Dal Piave a Vittorio Veneto, Trento e Trieste

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    Terminata con successo la battaglia del Piave, o del Solstizio nel giugno del 1918, il generale Foch, comandante supremo degli eserciti alleati, invitava il generale Diaz ad avviare la prevista offensiva sull’Altopiano di Asiago. Ma il generale Diaz, tenendo conto delle gravi perdite subite, dell’efficienza dell’organizzazione difensiva avversaria e dell’ asprezza del terreno, rimaneva nella convinzione che si doveva evitare di passare, almeno per il momento, ad una controffensiva per la quale non disponeva né di una adeguata superiorità di forze e di mezzi, né di favorevoli condizioni tattiche e strategiche.

    Il generale Diaz, dopo aver resistito alle pressioni alleate, in previsione di un possibile nuovo sforzo avversario, dava ordini ai comandi di Armata di migliorare la consistenza dei settori più sensibili del fronte e di effettuare alcune rettifiche delle linee sull’Altopiano di Asiago, sul Monte Grappa e nel basso Piave nel settore della 3ª Armata, intese a ristabilire la situazione precedente all’attacco austroungarico del 15 giugno.

    Combattimenti che si conclusero con successo sull’Altopiano di Asiago e sul basso Piave ma non sul Monte Grappa, dove le nostre unità, per l’accanita resistenza dell’avversario, non riuscirono a riconquistare le posizioni cedute in giugno. Nel frattempo, dalla metà di luglio, il comando supremo tedesco aveva ceduto l’iniziativa sul teatro di guerra francese e le offensive delle armate alleate costringevano l’esercito tedesco ad effettuare continue ritirate. Anche nei Balcani, a metà settembre, l’ Armata d’Oriente , della quale faceva parte la 35ª Divisione italiana, sconfiggeva l’esercito bulgaro e ad Elbasan si congiungeva con i reparti italiani dell’Albania (7 ottobre).

    Vista la situazione favorevole scaturita in seguito agli insuccessi degli eserciti austro tedeschi in Francia e nei Balcani, il comando supremo italiano, anche su sollecitazione del presidente del Consiglio, onorevole Orlando, e degli alleati, decideva di preparare una grande offensiva per sconfiggere definitivamente l’Austria Ungheria sul campo di battaglia.

    Il 26 settembre, ad Abano, il generale Diaz approvava il piano offensivo elaborato dal generale Badoglio e dal generale Caviglia, che in precedenza era stato preparato dal capo ufficio operazioni del Comando Supremo, colonnello Ugo Cavallero. Il piano prevedeva di sfondare il fronte in corrispondenza della linea di sutura delle due armate austriache 5ª e 6ª Armata schierate sul Piave con l’intenzione di separare le forze del settore Trentino da quelle posizionate sulla riva sinistra del Piave, agendo a cavaliere della direttrice Conegliano Vittorio Veneto Belluno.

    Effettuato lo sfondamento e separate le due armate nemiche, le unità italiane, puntando su Feltre, dovevano aggirare le forze austriache sul Grappa e quindi operare lungo la Valsugana in direzione di Trento e verso Belluno. L’offensiva avrebbe dovuto iniziare il giorno 16 ottobre, ma la piena del Piave provocata dal maltempo, ne fece spostare la data al 24, anniversario dell’offensiva austro tedesca di Caporetto. Della prossima offensiva italiana venne a conoscenza anche lo Stato Maggiore dell’Esercito austriaco che organizzò per tempo le prime linee e le retrovie per fermare l’imminente attacco dell’esercito italiano.

    LE FORZE IN CAMPO

    L’esercito italiano disponeva in totale di 57 divisioni di cui 6 alleate (3 inglesi, 2 francesi e 1 cecoslovacca). Gli italiani avevano una superiorità nell’artiglieria: 7.750 pezzi contro 6.800 e nell’aviazione 650 aerei contro 450 austriaci. Il comando supremo italiano era dislocato ad Abano, nei pressi di Padova, quello austro ungarico a Baden, vicino a Vienna, molto lontano dal teatro di operazioni. Al momento della battaglia finale le forze contrapposte erano costituite da due gruppi di armate denominate Gruppo Armate del Trentino (comandante generale Giuseppe d’Asburgo che aveva sostituito il generale Conrad il 15 luglio) schierate dallo Stelvio al fiume Cismon e Gruppo Armate Boroevic (comandante feldmaresciallo Boroevic) posizionate dal fiume Brenta al mare e costituite dal Raggruppamento Belluno , e dalla 5ª e 6ª Armata. Nel complesso gli austriaci disponevano di 63 divisioni delle quali 57 di fanteria e 6 di cavalleria appiedate. La sistemazione difensiva nemica era molto robusta e in certi tratti del fronte formidabile, specie nella regione del Grappa, dove il terreno consentiva di esaltare la difesa attiva.

