Quel mitico, indimenticabile Giovannino

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    DI LORENZO SARTORIO

    Il 1º maggio 1908, tra sventolii di bandiere e fazzolettoni rossi, tra quei fuochi di papaveri che con i primi caldi incendiano la bassa padana e gli argini del grande fiume, in quel di Fontanelle di Roccabianca pugnetto di case dalle ossa di pietra fradice di umidità, ad un tiro di schioppo dal Po veniva al mondo Giovannino Guareschi: quel testardo geniaccio padano che, attraverso le sue opere, toccò il cuore, il sentimento e la coscienza di tutti gli italiani specie nell’immediato dopoguerra. La sua vita, veramente avventurosa e spericolata, meriterebbe un film e, francamente, c’è da essere stupiti come, fino ad ora, nessun produttore e nessun regista ci abbiano pensato. La sua avventura umana iniziò in modo del tutto strano e rocambolesco.

    Quel lontano 1º maggio 1908 la piccola comunità di Fontanelle dava il benvenuto ad un nuovo compagno, che venne iniziato alla causa del socialismo dal sindacalista e capopopolo Giovanni Faraboli, il quale avvolse il neonato nel fazzolettone rosso che teneva al collo sotto lo sguardo compiaciuto del padre Primo Teodosio Augusto Guareschi e del senatore socialista D’Aragona. Giovanni, pardòn Giovannino, in quanto fu battezzato proprio così, prima ancora di udire il rintocco delle campane del paese e la dolce voce della sua mamma, ebbe la ventura di ascoltare un’insolita ninna nanna: l’Internazionale cantata a squarciagola dai suoi rivoluzionari compaesani irruenti e agitati come le acque del Po: il grande fiume che avrebbe forgiato in seguito il carattere di un uomo tutto d’un pezzo del quale, proprio un intellettuale di sinistra come Giorgio Bocca, fece un ritratto a tinte fedelissime.

    Bocca, infatti, definì Guareschi: isolato, irsuto, anomalo scrittore della bassa padana che aveva dentro di sé qualcosa di molto pericoloso: pensava con la sua testa, diceva la sua verità discutibile certo, nei contenuti e nello stile ma una verità opposta al niente, alla menzogna, al conformismo, al sovieto americanismo degli scrittorucoli che vincevano il Premio Viareggio e che avrebbero impiegato chi venti chi trent’anni per accorgersi che nell’Urss c’era una dittatura burocratica . Ma, al di là del ritratto di Bocca, chi fu veramente Guareschi? Difficile dirlo, tanto era forte e complessa la personalità di questo straordinario personaggio che assomigliava ad uno Stalin padano con due baffoni grassi e folti e lo sguardo buono e severo dei contadini della sua terra. Innanzitutto cominciamo col dire che Guareschi fu un gran galantuomo ed una persona estremamente coraggiosa, coerente e dignitosa. Questo basta e avanza per farlo passare alla storia di un’Italietta di buonisti pavidi e compromessi e di gentetta da poco. Ma Giovannino fu di più, molto di più.

    La sua padanità (essere padani è una piacevole condanna che uno si porta appresso come l’essere bello e famoso) la visse e la testimoniò in ogni frangente della sua vita: nel lavoro, in famiglia, con gli amici, con i potenti, con i nemici, con il suo Dio. Guareschi era e si sentiva un vero italiano, tant’è che la sua bara, in quella piovosa giornata di luglio del 1968, scortata da pochi fraterni amici tra i quali il patròn di Maranello Enzo Ferrari e Baldassarre Molossi, fu preceduta dalla sua bandiera; la stessa bandiera con lo stemma sabaudo alla quale credeva ed era fedele la mamma dello scrittore: la signora maestra del suo mondo piccolo. Guareschi fu un anarchico di destra, un guastafeste per gli uomini di regime: prima i nazi fascisti, poi i comunisti e infine gli stessi democristiani con i quali andò in forte rotta di collisione al punto di scontare un duro periodo di galera nel carcere di San Francesco a Parma per i ben noti motivi che lo portarono a scontri violentissimi dapprima con l’allora Capo dello Stato Luigi Einaudi e poi con Alcide De Gasperi.

