Una domenica eccezionale, conclusa con un’apoteosi…

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    Un fiume lungo undici ore! Uno scorrere lento, scandito dalle note dei canti e degli inni degli alpini, dal ritmo dei tamburi. E poi una fantasia di colori che avevano sempre la bandiera come dominante e che qualche volta veniva composta come una magia davanti alle tribune, al passaggio degli alpini che avevano stretto in mano un fazzoletto colorato da sventolare solo all’ultimo momento per strappare un oh! di meraviglia. Quasi a significare che il senso dell’unità, di Patria, di appartenenza è nascosto ma si può recuperare.

    C’è, basta farlo uscire dal cuore. Improvvisamente si fa silenzio, il lungo viale sembra deserto. Poi da lontano avanza una fanfara in divisa scura, la formazione è perfetta e dà un senso di ordine e di armonia. È la fanfara della sezione di Torino, con le divise storiche che fa arrivare alle tribune, sempre più distinto, l’Inno dei coscritti, quello che dice che è il Piemonte che dà all’Italia la sua più bella gioventù.

    Ed ecco che da quelle migliaia di persone assiepate per ore e ore sulle tribune e lungo i marciapiedi, senza alcuna defezione, dopo aver tanto applaudito, tifato, sventolato bandiere e bandierine senza mai stancarsi si leva un urlo: è Torino! E sembra che in quel momento sia l’Italia che sfila, quella possibile, pulita e capace di appassionarsi, nata da quella bandiera sabauda che viene portata con orgoglio, che è sventolata sui campi di battaglia di tante guerre e attraverso la quale si è formata quell’Italia che dura ancora. Perché il miracolo dell’Adunata è stato proprio questo: la scoperta che il senso di Patria è più diffuso di quanto si credesse, così come una comunione di valori, di etica, di onestà, di solidarietà. Già, l’Italia possibile. L’Italia reale della gente.

    Torino lo ha dimostrato con la cordialità dei suoi abitanti che hanno accolto gli alpini con gioia, celebrando con loro la festa. Sono stati dei meravigliosi ospiti, pazienti e disponibili sempre: per la strada nel dare informazioni, nei negozi, negli incontri festosi, senza mai perdere quell’innata eleganza che è in loro. La sfilata è uno spettacolo a sé, unico e irripetibile pur nella sua regolarità. Passa per prima la fanfara della Taurinense seguita dalla Bandiera di guerra del glorioso 3° reggimento e da due compagnie di alpini. Sono i giovani che hanno fatto onore a tutti noi con le loro missioni chiamate “di pace” in territori di guerra, dimostrando che sanno affrontare le difficoltà ed essere fedeli al loro dovere anche a costo della vita.

    Li circonda il nostro rispetto e la nostra ammirazione. Poi tutto da programma…, almeno così dovrebbe essere stabilito dall’ordine di sfilamento. Invece è sempre meraviglia e sorpresa: lo stupore della lunghissima fila di Gonfaloni, testimoni di paesi e città, i ragazzi della mininaja che arrivano compatti e sorridenti per dire siamo alpini anche noi, e scusate se abbiamo messo in testa il cappello che avevamo nel cuore. E le delegazioni di altri Paesi e poi l’ospedale da campo con i suoi uomini e donne, le ambulanze e gli automezzi supertecnologici. E poi le sezioni di Istria, Dalmazia e del Quarnaro che sono, come dice lo speaker, “un pezzo d’Italia nel nostro cuore”. E gli alpini all’estero, che hanno contribuito a fare grande la seconda patria senza dimenticare la prima, Francia, Sudafrica, Brasile, Argentina, Australia, Perù… il mondo degli alpini sparsi dappertutto che una volta all’anno arrivano a gruppi, anche uno soltanto che cammina dietro il cartello che indica la provenienza, e che rappresenta le centinaia che non ci sono più.

    È un arcobaleno di colori, di camicie a quadretti colorati con i fiori della montagna e delle sue stagioni. Sfilano migliaia di abruzzesi dietro il vessillo sormontato da un’aquila che spicca il volo e sollevano un’ovazione, sfilano decine di fanfare alpine, municipali, di organizzazioni, fanfare storiche, sfilano alpini in servizio, caporali e generali a varie stelle, sfila Udine con lo striscione “Julia, amore senza fine”. Poi arriva Cristiano Dal Pozzo, classe 1913, da Rotzo (uno dei Sette Comuni dell’Altopiano di Asiago) reduce dell’Abissinia. Scende dalla carrozzina, cammina con passo traballante e saluta felice. Gli risponde un boato. Il ministro La Russa, i capi di Stato Maggiore della Difesa e dell’Esercito scendono ad abbracciarlo.

