Onori al carnefice

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    Carissimo Direttore, ritorno con una considerazione che sento di dover esternare. Il 10 febbraio lo Stato ricorda l’esodo di oltre 200mila istriani fiumani e dalmati e la tragedia delle foibe con le sue migliaia di vittime. Però una dozzina di vie di città italiane (Aci Sant’Antonio, Campegine, Nuoro, Palma di Montechiaro, Parma, Quattro Castella, Reggio Emilia, Scampitella, Ussana, Verzino) sono ancora intitolate al maresciallo Tito, boia degli italiani alla fine della seconda guerra mondiale.

    Il Giorno del Ricordo viene celebrato dalle autorità con una cerimonia solenne nel palazzo del Quirinale. La legge che lo istituì fu approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento italiano il 16 marzo 2004. In questa data si onorano le vittime di una strage che per troppo tempo è stata colpevolmente ignorata. Restano indelebili le ferite morali e i danni patrimoniali che migliaia di persone subirono, avendo come unica colpa quella di essere italiani.

    Non basta una medaglia agli eredi per cancellare una ferita ancora aperta, non certo curata dal trattato di Osimo. Manca tuttavia la coerenza con il sacro valore della giustizia. Nel 1969 il presidente Giuseppe Saragat concesse il riconoscimento più prestigioso al leader jugoslavo Josip Broz Tito e a tre dei suoi luogotenenti, dimenticandosi repressioni politiche e pulizie etniche anti italiane. Né finora hanno avuto ascolto le richieste di revoca da più parti avanzate, con l’unica incredibile motivazione che non si può fare perché l’insignito è morto.

    Il Cavalierato di Gran Croce è il più importante fra gli Ordini nazionali ed è destinato a “ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, dell’economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari”. Delle due l’una. O la vicenda delle foibe è un’invenzione (allora non si capisce perché la Giornata del Ricordo) oppure la concessione dell’onorificenza è stata una colossale ipocrisia consumata per interessi non dichiarabili e assolutamente incoerenti con le motivazioni indicate dalla stessa legge istitutiva. Apparteniamo ad un Paese che celebra le vittime delle foibe e allo stesso tempo continua a onorare il loro carnefice.

    Si è fatta politica estera sulla pelle delle stesse popolazioni che già ebbero a pagare ritorsioni non giustificabili ma certamente successive ad altri ingiusti comportamenti e crudeltà, che ci sono state, la cui responsabilità è storicamente ascrivibile al fascismo e alla monarchia. Pensare che tutto sia stato risolto con piazzale Loreto e con l’esilio del re di maggio è una superficiale ipocrisia. Anche la nomina dei nuovi senatori a vita appare come un’anacronistica eredità di prerogative monarchiche. Antico privilegio che potrebbe esserci risparmiato, anche perché aggiunge privilegio a quelli esistenti e già ampiamente contestati. La sintesi, amara, di questo ragionamento è che ci sentiamo scippata la sovranità e dignità di popolo.

    Chi ci guida ha perso la capacità di ascoltare e interpretare i sentimenti popolari. Dopo la liberazione abbiamo rapidamente dimenticato che il fascismo purtroppo era condiviso “a furor di popolo”. Sembrava che nell’immediato dopoguerra l’Italia avesse imparato la lezione, ma è stata un’illusione. Abbiamo colpevolmente sottovalutato per anni il pericolo di un degrado morale che sembrava esser estraneo al nostro personale benessere. Abbiamo lasciato che prevalessero gli interessi di bottega e ce ne accorgiamo ora, perché sentiamo su di noi i morsi della crisi economica che ancora una volta, a furor di popolo, genera la richiesta di mandare a casa sia il puparo che i pupi di un teatro il cui spettacolo sempre più sembra essere solo quello dei burattini. Se è vero che l’esperienza è la somma degli errori commessi, prendiamone atto e cerchiamo in futuro di ricordarlo.

    Maurizio Mazzocco Capogruppo di Legnago – sezione di Verona

    Caro Maurizio, tu sai bene che la Ragion di Stato, insieme agli interessi economici, è spesso nemica della verità e qualche volta anche della giustizia. Non solo nel caso che tu citi, ma ancor oggi. Basta pensare ai diritti civili negati in Cina, nella più assoluta indifferenza del mondo, quello che, con la Cina, ci fa gli affari. Oppure pensa alla persecuzione dei cristiani, la più devastante in duemila anni di storia, senza che i governi europei si mobilitino minimamente per fermarla. Pecunia non olet, dicevano gli antichi. Il denaro non puzza, diciamo noi, e così tra un affare da mandare in porto e l’ingordigia istituzionalizzata, sulla pelle della gente si consumano le ingiustizie. Quella dell’Istria ieri, quella delle nuove povertà, morali ed economiche, oggi.