    INIZIO DELLA BATTAGLIA

    La battaglia ebbe inizio alle ore tre della notte del 24 ottobre con un violentissimo fuoco di artiglieria contro tutte le posizioni austriache; nel contempo, nella notte fra il 23 e 24 ottobre, reparti della 7ª Divisione del generale inglese Lambert Conte di Cavan, nonostante la furia delle acque del Piave, utilizzando barconi del genio, con azione di sorpresa conquistarono l’isola della Grave di Papado poli, una formazione ghiaiosa lunga circa otto chilometri e larga due chilometri. Subito dopo la costituzione della testa di ponte, unità della 4ª Armata del Grappa scattarono all’assalto contro le posizioni austriache del Monte Asolone, Cima Pertica, Col della Berretta, Monte Valderoa, Monte Solarolo, Monte Spinoncia dove, dopo numerosi violenti combattimenti, vennero raggiunti apprezzabili risultati nonostante la tenace resistenza ed i ripetuti contrassalti del valoroso avversario.

    Elevato il contributo di sangue versato dall’80ª Divisione alpina per la conquista della linea dei Monti Solaroli, Monte Valderoa, Monte Spinoncia dove migliaia di alpini dei Battaglioni Aosta, Val Toce, Pieve di Cadore, Exilles, Monte Antelao, Val Cismon, Monte Levanna, Monte Pelmo, Monte Saccarello, Monte Cervino e Cividale si sacrificarono su quelle cime. In tre giorni di accaniti assalti l’armata del Grappa, sebbene non avesse conseguito il pieno successo, costrinse gli austriaci ad impiegare e logorare le loro riserve a tutto vantaggio del settore di pianura da dove doveva avvenire lo sfondamento decisivo.

    Nel basso Piave, a causa delle piogge cadute su tutto il settore del fronte orientale, fu necessario rinviare il passaggio del fiume alla sera del 26 ottobre. A causa delle acque impetuose del Piave, che impedivano la posa dei ponti di barche, l’armata del Grappa dovette sostenere da sola tutto il peso dell’offensiva; essa costituì la chiave di volta per il conseguimento della manovra strategica finale.

    Nella notte del 26 ottobre i reparti del genio della 12ª, 8ª e 10ª Armata, nonostante l’impeto del fiume, che ostacolava gli ancoraggi delle barche, iniziarono la posa dei ponti di barche per passare sulla sponda opposta nel tratto di fiume compreso fra Pederobba e Ponte di Piave. L’operazione, già di per sé difficoltosa a causa delle non buone condizioni del Piave, fu inoltre tenacemente ostacolata dal fuoco violentissimo delle artiglierie nemiche, specie nel settore dell’8ª Armata, che riusciva a costruire appena due ponti dei sette previsti: alcuni traghetti quasi ultimati vennero più volte colpiti e distrutti dalle granate dell’artiglieria austriaca.

    Nonostante la furiosa reazione dell’avversario, nella notte del 27 ottobre furono costituite tre teste di ponte: la prima nel settore della 12ª Armata in corrispondenza di Valdobbiadene con reparti della 52ª Divisione Alpina e unità della 23ª Divisione francese; la seconda nel settore dell’8ª Armata nella piana di Sernaglia Falzè di Piave con la 57ª e la 1ª Divisione d’Assalto e con la Brigata Cuneo ; la terza nel settore della 10ª Armata nella zona tra Tezze e Cimadolmo con unità del XIV Corpo
    d’Armata britannico e della 37ª Divisione.

    Vista la critica situazione creatasi sul basso Piave, il maresciallo Boroevic inviò due divisioni della riserva strategica alla 6ª Armata al fine di eliminare le teste di ponte italiane realizzate sulla sinistra del fiume. Le truppe dell’8ª Armata che si erano spinte sino al paese di Pieve di Soligo vennero a trovarsi, a seguito della distruzione dei ponti sul fiume, in una situazione di pericolo perché completamente isolate dal resto dell’armata. Di fronte a quella minaccia il generale Caviglia, comandante dell’8ª Armata, di sua iniziativa diede ordine al XVIII Corpo d’Armata di passare il fiume sui ponti di barche della 10ª Armata a Palazzón (schierata alla sua destra) e subito dopo puntare su Conegliano.

    Fu la mossa vincente. L’attacco riprese slancio su tutto il fronte del Piave. Superata la crisi dell’attraversamento del fiume, nella notte del 29 le teste di ponte oltre il Piave si saldarono costituendo un unico ampio saliente da Alano di Piave sino a Cimadolmo. Il 29 ottobre le unità dell’8ª Armata avanzarono su tutto il fronte dell’Armata travolgendo tutte le resistenze nemiche raggiungendo l’obiettivo primario. La 12ª Armata con reparti della 52ª Divisione Alpina (con i battaglioni alpini Verona, Monte Baldo, Morbegno e Tirano) e della 23ª Divisione francese iniziarono il movimento verso est conquistando, dopo aspri combattimenti, Monte Perlo Monte Pianar e Alano di Piave.