    Le sue vignette furono autentici capolavori di grafica e di ingegno al punto che riuscirono a colpire a morte il regime degli imbelli e un esercito di gente che aveva portato il cervello all’ammasso. Nacquero allora le figure del trinariciuto, del contr’ordine compagni, dello Smilzo, di Peppone, della Casa del Popolo. Dall’altra parte, si ergeva invece la figura non meno barricadiera di Don Camillo, il quale, con un pò di avemarie e un po’ di sacrosante legnate assestate sulla schiena dei compagni con stagionati pali di gaggia, cercava di sopravvivere nel Cremlino del Po. Guareschi, ogni volta che prendeva in mano la penna per scrivere o fare una vignetta rischiava una pallottola nella schiena.

    Ciononostante non si tirò mai indietro e, da testardo qual’era, da figlio prediletto del suo Po, continuò ad assestare martellate a destra, al centro e a sinistra, con la forza di un nerboruto barcaiolo, intervallandole con piacevoli zuccherini tesi a stemperare le lotte che allora in questa terra dove il sole picchia martellate in testa alla gente che ragiona più con la stanga che col cervello, ma dove almeno si rispettano i morti, erano divenute quanto mai cruente a livello personale. Ed ecco la felice intuizione di Peppone e Don Camillo: due personaggi incredibili nati dalla fantasia e dal cuore di uno che aborriva la violenza e la sopraffazione.

    Ebbene, là dove per un epiteto quale comunista boia la gente era capace di spararsi sulla fronte, là dove il prete era ben visto come un bacarozzo nella minestra, là dove tutto era color rosso corrida (persino il manto delle Madonne incastonate nelle adorabili maestà padane poste sugli argini del Po è rosso fuoco), Guareschi compì un miracolo laico d’amore. Mentre i due amici nemici, Peppone e Don Camillo, furono in grado di ergersi come giganti di umanità dal fango non tanto creato dalle inondazioni del grande fiume quanto dalla palude delle miserie umane. Servirono certamente più le vignette di Guareschi che tanti comizi di notabili DC del tempo per l’affermazione della libertà nel nostro Paese.

    Ciononostante Guareschi dopo avere scontato una lunga prigionia (devastante per il suo fisico) in un lager tedesco fu scaraventato in galera anche da coloro che aveva beneficiato. Lo scrittore, tradizionalista e rivoluzionario allo stesso tempo, era affascinato dalla sacralità della tradizione come dall’emozione del nuovo che avanzava. Comunque, una delle frasi che maggiormente inquadrarono il carattere e la filosofia guareschiana è la seguente: .e se l’avvenire dell’albero e il suo progresso verso l’alto sono sopra la terra, le radici sono sotto la terra. E ciò significa che l’avvenire è alimentato dal passato. Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato, son gente che semina non sulla terra, ma sul cemento. Quando Guareschi pronunciò questa frase, sicuramente, avrà avuto dinanzi agli occhi un cappello da alpino.


    GUIDA AI LUOGHI GUARESCHIANI. Il museo di Brescello (RE) dove sono in mostra cimeli guareschiani relativi soprattutto ai film della serie Peppone e Don Camillo girati a Brescello, dove si può visitare la chiesa che custodisce al suo interno il famoso Crocefisso che dialogava con Don Camillo con la magnifica voce dell’attore Ruggero Ruggeri. A Roncole Verdi è visitabile il museo guareschiano del Club dei 23 , fondato e allestito dai figli dello scrittore Carlotta e Alberto. Il museo è ubicato vicino alla casa natale di Giuseppe Verdi. All’interno del museo si possono ammirare preziosissimi cimeli guareschiani e tutto ciò che costellava il mondo piccolo : foto, vignette, manifesti, scritti ecc. Nel locale cimitero è possibile sostare dinanzi alla tomba di Guareschi impreziosita da un somigliante bronzo opera dello scultore Luigi Froni. Nella vicina Fontanelle di Roccabianca è ubicata la casa natale della scrittore. Le zone guareschiane sono altresì famose per la cucina tipica padana e p
    er gli inimitabili salumi della bassa tra i quali il prelibato culatello, la spalla cotta, il parmigiano, che si possono gustare nei numerosi ristoranti locali e acquistare nei vari spacci e/o negozi.