Paolo: vita e memoria eccezionali

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    Ha festeggiato 103 anni, in gran forma, attorniato dalla sua bella famiglia: un traguardo davvero invidiabile per una vita fatta di sacrifici e lavoro, ma pure di grandi soddisfazioni. Paolo Sonaggere, di Sottocastello, frazione di Pieve di Cadore, ha una memoria ancora lucida e quando inizia a raccontare le vicende della propria vita è come un fiume in piena. “Paolino” è nato il 4 gennaio 1908, unico maschio, secondogenito, dei 4 figli di Antonio e Maria Tabacchi. La mamma morì giovanissima nel 1918, probabilmente per febbre spagnola, dopo aver dato alla luce l’ultima figlia che, nata in territorio occupato dalle milizie austriache, fu battezzata “Italia Libera Vittoria”.

     

    “Nel pieno della Grande Guerra – ci racconta – a 9 anni fui costretto ad abbandonare la scuola (frequentavo la seconda classe) e andai a lavorare nel bosco con mio padre, piccolo imprenditore di legname. Di quel periodo conservo nitido il ricordo della stazione di Sottocastello ampliata per esigenze militari, e della teleferica che smistava i materiali dallo scalo alla strada di Alemagna presso Maias e i magazzini di Tai. Un episodio che mi impressionò molto fu quando, di nascosto, assistetti alla fucilazione di due poveri soldati, che si diceva si fossero rifiutati di andare al fronte. Furono portati in “Ciaupa”, presso l’attuale cimitero: un prete li confessò, poi furono legati a delle sedie, uccisi da un plotone di esecuzione e poi sepolti nel nostro cimitero (si tratta dei soldati Vittorio Cappelli di 25 anni e Gino Ciullini di 24 anni, entrambi fiorentini, del 69° rgt. fanteria, fucilati il 9 settembre 1915 perché fuggiti dal Monte Quaternà, ndr).

    Nel novembre del 1917 ci fu la ritirata di Caporetto e i nostri soldati abbandonarono tantissimo materiale. Fucili, zaini e soprattutto bombe a mano erano disseminati ovunque, attirando la curiosità di noi più piccoli. Alcuni miei compagni raccolsero una bomba che esplose, uccidendoli (i fratelli Tabacchi di 5 e 7 anni, morti il 23 novembre, ndr). Altri invece rimasero feriti. Di fronte a tutto ciò io fui sempre molto attento a non toccare questi ordigni e così non mi sono fatto niente. La fame fu terribile, i miei fecero diversi viaggi verso le basse, trascinando un carretto e qui scambiavano sale ed altri oggetti per un po’ di farina. Ricordo che mio nonno Carlo, che era guardia comunale, mi lasciava alcuni cucchiai di “pestarei” nella sua scodella. Quando nell’ottobre del 1918 gli austriaci fecero saltare i forti di Pieve, Sottocastello fu fatto sgomberare dalla popolazione, così, assieme alla mia famiglia, ci rifugiammo nei boschi al di là del Piave, da dove assistemmo all’esplosione.

    Il 4 novembre 1918 andammo incontro ai nostri bersaglieri e sulla piazza di Sottocastello ci fu una piccola distribuzione di cibo e anch’io ricevetti qualcosa. Passata la guerra, mi appassionai ai motori, grazie ad un mio amico che aveva un’autorimessa a Tai e conseguii la patente di guida. Di quel periodo ricordo la visita a Pieve del Principe Umberto di Savoia nel febbraio 1923. Un bel giovane, del quale tutte le ragazze erano invaghite. Ero presente pure all’inaugurazione del monumento a Pier Fortunato Calvi, il 20 settembre 1931, sul M. Ricco, dove ascoltai il discorso di Italo Balbo. A 20 anni fui arruolato nel 7° reggimento Alpini e trascorsi la ferma tra le caserme di Tai ed Auronzo. Fui nuovamente richiamato nel 1936 ed ancora nel 1942, nonostante fossi già padre di 3 figli. Nel 1942 fui inviato in Francia con la Divisione “Pusteria” a costruire opere di fortificazione e qui fui colto dall’armistizio dell’8 settembre 1943.

    I francesi ci offrirono dei vestiti borghesi, ma io non me la sentii di togliermi la divisa. Così fui catturato dai tedeschi, caricato su un carro bestiame e dopo tre giorni di viaggio, soffrendo bombardamenti alleati, fame e sete, giunsi prima in un campo in Alsazia-Lorena, poi a Kullach a lavorare su una catena di montaggio in una fabbrica per carri armati. Durante la prigionia in Germania, poiché sapevo guidare e mi intendevo di motori, finii in diverse fabbriche di automobili ad Oberhofen, Milauser e Norimberga, in tutto 22 mesi sempre con indosso gli stessi indumenti laceri, tormentato dai pidocchi e dalla fame. Una volta ebbi la soddisfazione di mangiare una fetta di pane bianco dopo aver vinto una scommessa col capo tedesco: avevo imparato infatti a memoria tutti i nomi, tedeschi, delle lime in dotazione all’officina.

    Fui liberato nell’aprile del 1945 dagli americani e potei tornare a casa. Fu una grande gioia, i miei non avevano mai avuto mie notizie e avevano passato gli ultimi anni del conflitto tra stenti indicibili”. “Paolino” tornò al suo vecchio mestiere – concludiamo noi – acquistò un camion e iniziò a fare l’autotrasportatore, fino alla pensione nel 1970. Oggi vive sereno nella casa che ha costruito con tanti sacrifici, assistito con amore dalle figlie e attorniato dai 3 nipoti e dai 2 pronipoti ai quali, siamo certi, non mancherà di raccontare ulteriori particolari emozionanti della sua eccezionale esistenza.

    (da Sote le crode, notiziario della sezione Cadore)