    Nel pomeriggio del 30 ottobre, la 6ª Armata austro ungarica, dissanguata e sfinita dai violenti combattimenti dei giorni precedenti, ripiegava sulla seconda posizione di difesa in corrispondenza del fiume Monticano, incalzata dall’avanguardia della 10ª Armata. Sotto la spinta offensiva delle tre armate (12ª, 8ª e 10ª) anche la seconda posizione difensiva nemica iniziò a sbriciolarsi.

    Iniziarono i primi ammutinamenti fra le truppe ungheresi desiderose di raggiungere la propria casa. Mentre l’offensiva era in pieno sviluppo, l’Imperatore Carlo I, in presenza di una situazione ormai insostenibile, il 26 ottobre, con un telegramma diretto al Kaiser, esprimeva inequivocabilmente l’intenzione dell’Austria di richiedere e concludere un armistizio con l’Italia per evitare la distruzione dell’Esercito e, il 29 ottobre, con l’esercito in ritirata e l’impero in pieno disfacimento, l’Imperatore Carlo I chiedeva all’Italia un armistizio. All’alba del 29 si presentava ai nostri avamposti di Serravalle, in Val Lagarina, il capitano di Stato Maggiore Camillo Ruggera, con una lettera del generale Weber, capo della Commissione d’armistizio, da consegnare al Comando Supremo italiano, con la richiesta di iniziare le trattative per un immediato armistizio.

    Il mattino del 30 ottobre le divisioni dell’esercito italiano iniziarono una avanzata generale dallo Stelvio al mare per sfruttare il successo ottenuto, incalzando il nemico in rotta. Nella mattinata del 30 ottobre avanguardie di cavalleggeri e bersaglieri ciclisti dell’8ª Armata occuparono Vittorio Veneto spezzando in due l’esercito nemico. Nello stesso giorno anche la 3ª Armata del Duca d’Aosta, che comprendeva anche il 332º Reggimento americano, dopo aver forzato il Piave a San Donà, entrò in azione con obiettivo Motta di Livenza, facendo decine di migliaia di prigionieri.

    Iniziava anche per l’esercito imperiale austro ungarico una disfatta di proporzioni molto superiori a quella di Caporetto, ma questa volta in modo irreversibile. Il 31 ottobre segnò il crollo delle armate austro ungariche presenti in Italia; le truppe ungheresi e serbo croate si rifiutarono di combattere ritirandosi di loro iniziativa verso la loro terra. Nel pomeriggio del 1º novembre veniva liberata Belluno, il 2 cadevano Udine e Rovereto, il 3 novembre unità della 7ª Armata raggiungevano Malé in Val di Sole, mentre nelle prime ore del pomeriggio, unità della 1ª Armata (i cavalleggeri di Alessandria, gli alpini del IV Gruppo e il XXIX reparto d’assalto) entravano in Trento. Quasi alla stessa ora i cacciatorpediniere Audace , Fabrizi , Missori e La Masa , sbarcavano a Trieste due battaglioni di bersaglieri e una compagnia della marina militare accolti dall’entusiasmo di migliaia di cittadini. Sul castello di San Giusto e sulla torre del Municipio venne issato il Tricolore.

    Alle ore 18 dello stesso giorno a Villa Giusti, presso Padova, venne firmato l’armistizio che fissava la fine delle ostilità per le ore 15.00 del 4 novembre. Il 4 novembre, alle ore 12.00, il generale Diaz diramava alle sue truppe e alla nazione il bollettino di guerra n. 1268 che annunciava la vittoria dell’esercito italiano e della fede e tenacia di tutto il popolo italiano: La guerra contro l’Austria Ungheria, che sotto l’alta guida di S.M. il Re, Duce Supremo, l’esercito italiano inferiore per numero e per mezzi iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta . I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza .

    Una settimana dopo l’armistizio di Villa Giusti, l’11 novembre 1918, l’armistizio fra gli alleati dell’Intesa e la Germania pose fine al sanguinoso conflitto mondiale. Le conseguenze della prima Guerra Mondiale su vinti e vincitori ebbero la portata di un terremoto e provocarono la rottura dell’equilibrio fra le potenze europee, equilibrio che era stato costruito durante molti secoli: nel giro di quattro anni decaddero quattro monarchie, quella di Austria Ungheria, di Russia, di Germania e di Turchia.

    La vittoria conseguita al prezzo di grandissimi sacrifici ci permise di completare l’unificazione del suolo patrio e l’unità politica della Nazione, essa rappresentò il culmine di oltre un secolo di lotte risorgimentali perseguite tenacemente da una folta schiera di martiri e patrioti che credevano in un’Italia unita, indipendente e libera.

    Tullio Vidulich

    Pubblicato sul numero di ottobre 2008 de L’Alpino.