L’artiglieria da montagna ieri e oggi (1° parte)

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    E poi venne su lenta, grave, bella nella sua apparenza faticosa e rude, con i suoi grandi soldati, con i suoi muli potenti, l’artiglieria da montagna

    Quella così magistralmente descritta da Edmondo De Amicis, può essere considerata l’artiglieria da montagna dalla sua costituzione e fino alla fine degli anni Ottanta. Anche se già negli anni Settanta e Ottanta non tutti gli artiglieri da montagna erano grandi soldati, nel senso che non tutti erano alti e robusti, lo erano sicuramente i serventi, ovvero gli artiglieri veri e propri.

    Essi erano infatti preposti all’impiego dell’obice, a loro venivano richieste vere prove di forza connesse con il maneggio, il someggio e, talvolta, il trasporto a spalla dell’obice che nelle varie epoche era in dotazione ai reparti. Diventavano comunque tutti dei grandi soldati i giovani di leva che venivano destinati ai reparti di artiglieria da montagna, nei quali svolgevano con grande spirito di sacrificio le innumerevoli attività addestrative e di servizio, molto spesso esposti a condizioni ambientali e di impiego, specie durante il campo mobile invernale, al limite della sopportazione fisica e mentale.

    Non di rado nel corso del campo estivo ed autunnale l’obice scomposto in vari carichi di peso variabile, fino ad un massimo dei 127 kg. della culla inferiore, veniva sistemato su più strutture spalleggiabili di circostanza o, talvolta, su di un bastino utilizzato anche per il trasporto dei materiali delle trasmissioni. Tutto il personale della batteria, ripartito in nuclei calibrati per numero e robustezza, provvedeva al trasporto a spalla dei carichi nelle ascensioni alpinistiche di reparto, che prevedevano il raggiungimento di una vetta o di una cima di un certo richiamo.

    C’erano, peraltro, per il trasporto di due pezzi da 105/14 che costituivano una sezione di artiglieria, in organico 42 muli inquadrati in ciascuna delle due sezioni salmerie facenti parte, ognuna, delle due batterie someggiate delle tre in forza al gruppo di artiglieria da montagna. Erano muli potenti e taluni davvero imponenti, la gran parte era di prima taglia, specie quelli destinati a portare i carichi centrali, aventi peso superiore ai 120 chili.

    Sotto il profilo dell’ordinamento tattico, i reparti di artiglieria erano affiancati, si potrebbe anche dire gemellati, con reparti di fanteria alpina per costituire, fin dal tempo di pace, dei gruppi tattici in grado di operare in ambienti alpini orograficamente aspri e compartimentati. Li univa il conseguimento dello stesso obiettivo, in stretta unità di intenti, una comune, reciproca conoscenza ed affiatamento dei comandanti per realizzare la cooperazione tra arma base e artiglieria.

    In tale contesto, la batteria di artiglieria da montagna si addestrava ad operare con ampia autonomia tattica e logistica, specie in occasione delle frequenti attività fuori sede. Questo aspetto era particolarmente importante ai fini della formazione e della crescita professionale dei comandanti ai vari livelli. Per il traino del pezzo da 105/14 si disponeva dell’ACL51 oppure dell’AR59. Solamente alla fine degli anni settanta vennero dati in distribuzione gli ACL75 che rappresentarono un consistente salto di qualità, in termini di affidabilità e rispondenza complessiva del mezzo di traino alle particolari esigenze addestrative ed operative.

    Di fatto, però, le batterie di artiglieria da montagna si addestravano prevalentemente all’impiego di artiglieria nella versione someggiata. I muli costituivano un efficace banco di prova con cui si dovevano misurare tutti gli effettivi alla batteria: dal sottocomandante agli ufficiali di complemento, per finire ai conducenti e ai serventi. Ma non erano esclusi né i conduttori, né tutti gli altri incarichi che dovevano partecipare quantomeno all’abbeverata ed alla guardia dei quadrupedi. I muli erano al centro della quotidiana vita in guarnigione ed in attività fuori sede e rappresentavano una vera e propria scuola di vita.

    La cura ed in particolare il governo quotidiano dei quadrupedi scandiva il faticoso ed impegnativo scorrere dei giorni in tutte le stagioni. L’addestramento di specialità era imperniato su tre campi mobili , in seguito denominate escursioni, sviluppati nella stagione invernale, estiva ed autunnale, ed era rivolto al conseguimento della capacità di vivere, muovere, operare ed, all’occorrenza, combattere in montagna.

    La rigida disciplina di intenti e di procedure che l’impiego dei muli comportava consentiva l’acquisizione da parte degli artiglieri da montagna di una capacità e preparazione, anche tecnica, difficilmente eguagliabili in un esercito di leva. Alla dettagliata, minuziosa conoscenza dell’obice da 105/14, conseguente al pressoché quotidiano impiego del materiale in dotazione, corrispondeva e risaltava, in misura ben più rilevante, l’irripetibile amalgama e coesione interna che si otteneva dall’impiego di tutti gli artiglieri, a prescindere dall’incarico di specializzazione, nel governo dei quadrupedi.

    Ma era in particolare il connubio tra serventi e conducenti, il loro comune destino di uomini abituati ad operare fianco a fianco ed a stretto contatto in addestramento e nella quotidianità della vita di caserma, accomunati dalla fatica di servirsi del mulo e di servire il mulo, prima che loro stessi, a fare la differenza. Pensare di separare i serventi dai conducenti, oltre che improponibile sotto il profilo funzionale, significava anche minare l’identità della batteria con gravi ed insanabili ripercussioni sulla operatività del reparto.

    Come tale essi erano reciprocamente avvicendabili nella condotta dei quadrupedi e, talvolta, specie da parte dei conducenti più forti e prestanti, era possibile che un conducente potesse all’occorrenza sostituirsi al servente. La loro capacità di integrazione e di reciproca conoscenza e fiducia era di basilare importanza nell’attività di caricamento (someggio) dell’obice sul mulo.

    Ci volevano 12 muli per trasportare a soma un obice completo dei materiali accessori di puntamento e di 6 colpi completi. L’obice da 105/14, laddove la viabilità lo consentiva, poteva essere ippotrainato da una coppia di muli, uno di stanga ed uno di testa, mediante l’utilizzazione dell’arco e delle stanghe di timonella di cui era dotato il pezzo.

    Ciò consentiva di alleggerire il lavoro ed il logoramento fisico (fiaccature), specie dei muli dei carichi centrali. Anche in ambiente innevato il pezzo da 105/14 in analogia a quanto accadeva frequentemente durante i due conflitti mondiali quando i pezzi di artiglieria venivano schierati fianco a fianco delle fanterie ( pezzo ardito) per il trasporto e lo schieramento in alta montagna ed in posizione avanzata, poteva essere slittato utilizzando una slitta akia trainata dagli artiglieri.

    Sotto il profilo operativo l’artiglieria da montagna forniva il supporto di tiro diretto per la cooperazione con i battaglioni alpini ed il mulo costituiva il mezzo di trasporto integrato, ognitempo per il raggiungimento degli schieramenti operativi più avanzati ed in posizioni impervie.

    Col. Donato Lunardon

    (1 Continua nel prossimo numero)

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