I ridotti montani: gloria e tramonto

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    di Giovanni Roverso

     

     

     

    Il primo a trovarsene uno di fronte fu Alessandro Magno, nell’estate del 331 a.C. ‘Forse i vostri soldati sanno volare?’, aveva risposto sorridendo ai suoi emissari, che gli intimavano la resa, il generale persiano sconfitto in battaglia e arroccatosi in alta montagna. Non sapevano volare i trecento giovani dei ‘commandos’ macedoni, ma arrampicare sì, avvezzi dall’infanzia a praticare zone impervie nei paesi d’origine. Armati di sola spada, muniti di cunei di ferro e solide funi, i primi alpieri’ della storia, dopo un giorno intero di ascesa, giunsero stremati sull’alta rupe, ritenuta inaccessibile, che sovrastava le posizioni nemiche: trentadue erano precipitati per sfaldamento di appigli.
    Dalla cima lo sventolio di drappi bianchi diede il segnale all’avanguardia macedone che iniziò la salita per la ‘normale’. I persiani furono costretti alla resa.
    Oggi l’aviazione ha relegato i ridotti montani nell’album dei ricordi storici: sfogliandolo, si rimane soprattutto colpiti dalle immagini della roccaforte ebrea di Masada, sull’altipiano desertico della Giudea, dell’eremo di Machu Picchu, nelle Ande peruviane, e dei nidi d’aquila sui monti del Medio Oriente.
    ‘Masada non cadrà più’: le reclute israeliane, schierate sulla tolda della grande nave di pietra dalle fiancate strapiombanti per oltre quattrocento metri, aprono con questa promessa la cerimonia del giuramento; gli scolari ebrei celebrano il loro ingresso nella collettività salendo in gita pellegrinaggio sulla spianata della fortezza che nel I secolo d.C. osò sfidare la potenza romana.
    Era stato, cent’anni prima, Erode il Grande, inviso ai sudditi e minacciato dalle mire annessionistiche della vicina Cleopatra, che nel frattempo si trastullava con Antonio, a trasformare quell’altura in cittadella fortificata, con mura, caserme, torri di osservazione, ma in grado, tuttavia, di offrire un tenore di vita consono a un sovrano e alla sua corte. Il rifornimento idrico era stato assicurato sbarrando due torrenti sottostanti e canalizzandoli fino a una serie di cisterne scavate nella roccia, dalle quali l’acqua era trasportata alle tre grosse vasche della spianata.
    Dopo il saccheggio di Gerusalemme del 70 d.C., Masada viene occupata, a intere famiglie, da un migliaio di irriducibili ebrei Zeloti, comandati da Eleazar Ben Jair, che per due anni tengono in scacco i romani con atti di guerriglia. Il governatore Flavio Silva decide di stroncare la ribellione: isolata la roccaforte con un muro di circonvallazione, fa innalzare sul fianco occidentale una grande rampa d’assalto in terra battuta che giunge fin sotto le mura: sulla piattaforma sommitale viene collocato un ariete’ per aprirvi una breccia.
    Per i 967 assediati è il principio della fine. Arrendersi significa uomini uccisi o destinati ai circhi come gladiatori, donne violentate e vendute sui mercati orientali, bambini deportati a Roma come schiavi. Tutti d’accordo: meglio morire da uomini liberi. L’atto finale della rivolta è freddamente pianificato: i soldati abbracciano piangendo i familiari, li trafiggono con la spada e si coricano accanto
    a loro: dieci, precedentemente estratti a sorte, sopprimono i commilitoni.
    Infine uno solo uccide gli altri nove e si getta sulla propria spada. Quando i romani giungono in vetta, racconta il contemporaneo Giuseppe Flavio, storico ebreo collaborazionista, il silenzio che li accoglie è rotto soltanto dal crepitio delle fiamme che divorano i magazzini: si rendono conto di quanto è successo quando s’imbattono in due donne sbucate da una caverna sotterranea insieme a cinque bambini, che li accompagnano sul luogo del massacro. Dopo 19 secoli, gli archeologi israeliani scopriranno, vicino alle ossa umane calcificate, dieci frammenti di terracotta che portano inciso lo stesso nome, quello di Eleazar Ben Jair, l’ultimo estratto a sorte. Nessun reperto scritto, invece, a Machu Picchu, la ‘vecchia cima’ fortificata che nel XVI secolo iniziava il suo lungo sonno nel sudario della fitta vegetazione andina e dalla quale sarà liberata soltanto nel 1911.
    Non conoscevano infatti la scrittura gli Incas, il cui regno era vasto come l’impero romano ai tempi di Cesare. Erano analfabeti anche l’ex pecoraio Francisco Pizarro e Diego Almagro, i due avventurieri spagnoli che lo sottomisero nel 1532 con un… esercito di 180 uomini (e col tradimento): ma avevano bastoni che sputavano fuoco e montavano 27 mostri scatenati che terrorizzavano gli indigeni. Ma non ebbero mai sentore delle misteriose costruzioni sulla stretta insellatura a 2.500 metri di quota, circondata da alte cime incappucciate di neve e difesa da profonde scarpate in fondo alle quali rumoreggiavano acque impetuose.
    Enormi blocchi di granito, manovrati con leve e spostati su tronchi d’albero, perfettamente squadrati con utensili di pietra dura (ferro e ruota erano sconosciuti), erano stati accostati e sovrapposti a formare terrazze, templi, gradinate, abitazioni; assemblati senza malta, combaciano ancora oggi perfettamente: nelle connessure non è possibile infilare la lama di un coltello.
    Baluardo dapprima contro le incursioni delle selvagge tribù dell’Amazzonia, la cittadella si trasformò poi nel santuario principe della religione incaica, basata sul culto degli astri, e nella sede conventuale delle’Vergini del Sole’, affidate, fin da bambine, a ‘mammane’ di provata esperienza e destinate a diventare sacerdotesse del tempio e concubine dell’Inca sovrano (aspetto sultanesco in uno stato retto da un ferreo socialismo, dove tutti, nessuno escluso, erano tassati secondo le proprie possibilità: una tribù miserabile, invitata a versare almeno il superfluo, trasmise all’ufficio competente un sacchetto sigillato pieno di pidocchi, di cui sovrabbondava).
    E mentre le povere contadine delle basse terre lavoravano i campi e fabbricavano birra di mais (masticando i chicchi fino a ridurli in poltiglia e sputando il tutto nei vasi per la fermentazione), lassù le Vergini del Sole conclusero la loro missione dimenticate dalla storia.

