stavano organizzando squadre garibaldine, ma in breve tempo comprendemmo che dovevamo sganciarci da formazioni troppo politicizzate e così costituimmo in Val Tanaro le squadre azzurre, costituite quasi esclusivamente da alpini, tanto da prender la denominazione Penne nere . Il comandante Mauri era il nostro punto di riferimento .
Diventa in poco tempo capo di una formazione di quaranta uomini. Non sono pochi nel contesto della guerra partigiana. Sono abbastanza bene armati perché oltre alle armi individuali dispongono di mitragliatrici pesanti e soprattutto di ottimi mortai che consentono di disturbare il traffico militare tedesco tra la Liguria e il Piemonte. Si era costituita anche una sezione cannoni , con un solo pezzo, ma non rispondeva molto alle esigenze della guerriglia. C’era tanta disorganizzazione , commenta sottovoce quasi parlando a se stesso. Il 23 dicembre 1943 l’azienda di famiglia, con due disastrosi bombardamenti alleati, viene completamente rasa al suolo. Ricorda commosso la vista di quelle impressionanti rovine.
In data 24 novembre ’44, riceve l’ordine da parte del Rappresentante Militare dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione, dott. Sismondi, e dal comandante della 5ª Divisione alpina, cap. Martinengo, l’incarico di costituire la brigata Liguria, con lo scopo di dare un supporto, più che militare, di informazioni agli Alleati in previsione di un prossimo sbarco sulla costa ligure. Che non ci fu. La brigata non viene costituita perché ormai non c’erano più uomini da reclutare. O erano prigionieri in Germania o già in montagna. Nel frattempo nell’inverno ’44/’45 per ragioni di sicurezza si spostano dalla Val Tanaro, troppo chiusa e quindi pericolosa alla Val Casotto. Fino alla fine della guerra non ci saranno mai scontri frontali con tedeschi o fascisti e le azioni di guerriglia si limiteranno ad ostacolare i collegamenti sulla direttrice Ceva Mondovì.
Passata l’euforia della fine della guerra comincia il lavoro di ricostruzione dell’azienda, nata nel 1911 e condotta dal padre fino al 1951. L’anno prossimo ci sarà il centenario di fondazione della ditta Carli, un colosso dell’industria alimentare, e il 60º di questo capitano’ alpino novantaduenne che ne regge ancora il timone arrivando in azienda, alla guida della sua auto, ogni mattina prima delle otto, salutando per nome con cortesia i dipendenti. Il suo cappello alpino e le sue memorie, gelosamente custodite in tante foto di montagne, alpini, adunate lo accompagnano e, non credo si esageri, lo sostengono nelle difficoltà di un mondo sempre più complicato. È al vertice di una realtà industriale importante e dinamica, ma si commuove ripetutamente al ricordo dei tempi duri della guerra e il suo volto si illumina del sorriso più bello quando la moglie al cellulare accetta di condividere una spaghettata con Bertino, Daprelà, il capogruppo Gabbi, l’addetto stampa sezionale Alassio e lo scrivente in un caratteristico ristorante sul lungomare. Un uomo semplicemente alpino.
Vittorio Brunello
Pubblicato sul numero di settembre 2010 de L’Alpino.