Perona: Non dimenticheremo mai

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    Le fosche previsioni dei meteorologi, che avevano previsto un fine settimana di neve e bufera alle pendici del Gran Sasso, non hanno frenato le migliaia di alpini che da tutta Italia, ma in particolare dall’Abruzzo, si sono ritrovati ad Isola del Gran Sasso per l’annuale commemorazione del sacrificio degli alpini del btg. L’Aquila al quadrivio di Selenyj Jar.

    La cerimonia della domenica si è consumata con i gesti di sempre. Le migliaia di alpini si sono inquadrati dietro il vessillo abruzzese delle grandi occasioni (quello con l’aquila per intenderci) ed hanno sfilato ordinatamente dal centro del paese sino al Santuario di San Gabriele. Prima le sezioni consorelle e poi i tantissimi gruppi abruzzesi si sono susseguiti, uno dopo l’altro, dinnanzi al palco delle autorità accompagnati dal suono delle fanfare e dal commento, affettuoso e vigoroso, di Tonino Di Carlo.

    Sul palco ad attenderli il presidente nazionale Perona, accompagnato dal vicepresidente Lavizzari, il tesoriere Casini, i consiglieri nazionali Bassi e Capannolo, il presidente della Sezione Purificati, autorità ma, soprattutto, due reduci d’eccezione, Nelson Cenci e Carlo Vicentini che hanno assistito alla sfilata con commozione. Man mano che gli alpini sfilavano il sorriso dei nostri reduci si allargava sempre più come a sottolineare la soddisfazione di chi può toccare con mano che lo zaino di valori portato e custodito per anni è ora saldamente issato su spalle sicure.

    Dopo più di due ore il Gruppo di Isola del Gran Sasso, guidato da Giulio Ciarelli, ha chiuso la sfilata e tutti sono stati accolti nel grande santuario per la Messa. Sabato sera, nell’auditorium della cittadina abruzzese, Carlo Vicentini e Nelson Cenci hanno raccontato il valore degli alpini del battaglione L’Aquila al quadrivio insanguinato di Selenyj Jar. Là dove non era solo impossibile combattere e resistere ma addirittura sopravvivere, gli alpini della Julia, pur di compiere il loro dovere e di difendere il fianco dello schieramento italiano, diedero una lezione di tenacia senza pari.

    Sapevano di non avere praticamente speranza di salvezza, ma hanno resistito per oltre un mese, in buche scavate nella neve, coperti dal solo telo tenda, respingendo attacchi su attacchi ad ogni ora del giorno e della notte. E non hanno perso un solo metro di terra perché sapevano che da loro dipendeva la salvezza dei fratelli delle altre Divisioni. È la legge delle genti di montagna: compiere il proprio dovere sempre, perché c’è sempre qualcuno che su di te fa affidamento.

    Nelson Cenci ha terminato il suo intervento con una domanda terribile e velata di malinconia: chi si ricorderà del sacrificio della medaglia d’Oro Enrico Rebeggiani e dei tantissimi eroi abruzzesi? Chi avrà memoria di tutti quei ragazzi inghiottiti dalla steppa?Chi saprà trarre insegnamento da tutto questo dolore? Domenica, appena prima della Messa, nel santuario di San Gabriele pieno all’inverosimile, il presidente nazionale è intervenuto con evidente emozione.

    Ha ricordato che proprio dall’insegnamento dei reduci e dal ricordo del sacrificio dei nostri Caduti trae origine la forza, la determinazione e la caparbietà dell’ANA che, ancora oggi, in un Italia che sembra sempre più distratta riesce a mantenere intatto il patrimonio di fiducia, di speranza e di amore vero che i reduci ci hanno trasmesso e che ci ha consentito, tra l’altro, l’importante intervento in Abruzzo che ha visto impegnati migliaia di alpini.

    Il villaggio di Fossa è oggi una realtà che racconta in modo concreto che l’alpino, a novant’anni di distanza, non è cambiato e ha conservato il cuore di sempre. Al termine del suo intervento il presidente nazionale ha voluto accogliere la sfida di Nelson Cenci dando risposta alle domande che erano rimaste in sospeso dalla sera precedente.

    Lo ha fatto con una semplicità disarmante affermando che gli alpini non hanno mai permesso che si potesse dimenticare e non lo permetteranno mai perché questa è la missione e la legge degli alpini.

    Cesare Lavizzari

    Pubblicato sul numero di marzo 2010 de L’Alpino.