    Non manca, poco dopo, l’abbraccio di Perona, che solleva altri applausi. È una festa nella festa, che continuerà ancora per ore. Con Bassano, Brescia e poi Bergamo e Piacenza, “la primogenita”, la prima città a votare l’annessione al Piemonte, che sfila con il Gonfalone decorato con due medaglie d’Oro al Valor Militare, il presidente della Provincia e ben venti sindaci per dimostrare che gli alpini saranno i benvenuti, se nel 2014… Anche Biella fa onore a Torino, con i suoi alpini “tessitori di unità”, 80 sindaci, lo striscione che dice “Non basta dire viva l’Italia, bisogna fare il bene dell’Italia”, che sembra più un monito di un semplice incitamento.

    E poi le altre Sezioni piemontesi, che sono un bagno tricolore, di una Italia “Unita e solidale”, gli alpini di Saluzzo, eredi dell’omonimo eroico battaglione. E Pordenone, con due “bocia” con sottobraccio il reduce del fronte greco-albanese e russo Pietro Marchisio scatenano applausi di approvazione, e Mondovì con lo striscione che è il tema di fondo dell’Adunata “Gli alpini a Torino per onorare l’Unità italiana. E Cuneo, con 27 sindaci e un fiume rosso e compatto che richiama il sacrificio della Divisione martire in terra di Russia. Ed è una continua ovazione dalle tribune e se non fosse per quei fazzoletti che sventolano e poi vengono portati agli occhi per poi farli di nuovo sventolare sarebbe un tifo da stadio.

    È invece commozione e memoria, partecipazione perché il ricordo di quegli alpini partiti e non più tornati è ancora una ferita aperta. Infine un urlo saluta il vessillo di Torino, con il presidente Chiosso e il sindaco Chiamparino, che si sbraccia sorridendo: è al termine del suo decennale mandato e raccoglie i consensi dei suoi concittadini per il servizio reso. Ha la fascia tricolore e il cappello alpino che ha onorato durante la “naja” e da primo cittadino.

    È seguito da ben 80 sindaci, che fanno un bel colpo d’occhio e bene al cuore, è un fiume azzurro che non finisce mai, e scorre e scorre compatto e ordinato interrotto dal bianco della fanfara dei congedati della Taurinense e poi dall’arancione della Protezione civile. E tutto fa pensare che questa è l’Italia possibile, l’Italia vera che dovrebbe continuare domani e dopodomani e ancora. Sono passate undici ore quando arriva lo striscione che dà un appuntamento: “Arrivederci a Bolzano”, seguito dal vessillo della Sezione altoatesina con il presidente Ferdinando Scafariello, il sindaco Luigi Spagnolli, il gonfalone con lo scudo biancorosso e la scritta bilingue “Città di Bolzano – Stadt Bozen”, a indicare che sarà un’Adunata speciale in una città speciale.

    Chiudono gli instancabili, onnipresenti, generosi alpini del Servizio d’Ordine Nazionale e le 139 Bandiere che testimoniano la storia degli alpini. È finita. Manca solo l’ultimo atto. Si ricompatta il corteo, preceduto dalla fanfare e dal Labaro che raggiunge piazza Castello, dove avviene l’ammainabandiera, una cerimonia velata di tristezza. Da ora, sono solo ricordi e nostalgia.

    Giangaspare Basile


    La coccarda madre del Tricolore

    Gli alpini di Asti hanno aperto la sfilata della Sezione portando la teca che custodisce la prima coccarda tricolore dalla quale è nata la bandiera italiana. Fu ideata a Bologna nel 1794 dall’astigiano Giovanni Battista De Rolandis e dal bolognese Luigi Zamboni. Dietro al cimelio, trasferito a Torino con scorta armata, hanno sfilato tutti i sindaci della provincia astigiana. Su uno striscione c’era scritto “La coccarda madre del Tricolore”.