     

     

     

     

     

     

     

    Alla storia, invece, grazie allo scoop di un inviato veramente speciale, Marco Polo, è stata consegnata la figura del ‘Vecchio della Montagna’ e dei suoi fanatici adepti, musulmani sciiti di professione killer, arroccati in una fortezza d’alta quota nella catena iranica dell’Elbruz, con succursali tra i monti dell’Iraq e della Siria. Ma nell’autore del ‘Milione’, che viaggia attraverso i paesi delle ‘Mille e una notte’, la verità storica si accompagna spesso al ‘sentito dire’: come nel rito iniziatico dei coscritti, accolti giovanissimi nella setta, ai quali, in occasione della ‘visita di leva’, veniva somministrato un potente narcotico: dopo un sonno di tre giorni si ritrovavano in un giardino incantato, pieno di tutte quelle voluttà promesse da Maometto ai suoi seguaci fedeli. Inebriati dall’hashish (‘asciscin’ li definisce Marco Polo, da cui ‘assassini’), totalmente succubi alla volontà del capo, erano pronti alle missioni più violente e pericolose, anche alla morte, pur di poter rivivere la malia di quel paradiso di delizie.
    È il primo esempio storico di terrorismo politico organizzato: vittime soprattutto capi politici e religiosi dell’Islam, ma anche guerrieri crociati. Ci vorrà la furia dei Mongoli per snidarli dai loro fortilizi montani. Oggi, dopo 7 secoli, i loro discendenti son calati dai monti, si sono meccanizzati e si buttano in azioni disperate con macchine imbottite di tritolo e aerei imbottiti di passeggeri. Gli obiettivi si sono globali
    zzati, le droghe perfezionate, lo sceicco dei petroldollari ha sostituito il ‘Vecchio della Montagna’, ma il prodotto non cambia.

     

     

     

     

     

    La storia dei ridotti montani si conclude sulle nostre Alpi con una solenne mistificazione. Giugno 1944: sulle spiagge del DDay, in Normandia, Eisenhower ascolta incredulo i dati raccolti dal controspionaggio alleato sulla ‘Fortezza Alpina’ delle Prealpi bavaresi: caserme, postazioni, magazzini, fabbriche d’armi sotterranee, forze previste e loro autonomia operativa. Il comandante dell’Operazione ‘Overlord’ prende i primi contatti con i suoi più stretti collaboratori. Soltanto dopo il passaggio del Reno il colossale bluff dell’Alpenstung’, ultima abile messa in scena dei servizi segreti tedeschi, si dissolverà come una gigantesca bolla di sapone.